Il 9 novembre 1989 il mondo voltava pagina tra le urla di gioia, i brindisi e gli abbracci di una Berlino finalmente riunificata. Il crollo del muro, e poco dopo quello del comunismo sovietico, affermavano la grande vittoria dei princìpi democratici su quelli autoritari dopo anni di contrapposizione. In poco tempo milioni di cittadini europei scoprivano il diritto di voto e la libertà di espressione, determinando un’ondata di liberalismo insperata. Ma l’euforia è durata un decennio appena, perché un altro scossone modificava nuovamente gli equilibri mondiali, l’11 settembre 2001 cambiava nuovamente le regole del gioco…
Il crollo delle torri gemelle ha inevitabilmente prodotto un trauma, soprattutto per gli americani che, storditi da tanta violenza, chiedevano a gran voce di ristabilire l’ordine. Questo stato di cose ha reso necessarie nuove e straordinarie leggi antiterrorismo come il Patriot Act, una legge che aumenta i poteri dei corpi di polizia, di FBI e CIA, riducendo nel contempo la privacy dei cittadini e persino la libertà d’espressione. Uno degli esempi più eclatanti di questa legge era la possibilità, da parte delle autorità di sicurezza, di ottenere intercettazioni e traffico Internet dai provider, senza un mandato della magistratura o una notifica ai diretti interessati; inoltre con l’inizio della guerra antitalebana in Afganistan è stata aperta una prigione diversa dalle altre, Guantanamo. A Guantanamo venivano (e vengono tutt’ora) detenuti i combattenti talebani in deroga alla convenzione di Ginevra, ai diritti umani e alle leggi americane, giustificando le pratiche illegali come la violenza e la tortura (ricordiamo il famigerato waterboarding), e l’assenza di una difesa adeguata contro gli imputati. Una ferita profonda quella di Guantanamo, più volte ribadita da Amnesty International e dall’ONU, che assieme agli abusi sui prigionieri di Abu Ghraib hanno devastato l’immagine e i principi dell’America di Bush. Per non parlare poi delle extraordinary rendition, cioè il rapimento di sospetti terroristi nei paesi di residenza e l’incarcerazione verso luoghi dove la legislazione permette la pratica della tortura. In Italia questa tacita collaborazione con la CIA ha portato allo scoperto il caso di Abu Omar.
Anche la Russia, dopo una breve apertura democratica, ha sentito l’esigenza di modificare le proprie leggi in senso sempre più autoritario, restringendo le libertà individuali. Negli anni della presidenza Putin la Russia ha riacquistato una sua identità attraverso l’ordine e la stabilità. Dopo aver subito una serie di attentati di matrice cecena, le autorità militari hanno sfogato tutta la loro violenza contro i ribelli ceceni, ma soprattutto contro i civili, grazie al completo silenzio della comunità internazionale. Vittime di questo stato di cose sono stati anche i giornalisti scomodi come Anna Politkovskaja e molti altri. Per questa ragione l’istituto di ricerca americano Freedom House considera la Russia un paese dove la stampa non è libera; un concetto che accomuna in parte anche il nostro paese, classificato lo scorso anno sempre da Freedom House, come un paese con la stampa “parzialmente libera”. Le ragioni di casa nostra le conosciamo benissimo e le viviamo tutti i giorni attraverso le ripetute polemiche sulla chiusura di alcune trasmissioni televisive, o sul dibattito riguardo il cosiddetto “bavaglio all’editoria” di questi mesi. Una malattia che accomuna anche una nazione come la Francia, dove si respira un’atmosfera pesante tra i giornalisti, a causa di ripetute pressioni governative in merito ad articoli e servizi non graditi.
Di certo le limitazioni alla libertà di stampa in paesi come la Cina, avvengono in maniera più palese: i filtri ad internet, l’occultamento delle notizie e le limitazioni alla libertà personale sono un elemento caratterizzante di una nazione che cozza contro le aperture democratiche. Per alcuni cinesi il possibile avvento della democrazia fa paura, fa paura alla dirigenza politica che perderebbe il proprio potere, ma fa anche paura ad una parte della popolazione rassicurata da una crescita economica forte, in ragione di un governo stabile ed autoritario.
Singapore, una piccola nazione asiatica definita da Freedom House come una “democrazia autoritaria”, pur mantenendo periodiche elezioni generali garantisce il mantenimento al potere dello stesso partito e dello stesso leader. Questa distorsione della democrazia avviene col soffocamento della libertà di stampa tramite uno strumento assai efficace: la querela. L’uso improprio della querela attraverso leggi permissive, soffoca ogni possibilità di critica nei confronti del governo poiché si rischia con estrema facilità di pagare multe salatissime. Sicché i giornalisti quando escono fuori dai “confini del proibito” sono costretti a ritrattare. In questo caso il sedativo migliore concesso alla popolazione è quello dello sviluppo economico e della ricchezza. Singapore infatti in pochi anni è diventata una nazione ricchissima che ha visto ricadere sui propri cittadini un benessere insperato. Così tra le due nazioni asiatiche si crea una connessione ideale che spiega l’assenza di forti spinte democratiche.
Infine c’è la Gran Bretagna, una nazione che sembra voler attuare quel futuro distopico immaginato da Orwell nel romanzo 1984. Negli ultimi anni l’Inghilterra infatti ha raggiunto il primato mondiale sull’istallazione di telecamere per la sorveglianza del proprio territorio e delle città. Molte polemiche sono scoppiate riguardo questa anomalia, che consente alla polizia di individuare in real time la presenza di abusi o violenze, sparizioni o rapine. In una città inglese addirittura il Grande Fratello è divenuto realtà, attraverso un sistema di videosorveglianza che prevede la presenza di altoparlanti che, tramite un operatore, avvertono il cittadino d’aver commesso un abuso. Questo esperimento compiuto si unisce al proliferare di leggi antiterrorismo che, al pari degli USA, restringono le libertà individuali dei cittadini attraverso la pratica delle carcerazioni preventive anche in assenza di prove. In assonanza con Singapore, anche l’Inghilterra abusa del diritto di querela lasciandosi definire una nazione da “turismo da querela”, perché con facilità si ottengono rimborsi milionari per frasi dette o scritte, il tutto ovviamente a scapito della libertà di espressione.
Più in generale, se si analizzano ancora una volta le statistiche di Freedom House, si riscontra un repentino aumento del numero di nazioni considerate democratiche nel corso degli anni novanta del novecento sino a giungere, tra il 2005 e il 2006, al culmine. Dopo il 2006 invece la tendenza si è invertita, con un marcato declino nel corso dell’ultimo anno (2009). Se le nazioni libere diminuiscono, aumentano quelle “parzialmente libere” a scapito di quelle “non libere”; cioè le nazioni non abbracciano più i regimi totalitari ma i regimi misti o parzialmente autoritari.
Tuttavia oltre questi dati di mera statistica, viene alla luce il vero nodo del nostro discorso: il declino del concetto di democrazia liberale. Anche le nazioni con una lunga tradizione democratica mostrano sofferenza, attraverso un calo della partecipazione democratica dei cittadini, un disinteresse generalizzato verso le questioni politiche, e una vasta sfiducia verso i propri governi; l’influenza dei gruppi di potere economico-finanziario, i ripetuti scandali di capi di stato e ministri, alimentano una tale disaffezione e una carenza di “controllo democratico” da parte dei cittadini tali da consentire il dilagare degli abusi. Si aggiunga poi il crollo delle ideologie politiche che alimenta lo sfaldamento di un elettorato attento e puntuale, e poi quell’inevitabile ricambio generazionale sotto l’ombra dell’appiattimento culturale. Così nel disinteresse generale diminuisce l’importanza dell’informazione, si sottovaluta l’arretramento delle libertà e il perpetuare di nuovi abusi; si accetta passivamente persino lo smantellamento dei diritti sul lavoro, in poche parole si sgretola la base stessa della democrazia.
Il benessere ha indubbiamente cambiato il comportamento dei cittadini, li ha resi innocui e poco solidali, calpestando inconsapevolmente la radice di passate conquiste. In fondo certe scelte attuate dai governi sono ancora espressione dei cittadini, nonostante tutto, attraverso la pressione dei sondaggi, degli scioperi e delle proteste. Se la tradizione democratica di molte nazioni viene meno, dobbiamo necessariamente valutare il mancato contributo individuale che inevitabilmente influirà sui nostri stili di vita e sul nostro futuro.
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