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Musica e letteratura hanno un forte legame, indissolubile. Sono arti che si richiamano spesso; l’una influenza l’altra; si accompagnano creando un’unità sublime e commovente.
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Musica e letteratura hanno un forte legame, indissolubile. Sono arti che si richiamano spesso; l’una influenza l’altra; si accompagnano creando un’unità sublime e commovente.
La fotografia è l’arte del racconto di un istante, di un presente che diventa passato, ricordo, testimonianza. Gli scatti ricostruiscono la storia di ieri nel domani e mostrano al mondo realtà lontane nello spazio e nel tempo, ma sono capaci anche semplicemente di diffondere pura bellezza. Immergersi nell’opera di un artista della fotografia e seguirne la ricerca significa analizzarne lo sguardo, le sensibilità, il punto di vista. Tra le fotografe del passato maggiormente meritevoli di attenzione, vi è, senza dubbio, Julia Margaret Cameron.
Nella letteratura e nella musica, pochi simboli risultano tanto potenti quanto quello della “scimmia sulla spalla”, figura sfuggente, vischiosa, ineluttabile. È un’immagine che non si limita a rappresentare la dipendenza come condizione fisica, ma la trasfigura in stato dell’anima. In Junkie (in italiano La scimmia sulla schiena), William S. Burroughs ne fa il fulcro narrativo del suo memoir brutale e lucido sulla tossicodipendenza. Decenni dopo, in un’Italia molto diversa dall’America marginale degli anni Cinquanta, Eugenio Finardi ne raccoglie l’eco nella sua canzone La scimmia, usandola per raccontare la stessa lotta interiore, con la rabbia poetica di chi ha conosciuto il demone dell’eroina, ma ha anche intravisto una via di riscatto. Due linguaggi, due culture, un unico nodo oscuro: la scimmia sulla spalla.
Sovente le espressioni artistiche costituiscono delle forme di apertura verso il mondo completamente opposte rispetto al grado di riservatezza e introspezione di chi l’arte la fa, la crea. Molte personalità artistiche, infatti, respirano un sano e necessario silenzio che poi colorano attraverso l’arte da regalare successivamente al pubblico. In un mondo spesso falsamente brillante a tutti i costi, una scelta di discrezione può essere considerata strana o poco conveniente, ma se serve ad offrire maggiore voce alle opere e al talento, può rivelarsi un’opportunità vincente. Questa è la strada che ha deciso di percorrere una grande attrice italiana di cinema e televisione, Lea Massari, scomparsa pochi giorni fa alle soglie dei 92 anni.
Avevo capito però che c’era qualcosa oltre la grammatica. La possibilità del ritmo e delle storie.
Il panorama letterario italiano negli ultimi anni è diventato stantìo. I libri che ormai quotidianamente (e già questo è significativo della loro qualità!) escono anche da grandi case editrici ricalcano vecchi tópos con forme spendibili nel mercato. Basti pensare a quanti gialli vengano pubblicizzati come grandi portatori di tematiche storiche o sociali. La verità è che la capacità di uno scrittore è ormai diventata relativa: ciò che conta è accontentare il pubblico letterario, sempre più borghese e alla ricerca di rassicurazioni, non di stimoli.