12 luglio 2021

Intervista a Giuseppe Raudino

Giuseppe Raudino

In attesa del suo prossimo libro, ho intervistato Giuseppe Raudino, docente di comunicazione all’università di scienze applicate di Groninga (Paesi Bassi) e scrittore di romanzi. Nel 2019 sono usciti Mistero nel Mediterraneo (edito da Genesis Pulishing) e Stelle di un cielo diviso (edito da Polidoro).

Eccoci qui, Giuseppe. Cominciamo subito questa intervista con un paio di domande riguardanti il tuo prossimo romanzo. C’è già una data di uscita? E ci vuoi rivelare il titolo?
La data precisa si conoscerà a breve, ma in linea di massima dovrebbe essere pronto entro la fine di questa estate. Quanto al titolo, ce n’è uno provvisorio che ha tutte le carte in regola per diventare definitivo. Lo decideremo nei prossimi giorni con Mario Ianieri, che è l’editore, e Roberto Di Pietro dell’agenzia letteraria Edelweiss, che sta curando l’editing. Ti rivelo, però, due parole che sono incluse nel titolo provvisorio: estate e quintetto.

Estate e quintetto… sembra già un programma. Parla certamente di musica in una stagione specifica.
In effetti è così. C’è tanta musica nel romanzo, e l’azione si svolge in un'unità di tempo ben circoscritta.

Cominciamo dall’estate. Che cosa rappresenta nel romanzo?
L’estate è la mia stagione preferita. Forse perché, abitando nel Nord Europa da una quindicina d’anni, il caldo dell’estate è qualcosa che mi manca molto. Scriverne è una dolce immersione nel tepore dei miei ricordi più belli. E poi l’estate rappresenta anche la maturità. La terra dà i frutti, è il tempo della raccolta. Anche i miei protagonisti raccoglieranno qualcosa di speciale, un insegnamento, un’esperienza.

Quintetto. Immagino che i protagonisti siano cinque.
Veramente sono sei. C’è un maestro che li guida. Anzi, forse il vero protagonista è il sesto elemento del quintetto, il maestro che indirizza le loro azioni dall’esterno e che dispone tutto con un’intelligenza e una precisione ai limiti della manipolazione.

Ma non ti sembra un po’ fuorviante? Un romanzo che annuncia un quintetto nel titolo e poi si scopre che viene fuori un sestetto.
Ci ho pensato, ma sestetto, come parola, mi faceva un po’ schifo (ride, ndr). Battute a parte, direi che è perfetto così. Hai presente i Tre Moschettieri? Guarda che il protagonista in quel romanzo è D’Artagnan, il quarto moschettiere. E mica Dumas lo intitola i Quattro Moschettieri. Mi sembra geniale.

Se sestetto non ti piace, cosa ha di bello la parola ‘quintetto’ allora?
Più che la parola, è il concetto ad essere bello. Intanto si tratta di un numero dispari, per cui si crea dinamismo tra gli elementi. Discutendo una questione, si trova sempre una maggioranza. In un quartetto, o peggio ancora in una coppia, si rischia spesso lo stallo nel momento in cui un numero eguale di elementi è fermo su una posizione. Le dinamiche di gruppo sono più importanti e divertenti anzitutto se una maggioranza vera è possibile, e poi se questa maggioranza esce dallo stallo e fluttua, si trasforma nel tempo, dà direzioni precise da seguire. Un altro aspetto importante: il quintetto rappresenta, a mio avviso, un limite perfetto per raccontare la storia di un gruppo: non troppo numeroso da confondere il lettore come in certi noiosissimi romanzi corali, nei quali non ne vieni più a capo e resti ingarbugliato nella lista piatta dei nomi di personaggi che non ti dicono più nulla, né troppo limitato per perdere l’essenza del gruppo stesso.

Chi fa parte di questo quintetto?
Si tratta di cinque giovani poco più che ventenni. Tre ragazze e due ragazzi, tutti appena diplomati al conservatorio. Ciascuno è specializzato in uno strumento a fiato e io ho cercato di associare lo strumento al carattere specifico di chi lo suona.

In che senso uno strumento può essere associato al carattere di una persona?
Sono in pochi a rendersene conto, ma esiste una psicologia della musica. La musica veicola emozioni in modo quasi universale. Chiunque, dall’Amazzonia al Polo Nord, sarebbe in grado di riconoscere una melodia malinconica e distinguerla da una eroica. Ma non si tratta solo di questo. Ogni strumento ha un carattere, che trova la propria realizzazione nel connubio con il carattere di chi lo suona. Il clarinetto è agile e flessuoso, generoso nell’estensione e cangiante nel timbro, sa essere penetrante nelle note gravi e squillante in quelle acute. Se dovessi pensare a un animale, mi verrebbe in mente una gazzella, un daino, una pantera. Il clarinetto basso è invece più cupo e profondo, suadente e misterioso. Nel mio romanzo, sia il clarinetto che il clarinetto basso sono suonati da due donne, che incarnano due tipi di femminilità e di temperamento: Venerea la prima, Giunonica la seconda.

Quali sono gli altri strumenti del quintetto?
C’è il corno francese, maestoso, solenne, cupo e potente. Lo suona un ragazzo che non è ben cosciente delle proprie potenzialità e dell’energia che lo muove dentro. Poi abbiamo il flicorno soprano, uno strumento simile alla più popolare tromba ma diverso nel timbro: il flicorno è più scuro e misterioso, come i versi di un poeta maledetto. Anche questo strumento è suonato da un ragazzo. E infine c’è il flauto, delicato e femminile, di origini antichissime che si perdono nella mitologia greca e di cui mi diverto a dare qualche accenno senza risparmiare gli aspetti più salaci.

Prima hai citato Venere e Giunone. Ora hai appena fatto cenno alle origini mitologiche del flauto. C’è forse qualche relazione tra il romanzo e il mondo classico o è solo una coincidenza che tu abbia citato figure della cultura greco-romana?
La relazione c’è, ed è molto marcata. Il romanzo si apre a Siracusa, antichissima città greca fondata dai corinzi che divenne potentissima e temuta perfino dalla stessa Atene. I ragazzi, con l’aiuto del maestro, riscoprono alcuni simboli e significati sedimentati nella profondità di questa cultura classica, aspetti di cui spesso non sono nemmeno consapevoli ma che continuano a riflettersi nella loro vita di tutti i giorni, nel modo di vivere i rapporti e prendere decisioni.

Ancora il maestro e il suo venire incontro agli allievi. È dunque un romanzo pedagogico?
In un certo senso sì, ma non vuole ammaestrare il lettore. È pedagogico per i personaggi, che crescono e si trasformano lungo un percorso ben tracciato, circoscritto, e non solo dai limiti temporali dettati dal trascorrere di una stagione, dall’unità di tempo di cui parlavo prima.

In che senso?
Nel senso che, oltre al tempo, lo spazio gioca un ruolo cruciale. Ce n’è uno esterno e uno interno. Quello esterno è il paesaggio che scorre sotto gli occhi dei personaggi nell’arco di un’estate. L’orizzonte siracusano sfuma in quello della Magna Grecia, e poi si sposta sull’Adriatico, passa per le Alpi, attraversa l’Europa centrale e raggiunge il Baltico. La luce si fa più rarefatta, i colori sbiadiscono, le emozioni si stabilizzano, i conflitti si razionalizzano, le passioni si accendono. È un viaggio che si dilata su un percorso lunghissimo e traboccante di diversità.

Questo, per lo spazio esterno. E quello interiore?
Non interiore ma interno. Lo spazio interno è angusto, scomodo, imbarazzante. Il maestro e i cinque allievi si impegnano a coabitare per tutta la durata del viaggio nella cabina di un camper. La vicinanza fisica genera intimità e promiscuità.

Dal modo in cui ne parli, sembra che la promiscuità sia un valore nel tuo romanzo.
Lo è. Certamente rappresenta un valore per un gruppo che vuole raggiungere attraverso l’armonia un risultato di rilievo, sia esso l’esecuzione perfetta di un brano musicale o la vittoria in una competizione agonistica. Il termine promiscuità ha generalmente una connotazione negativa, perché gli si affibbiano inutili moralismi. Al netto di ogni considerazione etica e morale, la promiscuità non è altro che la mescolanza di elementi diversi ed eterogenei. Credo che la mescolanza sia qualcosa che faccia progredire, qualcosa da vedere con ottimismo e positività. Tornando alle dinamiche di gruppo, la promiscuità genera affiatamento. Le migliori squadre non sono quelle fatte da singoli giocatori di grandissimo talento, spesso inguaribilmente egoisti e narcisisti. Le grandi squadre sono fatte, invece, di giocatori che si stimano a vicenda, che si aiutano, e che preferiscono trascorrere insieme anche il tempo libero al di fuori degli allenamenti.

Perché i tuoi personaggi si mettono in viaggio?
Il viaggio è necessario per raggiungere un luogo dove verrà eseguito un brano musicale composto dal maestro, che riceverà anche un premio. Questa è la ragione ufficiale. Poi c’è anche un altro motivo, più intimo e segreto, che verrà rivelato al lettore al momento opportuno. È anche una sorta di pellegrinaggio: fa parte dell’esperienza che i personaggi devono attraversare insieme.

Un’ultima domanda. Capisco che la musica ha un ruolo importantissimo nel tuo romanzo. Qual è il tuo rapporto con la musica, quali le tue competenze a riguardo, e cosa ti aspetti da parte del pubblico: è necessario che i lettori abbiano conoscenze musicali?
Nessuna competenza o conoscenza pregressa è richiesta al lettore. Chiunque può apprezzare la storia senza conoscere i fondamenti della musica. Anzi, forse è questa un’occasione per lasciarsi incuriosire, soprattutto per scoprire le similitudini tra linguaggio musicale e le emozioni della vita: l’estasi, il ritmo, le passioni, l’armonia e le dissonanze... Personalmente ho una discreta conoscenza della teoria musicale anche se non sono un musicista. Diciamo che sono stato accanto a persone che di musica sapevano tanto, e da loro ho imparato. Ma nel mio romanzo non parlo solo di musica: ci sono tanti altri temi affrontati, come la paternità in opposizione alla genitorialità, la formazione e l’apprendimento, la crescita, l’educazione, l’amore e la passione vissuti da un gruppo giovani che si trova a fronteggiare le prime vere sfide della vita e del mondo adulto.

Federico Rossi

Nessun commento: