Ho appena terminato la lettura di Requiem, un singolare romanzo che Antonio Tabucchi pubblicò in Italia nel 1992 – per i contenuti rimando alla recensione di Salvo Kalat che trovate qui. In sostanza si tratta di un omaggio al Portogallo e alla sua cultura, talmente sentito da spingere Tabucchi a scriverlo direttamente in portoghese e a farcirlo di numerosi oggetti-“madeleine” della cultura lusitana. Per chi non ha mai avuto familiarità con le Português Suave, i venditori ambulanti di biglietti della lotteria, la fejoada o il sarrabulho – familiarità che peraltro, soprattutto in quest’ultimo caso, vi sconsiglio vivamente – questo romanzo apparirà poco attraente, me ne rendo conto; ma d’altronde, non è di questo che ho intenzione di parlarvi, quanto della traduzione.
A pagina 53 della mia edizione Feltrinelli, al primo rigo leggo: «Era un edificio vecchio, di un color rosa stinto e con le persiane che cascavano a pezzi. La pensione restava tra un robivecchi e una compagnia di navigazione […]».
Quando in portoghese si indica la localizzazione di un luogo si usa il verbo ficar (restare), cioè, in questo caso in portoghese si sarebbe dovuto dire più o meno: «A pensão ficava entre un antiquário e uma companhia de navigação», che, secondo una traduzione letterale è «La pensione restava tra un robivecchi e una compagnia di navigazione». Ma in italiano sarebbe più corretto (e più usuale) dire: «La pensione era tra un robivecchi e una compagnia di navigazione», anche perché il protagonista del romanzo non era mai stato prima in quella pensione e quindi non poteva sapere se “restava” o meno nello stesso luogo, perché, appunto, questo è un modo di dire portoghese che non trova riscontro in italiano.
Vecchio mi sembra inciampi anche quando traduce letteralmente «jà percebeu» con «me ne sono già accorto» o «O senhor conhece Helsinki?» sempre letteralmente con «Il signore conosce Helsinki?», ma mi rendo conto che dilungarmi su questi tecnicismi mette a dura prova la vostra pazienza.
A pagina 75 ho letto: «Forse, rispose il Copista, ma c’è a chi gli piace». A pagina 69, ancora, ho letto addirittura un «Ho dovuto tornare» che, se non è una forma errata mi sembra per lo meno poco elegante. Non che Tabucchi, lo dico con tutto il rispetto, si sia mai distinto per l’eleganza della sua prosa ma, mi chiedo, l’ha mai letta la versione italiana? Mi rendo conto di suonare parecchio professorale – leggi: rompicoglioni – a criticare con questa pedanteria, ma è per me davvero sorprendente scoprire che una casa editrice come la Feltrinelli non abbia notato, o, peggio ancora, abbia notato tutto questo.
Nessun commento:
Posta un commento