Vivere appieno, assecondare le proprie tendenze in concomitanza con le proprie capacità è un processo naturale che stempera non solo lo stato di frustrazione al quale oggi noi tutti siamo soggetti, bensì amplifica il margine di umanità. Cosa significa? L’amplificazione del margine di umanità si ottiene vivendo non nella modalità dell'avere, bensì secondo quella dell'essere, per riprendere la nota dicotomia di Erich Fromm. Fondare la propria esperienza umana lasciandosi attraversare anche e per lo più da quei desideri innati, piaceri personali, che differenziano tra loro gli individui rendendo varia una codificazione umana oggi improntata alla spersonalizzazione dell’individuo, è il Weg, (il percorso, la via) sfida dell’uomo moderno.
Se il desiderio animale in natura “deve”, appunto, assecondare un bisogno naturale in strictu sensu, il desiderio dell’uomo può avere una diversa radice ed un diverso risultato. Ad esempio l’arte, che pure ad una attenta analisi potremmo annoverare tra i risultati dell’energia sessuale in eccedenza e dunque prodotto delle esigenze naturali in senso più lato, l’arte, dicevamo, è l’espressione più bella del desiderio dell’uomo. Il piacere di plasmare, vedere ultimata la propria opera d’arte, è un’esigenza, il richiamo, non solo della forza ontica nel senso di volere “avere” l’opera in sé, di poterla toccare o grazie ad essa di ricevere un compenso monetario. In questo senso l’artista-uomo avverte un’esigenza, direi, di tipo mistico che lo chiama ad un’esperienza ultrasensibile, spingendolo a mettere in “essere” l’opera; il sentimento che lo pervade non è certo di tipo economico- dunque del tipo “avere” – bensì di tipo emotivo, dunque in direzione dell’“essere”. Tutto ciò che passa dalla pancia, le emozioni innate dell’uomo che lo scuotono interiormente e che apparentemente non ritrovano un riscontro, un ritorno nel quotidiano, possono già identificare un particolare stato dell’uomo che si contrappone a quello preventivo e calcolato delle scelte rispondenti ad esigenze di tipo contingente.
Ora, tutto questo ragionare altro non vuole chiarire quanto sia oggi fondamentale riconoscere il bipolarismo dell’uomo: se da una parte l’uomo risponde alle forze della natura che su di lui agiscono, assecondando la Wille (la volontà) ad una forza di tipo schopenhaueriano, da un’altra parte egli pure può esprimersi liberamente e in modo autentico (Eigentlich) abbandonandosi alla corrente del sentimento o anche dell'essere. Essere e sentimento di primo acchito non sembrano coincidere. Eppure l’“essere” di cui parla Heidegger, così come l’“essere” di Fromm, è quell’area geografica interiore, quel piano profondo e illimitato, che non può abitare se non nell’interiorità, nella profonda sfera soprasensibile dell’uomo. Far coincidere l'essere con l’interiorità non è però cosa semplice. Prendiamo, al fine di riconoscere la somiglianza dei due aspetti, la dicotomia heideggeriana tra il già citato ontico e ontologico. Ho parafrasato, nel precedente articolo, il significato di ontico facendolo coincidere, metaforicamente, ad una scatola, a ciò che è fassbar (comprensibile, nel senso che si può catturare). Al contrario ontologico è ciò che è unfassbar, ciò la cui conoscenza non passa direttamente dal mondo sensibile, dalla modalità fattuale, tattica e cosale. L’aria corrisponde all’interno dell’esterno – la scatola -, e l’interiorità è dunque l’essenza della cosa, dell’esteriorità. Nella modalità dell'avere, riprendendo in linee generali il pensiero di Fromm, l’uomo tende ad assecondare delle esigenze che rispondono piuttosto a necessità dettate dalla società massificata e omologata, una società che coincide con il limite del Man (si impersonale, voce della terza persona singolare).
Quando parliamo del Man intendiamo rifarci al pensiero heideggeriano che divide la vita in “autentica” ed “inautentica”. Il si impersonale siamo tutti noi, i quali viviamo secondo delle regole precostituite e tramandate dalle quali sono nati dei comuni modi di vivere secondo le generiche frasi come: “si fa così, si dice così” ecc. Dire si equivale a dire noi come massa, in quanto insieme di uomini che vivono nel modo in cui si deve vivere. Oggi si tende ad assecondare i bisogni impersonali frutto di cristallizzazioni imposte nel tempo nel nostro assetto societario. Oggi si potrebbe ad esempio parlare di una esigenza economica alla quale il Man – appunto l’uomo spersonalizzato – tende in quanto è solo nella modalità del possesso di denaro, e quindi di potere, che la società riconosce un individuo, quest’ultimo irriconoscibile a se stesso perché distante anni luce dal suo essere e disperso nella mera condizione che lui stesso, in quanto uomo, ha dettato per se e per i suoi simili.
Non è cosa difficile portare degli esempi: oggi si “è” qualcuno se, a differenza della massa, si possiede qualcosa che la massa stessa non ha perché non avente i mezzi economici necessari. Si parla qui, allora, semplicemente di un possesso cosale, che investe la modalità del possesso, dunque la struttura dell’“avere”. Il possesso di cose, o più in dettaglio di denaro e del conseguente potere da esso derivante, si muove sul piano del verbo “avere” e raramente questo coincide con l’appropriazione del proprio “essere”.
Oggi chi possiede qualità interiori, come un animo buono e altruista, è scambiato, per lo più nell’attuale contesto italiano, per uno sciocco, uno stupido. Sembra che siano proprio le buone qualità di un individuo a giustificare l’arroganza e l’aggressione comportamentale degli approfittatori. Al contrario, dinanzi al vuoto ideologico ed umano di tipi furbi ed irrispettosi, coperti solo di denaro e arroganza, oggi la coscienza popolare di nuova tendenza sembra essere accondiscendente mostrando quella passività che si afferma mediante il silenzio e l’ abnegazione alla critica degli atteggiamenti al di sotto di una certa Etica minima, come titola uno degli ultimi lavori di Rovatti.
La distruzione di un’etica fondamentale, che stia alla base e regoli una società civile, è dunque il risultato di una corsa parossistica al desiderio di “avere” e non più di “essere”. Ritornando alla dimensione del vivere secondo l’“avere”, questa si realizza oggi, tra le svariate possibilità, attraverso internet. Grazie ad internet oggi è possibile usufruire in ogni momento e in ogni dove – pensiamo ad esempio ai cellulari con accesso immediato alla rete – delle notizie di cui si necessita. In questo caso si annulla la dimensione dell’attesa come passaggio emozionale fondamentale, si supera lo stallo fantasioso, l’attesa nella quale l’uomo si realizza anche come essere aperto alle molteplici possibilità a lui aperte. Insomma internet ci mostra quanto oggi l’esistenza dell’uomo dipenda e sia improntata alla dimensione dell’“avere” (ottenere ad esempio la notizia o acquistare il prodotto, il tutto in tempi ristretti). Nell’ingurgitare quel possibile immaginario del “può essere”, fagocitato dall’immediato ottenimento del “così è”, l’uomo è alla stregua di una macchina, egli reagisce ai comandi innescati senza che egli intraveda la dimensione del “può essere” perché “già è”. Portiamo qui un esempio: se io ho bisogno di ottenere una informazione – di tipo non assoluto - mi rifaccio ad una risposta fruibile, già data. Io, in quanto uomo pensante, annullo la mia possibilità di riflessione, perché ho già una informazione, un dato che io prendo per buono e che in un certo senso manipola in maniera inconscia il mio possibile pensiero, il mio “può essere…”. Ciò non significa che tutte le informazioni già date siano parziali e che tutti gli uomini accettino a priori, senza riflettere, informazioni loro date. Questo è, però, lo scenario causato dalla pericolosa azione del si e dall’allontanamento dell’uomo dalla forma dell’“essere” in favore dell’“avere”. Vivere secondo l’“essere” significa, infatti, vivere comprendendo il mondo, realizzandosi in quanto individui mediante le proprie capacità di discernimento e giudizio. Per vivere secondo la modalità dell’“essere”, l’uomo deve saper interiorizzare, far proprio l’input esterno, non senza averlo elaborato, riflettuto, su un piano personale.
Disponendo della soluzione immediata all’esigenza, l’uomo ha pian piano perso uno Schritt, un passo fondamentale: l’atto del pensare. Pensare è la chiave di volta dello sviluppo umano e individuale che permette una evoluzione umana e non meccanica degli uomini. Non pensare significa interrompere lo svolgimento imprescindibile di ogni progresso culturale ampio e colloca l’uomo alla stregua di una macchina, di un mero oggetto passivo, distante da se e dai suoi simili. È per questo che fanno rabbrividire le parole di chi galvanizza una certa campagna socio-culturale scevra da un processo culturale che può essere dato solo passando attraverso la conoscenza, il sapere e l’attesa, paziente, del pensare.
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