La vita di Edvard Munch coincide con la sua arte. Non si tratta di un’espressione estrema, né di un modo esteticamente piacevole per definirla. Esprimendosi artisticamente, il pittore norvegese cercò sempre di ritrovare quell’equilibrio psichico e spirituale che purtroppo perse più volte, e a fasi alterne, per via delle dolorose vicende biografiche che lo riguardarono. Alla fine del secolo, in un’epoca ormai orientata verso un infinito progresso tecnologico, dove l’uomo (borghese) aveva ormai perso il contatto con i suoi simili e con la natura, il dipingere per Munch corrispose ad una via catartica per comprendere questa frattura e vivere attraverso essa, per accettare la solitudine non pretendendo di combatterla. Attraverso una serie di scritti dell’artista, che documentò spesso il proprio lavoro e la sua vita, in annotazioni, bozze, diari, che prendono la forma di ricordi (che egli lasciò alla città di Oslo), è possibile restituire il carattere della sua propria concezione di arte, oltre che di vita.