L’idea di far nascere una rubrica che si occupi della frontiera è prima di tutto un’esigenza, quasi uno sfogo necessario e dovuto. Questa introduzione inserita nel blog troverà in seguito la sua naturale collocazione in una sezione apposita dove verranno pubblicati gli articoli e tutto ciò che ruoterà attorno alla tematica della frontiera intesa nel suo termine più ampio.
Ci troviamo, come tutti sappiamo e siamo consapevoli, di vivere un periodo storico dove il concetto di comunicazione e di informazione viaggia per canali ultrarapidi interconnessi fra loro. Migliaia di informazioni, di scambi di idee e di concetti si diffondono in maniera capillare nel mondo tramite l’utilizzo di internet, di satelliti che artificialmente captano e trasmettono segnali in tempo reale.
L’informazione è accessibile, divorata, sbranata e sputata fuori dai mass media per la mandria globale senza nessuna pietà e rispetto. Inondazioni, terremoti, guerre e carestie vengono vomitate tramite schermi piatti tra un reality ed una soap opera quasi ci fosse uno sceneggiatore esperto che diriga con un tempismo perfetto i tagli e le scene da far vedere – l’inquadratura sul bambino moribondo adesso, poi primo piano sul militare rigorosamente in missione di pace che controlla le strade di una sperduta città islamica.
Tutto questo dinamismo mediatico in offerta speciale, scontato ai limiti dell’impossibile e proposto ventiquattrore su ventiquattro ovunque vi sia una connessione ad internet o una tv a disposizione, dovrebbe diffondere una coscienza globale, una rete telematica di valori che sensibilizzi l’opinione pubblica verso tematiche quali l’arricchimento culturale e l’integrazione. Purtroppo i risultati a lungo termine, esattamente come i cibi in scatola a lunga conservazione, non rivelano un miglioramento sulla qualità e sulla percezione delle informazioni, ma al contrario creano una chiusura culturale e una superficialità dei contenuti che generano nuovi blocchi e nuove chiusure a più livelli. Il problema della frontiera intesa come barriera ideologica e di autodeterminazione culturale diventa protagonista indiscussa della contemporaneità; si crea cioè un effetto boomerang: alla facilità di accesso alla conoscenza globale si associa una paura diffusa verso la diversità, si creano barriere ideologiche e culturali senza precedenti. Alla rete informatizzata virtuale si sovrappone un muro costituito da frontiere reali, vere e proprie barriere che hanno lo scopo di limitare, proteggere, dividere e separare ciò che è socialmente accettato da ciò che è sconosciuto e quindi “potenzialmente” pericoloso.
Si assiste in diretta alle celebrazioni per la caduta del muro di Berlino in mondovisione e si lascia nell’indifferenza la più lunga frontiera fisica costruita dai nordamericani al confine con il Messico. Ci si stupisce per gli innumerevoli episodi d’intolleranza all’interno dei contenitori cittadini e non ci si indigna per la quantità di immigrati lasciati nella disperazione col tentativo di raggiunger le coste europee nella speranza di un futuro migliore. Non si sa niente dell’altro, l’Europa rivendica la propria cultura elitaria senza però sforzarsi di capire ciò che succede al di fuori dei propri confini, ed anzi la politica protezionista ha la meglio sulla cultura dell’integrazione e dell’apertura all’esterno. Ci sono innumerevoli frontiere che si producono ogni giorno giustificate da un silenzio-assenso condiviso da chi sta dalla parte del mondo “sviluppato”, chiuso appunto nella sua frontiera dorata priva di porte e di accesso per chi dall’altro lato del muro vorrebbe entrarci e condividere questa ricchezza.
Lo scopo di questa rubrica è quindi quello di raccontare la frontiera da chi le ha vissute sulla propria pelle, chi ha attraversato il borderline tra un paese ed un altro, chi è arrivato nelle aree di frontiera estreme come l’Amazzonia o i deserti. Raccontare piccole storie per regalare pillole di tolleranza ed esperienze a ridosso dei confini istituzionali o naturali, sapendo perfettamente che la terra che si calpesta da una parte all’altra del muro è sempre la stessa ed essa non giudica se i piedi che la attraversano siano di questa o quell’altra etnia, di questa o di un’altra cultura.
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