Antonio di Grado | Luigi Prestinenza Puglisi |
L'intellettuale è un signore che fa rilegare i libri che non ha letto. Leo Longanesi
Si sa, gli scrittori acuti hanno un aforisma "cattivo" per qualsiasi categoria. Non fa eccezione quella degli intellettuali e non fa eccezione - e come potrebbe - Leo Longanesi, uno che di sé diceva: «giudico tutto dall'abito... ho il coraggio di essere superficiale»; così come Miguel de Unamuno: «Il mondo intellettuale si divide in due categorie: da una parte ci sono i dilettanti, dall'altra i pedanti» e George Bernanos:«L'intellettuale è così spesso un imbecille che dobbiamo considerarlo tale fino a prova contraria».
La sterilità degli intellettuali rappresentata in La dolce vita e 8½, dell'anti-intellettuale Fellini, i testi che Luciano Bianciardi aveva fatto pubblicare nel 1967 sul rotocalco «ABC», e pubblicati in forma di libro recentemente col titolo: Non leggete i libri, fateveli raccontare, e con l'eloquente sottotitolo: Sei lezioni per diventare un intellettuale, dedicate in particolare ai giovani privi di talento. Sarà forse una sindrome tutta italiana, dunque, quella "passatofilia" - se è possibile estorcere al vocabolario questa forzatura terminologica - che ci fa vedere il presente come il peggiore dei tempi possibili, ma non credo che quelli che stiamo vivendo verranno ricordati come quelli che ci hanno preceduto.
Gli intellettuali italiani d'oggi - la cui capacità di "mordere" il potere è inversamente proporzionale al quantitativo di "latrati" che elargiscono a ‘favore di camera' - sembrano inani fantasmi di Canterville in cerca di suggestionabili imbecilli da spaventare. Esagero? Forse si, ma il vuoto che ci circonda sembra non lasciare dubbi.
Pier Paolo Pasolini (dal sito blackmailmag) |
Abbiamo chiesto al critico letterario Antonio Di Grado*, e al critico d'architettura Luigi Prestinenza Puglisi**, che si muovono su due mondi - la letteratura e l'architettura - mai come ora, in Italia, in stato postremo, un'opinione su tale questione. Il primo essendo direttore scientifico della Fondazione Leonardo Sciascia ed autore di svariati libri sul "maestro di Regalpetra", il secondo essendo acuto critico e sovente polemista, che con la sua PresS/Tletter ha trovato in internet un canale di diffusione della cultura architettonica, sostituitasi a quella più tradizionale delle riviste.
Abbiamo posto loro le seguenti domande:
«Crede che quello che taluni sostengano essere un momento di decadenza della figura dell'intellettuale in Italia sia un fenomeno solo nostrano, o andrebbe collocato in un più complesso quadro internazionale che permetta di giustificare l'eclissi di certe figure un tempo di "riferimento"? Perché oggi non ci sono più polemisti dello spessore di Pasolini o Sciascia (solo per fare due dei nomi più famosi)? Oppure si tratta del solito punto di vista di chi vede del proprio tempo solo il peggio e rimpiange un passato edulcorato?»
Antonio Di Grado risponde:
L'intellettuale, dal suo atto di nascita che risale al J'accuse zoliano (ma già la cultura russa aveva coniato la nozione di intelligencija), è l'uomo-contro, è l'apostolo e il martire del dubbio e del dissenso, della conoscenza come ricerca infinita e della comunicazione come spiazzante alterazione della prospettiva, come revoca in dubbio di certezze consolidate e verità di Palazzo.
La sua dimora non va cercata, perciò, in una chiesa o in una lobby, in un partito o in un'accademia, ma sempre in partibus infidelium, in prossimità del rogo o dello scandalo, nel teatro d'una coscienza tormentata dal rovello dell'autocritica, costretta a mettersi costantemente in discussione, a «contraddirsi» per «contraddire» (come non ricordare l'adagio di Sciascia? e come non affiancargli «lo scandalo del contraddirmi, dell'essere con te e contro te» esibito da Pasolini al cospetto delle ceneri di Gramsci?); e a fuoruscire dalle proprie certezze (fossero pure le più laiche, le più liberali) per confrontarsi con l'altro da sé, per incarnare credibilmente le ragioni dell'avversario. Come faceva Sciascia facendo dialogare, in ogni sua pagina, Montaigne con Pascal, o Gide con Bernanos.
O come quando - parlo sempre di Sciascia - opponeva ai suoi astratti portavoce, ai suoi esangui detectives, statuarie figure di antagonisti, credibili portatori di ragioni e culture antitetiche, e quanto mai veri, pulsanti di sangue e nervi, di idee coerenti e sinistramente affascinanti: come quel procuratore Riches del Contesto che reincarna e attualizza il Grande Inquisitore di Dostoevskij, come quel don Gaetano che in Todo modo celebra i funerali dello Stato immolandone i maggiorenti, o ancora come la vittima sacrificale, protagonista gloriosamente ingloriosa d'una straziante ed evitabile Passione, dell'Affaire Moro.
Sciascia, Pasolini. E i loro scritti "corsari" che ogni giorno c'imponevano di fare i conti con altre ragioni, di guardare da altre prospettive; di dilatare e talvolta stravolgere la nostra percezione, di smascherare alibi e slogan diffusi dal Potere e dai suoi aedi. Certo, quell'intellettuale è finito. Sopravvive, al contrario, l'erede dei chierici e degli ideologi che «suonavano il piffero per la rivoluzione» o l'organo per il consenso: è quel tecnico in camice bianco che alla passione dell'interpretazione e della demistificazione ha sostituito l'acritica e servile messa a punto dell'Ingranaggio, il Libero Mercato di saperi avalutativi e fungibili, l'opprimente incultura del management.
La risposta di Di Grado è colta e disforica, succosa, come le pagine degli evocati Sciascia e Pasolini, che con munificenza elargivano - dai libri, sui quotidiani, in televisione - la loro irresistibile carica "eversiva". È su questo punto che il critico si sofferma, la capacità di contraddire il presente di chi sta anche, e volontariamente, dalla parte del torto.
Secondo Prestinenza Puglisi:
Il fenomeno è internazionale ed è stato notato da commentatori anche non italiani. I motivi sono tanti. Provo a elencarne tre: il peso sempre maggiore della pubblicità nei media, la voglia degli intellettuali di partecipare al banchetto del potere, la distanza da eventi (quali la guerra) che hanno sollecitato le coscienze in direzione etica.
L'articolata risposta di Prestineza Puglisi è densa di spunti. La potenza della pubblicità nei media, che oggi tende a promuovere non un prodotto ma uno stile di vita, che suggerisce non solo acquisti ma pensieri e opinioni; i ‘consigli per gli acquisti' della TV commerciale, insomma, si sostituiscono agli spiazzanti punti di vista degli intellettuali. La evidente "corruzione" di molti intellettuali (che per tale ragione non lo sono più, essendo i due termini incompatibili) forse anche legata alla ben più complessa "eclissi" delle ideologie. La mancanza, infine, di prese di posizione "scomode", come ha sostenuto anche Di Grado.
Insomma, che l'intellettuale si sia eclissato tra le pieghe del potere sembra non esserci alcun dubbio. Certo, c'è anche da considerare il filtro dell'informazione di massa, che ostracizza, quando non censura, importanti prese di posizione. Si pensi a quelle, durissime, che il noto scrittore Andrea Camilleri - intellettuale peraltro non paragonabile, per statura, ai citati Pasolini e Sciascia - ha preso contro i governi Berlusconi; o quando, nell'aprile del 2002, Valerio Evangelisti ha scritto, per il mensile francese «Le Monde Diplomatique», il "duro" articolo "Intellettuali senza coraggio". Articolo che, nella versione italiana del mensile francese che il «Manifesto» è solita pubblicare, è sparito.
Il garbuglio della questione sembra non poter essere sciolto nemmeno dalla penna acuminata di Leo Longanesi, che ha dichiarato: «Non è la libertà che manca, mancano gli uomini liberi», ma quella era un'altra Italia.
Antonio Di Grado* è professore ordinario di Letteratura italiana nell'Università di Catania. Si è occupato prevalentemente dell’Ottocento della narrativa verista e del Novecento delle riviste e delle avanguardie, della narrativa tra le due guerre e infine di scrittori come Brancati, Vittorini, Sciascia e numerosi altri. Da Leonardo Sciascia è stato nominato direttore scientifico della Fondazione intitolata allo scrittore dopo la sua scomparsa; negli anni Novanta è stato assessore alla cultura del Comune di Catania e presidente del Teatro Stabile della stessa città. Ha pubblicato diversi volumi di storia e critica letteraria: tra gli ultimi ci sono Quale in lui stesso alfine l’eternità lo muta. Per Sciascia, dieci anni dopo (Sciascia, 1999), La lotta con l’angelo. Gli scrittori e le fedi (Liguori, 2002) e infine Giuda l'oscuro. Letteratura e tradimento (Claudiana, 2007). Inoltre ha curato l’edizione di opere di Leon Battista Alberti, di De Roberto, di Rosso di San Secondo, di Piero Jahier, di Giorgio Spini e di Brancati. Ha collaborato, in qualità di consulente storico-letterario, alla sceneggiatura del film che Roberto Faenza ha ricavato da I Vicerè di De Roberto.
Luigi Prestinenza Puglisi** è critico di architettura, e docente di “Storia dell’architettura contemporanea” all’Università di Roma La Sapienza. Scrive per importanti riviste d’arte e architettura come: «Domus», «L’Architettura», «Ottagono». Ha scritto testi per la RAI e svolto ricerche per il CNR. Coordina le sezioni “Scritti” e “Grandi Eventi” della Universale di Architettura, fondata da Bruno Zevi, edita dalla Testo & Immagine di Torino; le collane “Architettura oggi, nuove tendenze” e “L’architettura in pratica” della Testo&Immagine. Ha scritto Rem Koolhaas, trasparenze metropolitane, Testo&Immagine ,Torino 1997; HyperArchitettura, spazi nell’età dell’elettronica, Testo&Immagine , Torino 1998 (tradotto in inglese dalla Birkhäuser); This is Tomorrow, avanguardie e architettura contemporanea, Testo&Immagine, Torino 1999; Zaha Hadid, Edilstampa, Roma 2001; Silenziose Avanguardie, una storia dell’architettura: 1976-2001, Testo&Immagine , Torino 2001; Tre parole per il prossimo futuro, Meltemi, Roma 2002; Introduzione all'architettura, Meltemi, Roma 2004.
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