Mentre la politica in Italia infiamma le discussioni come non accadeva da trent'anni, mentre è diventata cosa comune dibattere, anche in famiglia, di libertà di informazione e nuovi autoritarismi, la maggior parte degli artisti italiani sembra non avere il coraggio di prendere posizioni decise. Potrebbe anche solo essere una questione di scelte stilistiche, ma un regista come Michele Placido, che ha esordito dietro la macchina da presa con un film sul delicato caso della morte di Ambrosoli, (con la figura di Sindona e l'ombra politica dietro la P2) e che ha girato il fortunato, e per certi versi coraggioso, film sulla banda della Magliana, ha quest'anno presentato al Festival di Venezia Il grande sogno, il "suo" Sessantotto . In fuga dall'attualità, dunque, ma dentro una realtà che Placido ha vissuto in prima persona e che gli ha concesso l'opportunità di firmare la sua prima opera autobiografica.
Ma questo è stato l'anno di Baarìa, il kolossal "intimo" di Giuseppe Tornatore, che ha realizzato un film ancor più autobiografico dei precedenti.
L'ultimo della lista, in ordine cronologico, è Paolo Virzì il graffiante regista toscano che dopo il film in costume sull'esilio di Napoleone sull'isola d'Elba (con calibrate battute che gettavano collegamenti ipertestuali all'Italia di oggi) e dopo Tutta la vita davanti, sul precariato giovanile, dal 15 gennaio sarà al cinema con La prima cosa bella. Questa volta Virzì è tornato nella sua città natale, Livorno, con una storia familiare che dagli anni Settanta arriva fino ad oggi senza incontrare temi d'attualità. «Avevo bisogno di riconciliazione almeno dentro di me. E lavorare a queste storie di gente comune, di sentimenti antichi mi ha aiutato a riconciliarmi con me stesso, con il mio Paese e con la mia città. Livorno è il mio teatrino personale come Newark per Philip Roth, Boulder per John Fante o il Rione Sanità per Mario Merola» ha detto ad Alessandra Mammì che lo ha intervistato per «L'espresso».
Infine Dacia Maraini, da poco in libreria con la sua ultima opera, La ragazza di via Maqueda, trasfigura pezzi importanti della sua vita in 24 racconti, dalla Sicilia del dopoguerra alla Roma degli anni Sessanta. Dalle prime letture a Bagheria al rapporto con Moravia e Pasolini.
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