«Il manicomio è un condominio di santi. So' santi i poveri matti asini sotto le lenzuola cinesi, sudari di fabbricazione industriale, santa la suora che accanto alla lucetta sul comodino suo si illumina come un ex-voto. E il dottore è il più santo di tutti, è il capo dei santi, è Gesucristo.» Così ci racconta Nicola i suoi trentacinque anni di "manicomio elettrico", e nella sua testa scompaginata realtà e fantasia si scontrano producendo imprevedibili illuminazioni. Nicola è nato negli anni sessanta,"i favolosi anni sessanta", e il mondo che lui vede dentro l'istituto non è poi così diverso da quello che sta correndo là fuori – un mondo sempre più vorace, dove l'unica cosa che sembra non potersi consumare è la paura.
È uscito il primo Ottobre il film La pecora nera tratto dall’omonimo libro e spettacolo teatrale di Ascanio Celestini, attore, regista e scrittore di impegno civile, di quel teatro che nasce e respira fuori dall’edificio teatrale che risponde al bisogno di superare i modi produttivi e distributivi, ma anche le censure implicite, del sistema teatrale il quale non viene rinnegato, ma integrato ad altre possibilità e modalità di comunicazione.
Il film prima romanzo, poi spettacolo teatrale, ha convinto anche al Festival di Venezia. La Pecora nera, la storia di un matto rinchiuso per 35 anni in un istituto psichiatrico, ed è lo stesso Celestini che interpreta Nicola.
Lo spettacolo nasce per la volontà di raccontare la storia di una rivoluzione contro le istituzioni e la fine dei manicomi testimonia che è possibile vincere una battaglia anti-istituzionale, una battaglia però persa dal protagonista Nicola rinchiuso in manicomio che negli anni ’60 come dice lo stesso Celestini era una sorta di discarica sociale, un archivio di esseri umani senza alcun tentativo di cura, le persone non si curavano perché bisognava renderle velocemente gestibili e l’elettroshock era di facile aiuto in questo.
Il film non vuole essere un racconto politico ma semplicemente una storia di disagio dentro un luogo che può essere definito come una sorta di lager in cui una volta entrati non si usciva più, ma che grazie alla legge 180 del 1978 che ne impose la chiusura definitiva nessuno più vi è entrato.
Cristina Dipietro
Nessun commento:
Posta un commento