Non, come credono i più, con il piacere vergognoso e disonesto, pieno di lusinghe, della sensualità, ma con una certa tranquillità interiore dell'anima, per la quale essa rimane serena nelle circostanze felici e in quelle avverse, paga dei propri beni, senza alcun rimorso di peccato che possa tormentarla.
Al chiaro del lumicino della solitudine, il filosofo francese, in un sogno (artificio tipicamente medievale), è chiamato a giudice da tre personaggi, differenti e apparentemente molto lontani tra loro, per considerare la superiorità di una o di un'altra religione. Questi personaggi, come recita il titolo, sono un filosofo pagano, il quale non riconosce alcuna rivelazione scritta; un giudeo, di cui si apprezza la chiusura e la cocciutaggine; e un cristiano, dietro cui si vela lo stesso Abelardo. Siamo ben lontani dalla presenza tra essi di uno scettico autentico, e meno che mai di un ateo; tutti e tre, infatti, credono e venerano un unico Dio. Ciò non toglie originalità al libro.
Nel 'Dialogo', oltre ad affiorare ovviamente il pensiero, emerge il carattere e il ritratto del filosofo concettualista. Non mancano occasioni, appunto, in cui il grande pensatore medievale si definisce colto, razionale, intelligente; è, a dire il vero, sottilmente egocentrico e superbamente autocelebrativo.
Il tono del confronto tra i tre personaggi è cortese, anche se le domande, soprattutto del filosofo pagano, sono taglienti e conservano finanche un vaghissimo sentore di zolfo. Le risposte - ma è nella natura intima delle religioni... - sono sempre incerte, imprecise, lontane dalle consequenzialità della logica. Quest'ultima è macchinosamente distorta e stravolta da sofismi e da definizioni che non hanno nulla di verificabile. L'umiltà dei toni però mitiga il pensiero e tale status di approssimazione.
Come nella storia delle dispute filosofico - teologiche (almeno fino alla fine del '600), si creano alleanze. Qui, i due religiosi, in forza alla loro comune osservanza di un testo rivelato, si alleano contro il pagano. Il filosofo potrebbe scovare tutte le contraddizioni nascoste, marcarne tutte le altre palesi, con più coraggio, ma Abelardo è e resta un filosofo dall’animo cristiano. Rimane comunque un trattato coraggiosissimo per il suo tempo. In alcuni momenti pare di leggere un Pascal, un Cartesio, un Hume ante litteram. Alcune righe fanno presumere pure accenni, invero senza esplosività, di discussione sulla tolleranza che, invece, si terranno almeno cinque secoli dopo. Manca ancora la pesantezza e la gravità del problema; del resto siamo in un periodo di dominio incontrastato del pensiero cristiano…
Nel disquisire di etica e di precetti morali, la conversazione diviene filosofia morale di matrice aristotelica. Oltre a ciò, il filosofo pagano, il quale tiene in mano le redini della discussione, che pone le domande, che pone i dubbi e stimola la riflessione, mette in risalto, oltre alle assurdità di certi divieti, una dimensione erotica che è tipica del filosofo che subì l’evirazione coatta. Eppure, se nel confronto con il giudeo è il filosofo che lo incalza e lo stuzzica con le sue domande, in quello con il cristiano è quest'ultimo che pressa e provoca il filosofo.
Il confronto ha, è ovvio, un solo scopo: sottolineare la superiorità della ragione e religione cristiana. Per ottenere ciò, naturalmente, ma noiosamente, il testo è infarcito di citazioni bibliche.
Nonostante l’attualità, la vivacità, il rigore delle questioni affrontate nel ’Dialogo' abelardiano, resta un libro antiquato e ormai superato. Le logiche adottate sono figlie di un'epoca genuflessa e sottomessa alla potenza dell'ignoranza e della pavidità e non c'è scampo per le ovvie conseguenze...
Le foto e i post, se non diversamente specificato, sono state realizzate da Salvatore Calafiore e si possono trovare, insieme ad altro, su: http://salvokalat.blogspot.com/
Salvatore Calafiore
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