La Storia: che mostruosa creatura! Spaventosa per molti, indifferente ai più, affascinante per pochi, ma, come insegna Vico, è fatta dagli uomini e perciò, di questi, dovrebbe rifletterne le mancanze e le contraddizioni. Sarà per questo che la storia è creatura mostruosa? Sarà… Ma lo storico deve pur sempre porsi domande anche se, alla fine della corsa, le risposte resterebbero sempre più dubbiose piuttosto che persuasive.
Lo stesso termine “Storia” nasconde trappole mai del tutto disinnescate. Sin dalle primissime definizioni date, le ambiguità di senso si sono sempre palesate. Sarà bene quindi, prima di procedere, precisare le differenze intrinseche al significato di Storia. Il termine possiede sostanzialmente un duplice senso: può essere inteso come res gestae, gli eventi, le cose successe, o come historia rerum gestarum, il racconto, la narrazione sistematica e critica di queste vicende accadute. Sebbene Croce considerasse le due definizioni quasi equivalenti, oggi si tende a separarle, lasciando alla Storia la propria duplicità semantica, ma attribuendo alla Storiografia (l’historia rerum gestarum) il significato esclusivo di arte di scrivere la storia. Fatte le dovute differenziazioni, si concentrerà l’attenzione per il seguito della discussione sulla storiografia.
Nell’epoca florida del positivismo, la storia fu creduta affine alla scienza esatta. Eppure, gli innumerevoli tentativi di definirla per sempre come scienza paragonabile, ad esempio, alla fisica o alla chimica, si rivelarono effimeri. C’era sempre qualcuno che s’insospettiva, che storceva il naso, che avvistava mancanze strutturali; che forse ne vedeva la misera mano dell’uomo...
All’interno di questa diatriba, prolungatasi per almeno due secoli, e ancora oggi non spenta, c’è chi ha visto invece una forte assimilabilità della storia alla narrazione, al Romanzo. Del resto, poc’anzi, la storia era già stata pensata anche come narrazione. Per diversi intellettuali - tra i quali il più interessante e rappresentativo sembra essere lo storico Hayden White nato nel 1928 e attualmente professore emerito all'Università della California Santa Cruz e professore di letteratura comparata alla Stanford University - infatti, la storia, si ribadisce ancora una volta intesa come historia rerum gestarum, non può aspirare ad essere totalmente vera. Ne mancherebbero i requisiti ontologici per essere tale; e dunque non può essere scienza. È evidente l’influsso in quest’autore del relativismo e del costruzionismo, ma al contempo sembra possibile richiamare all’attenzione la teoria narrativistica di John Dewey. Quest’ultimo spiega che la storia è narrazione e non può essere spiegazione, come invece volevano i positivisti o certi teorici quali Carl Gustav Hempel. Per White però, nel suo Metahistory del 1973 la storia è essenzialmente narrazione, è attività retorica. L’opera storica ha una struttura letteraria, e dentro una simile definizione è possibile fondere la scrittura storica a quella del romanzo. La stessa storiografia diventa campo di ricerca: non più come scienza esatta, ma come narrazione, discorso; ovvero come fonte culturale. La storiografia, in estrema sintesi, si fa letteratura.
Alla luce di quanto detto, così, per puro diletto speculativo, proviamo a ribaltare i termini della discussione. Si ponga la domanda inversa: se davvero esiste corrispondenza tra storiografia e letteratura, non potrebbe la letteratura, la narrazione, il romanzo essere a sua volta storiografia?
In effetti, la lettura di pagine precise e indimenticabili sulla battaglia di Waterloo ne I Miserabili, le pagine straordinarie su Borodino descritte da Tolstoj (il quale aveva studiato negli archivi per ben cinque anni prima di scrivere Guerra e pace), oppure il primo capitolo de La certosa di Parma, potrebbero essere esempi indubitabili di romanzi e di autori che hanno fatto storia, hanno descritto fatti storici, sono entrati nel dibattito storiografico. E ci inducono a pensare che una certa simmetria tra storia e letteratura, in effetti, esista. Ma se allora esiste questa corrispondenza inversa, questo continuo travasarsi di uno stesso liquido in recipienti diversi tra loro, si potrebbe provare a cercare altre e nuove corrispondenze. Giochiamo allora con gli specchi, speculiamo sui riflessi, magari potrebbero spalancarsi nuovi cancelli da attraversare. Poniamoci un’altra domanda. Estremizzando, si potrebbe pensare il laboratorio entro cui fare storia ancora più ampio tanto da coinvolgere i recipienti dell’arte tutta? Se sì, la musica (si veda su tutte l’Overture 1812 di Cajkovskij, la quale rievoca il tentativo d’invasione francese della Russia, e la successiva ritirata dell'armata napoleonica), la pittura (Guernica di Picasso su tutti, realizzato, come si sa, dopo il bombardamento aereo della città omonima, durante la guerra civile spagnola da parte della Legione Condor della Luftwaffe tedesca il 26 aprile 1937), oppure anche il cinema (e gli esempi sarebbero sterminati) potrebbero essere modelli di retorica storica, come crede Hayden White? La storia dunque si farebbe arte? Diventerebbe arte? Storia e Arte, almeno un certo tipo di arte, si fonderebbero? Potrebbero coincidere? Possono raggiungere un punto, un contatto nel quale le differenze scomparirebbero?
Naturalmente una simile tesi, benché affascinante e non del tutto falsa, potrebbe essere oggetto di aspre critiche da più voci. Tuttavia, attaccabili o meno che siano simili posizioni, compresa quella di White, restano sempre di stimolo per il dibattito sull’oggettività del fatto storico, sulla soggettività “buona” dello storico, sul rapporto tra conoscere e valutare.
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