Il linguista settecentesco Melchiorre Cesarotti, già traduttore di Omero e di Ossian, nel suo saggio Sulla filosofia delle lingue introduce il concetto di Genio, inteso come il carattere originario e tipico di un popolo. L’intellettuale affronta questo argomento per contrattaccare le tesi dei cosiddetti “puristi” del linguaggio, i quali rifiutano categoricamente la possibilità che nella lingua italiana possano entrare parole straniere. Secondo loro, infatti, l’uso di qualsiasi termine alloglotto corromperebbe irrimediabilmente il nostro idioma.
Il ragionamento del linguista padovano si basa sul fatto che ogni lingua, così come ogni popolo, ha delle caratteristiche proprie che lo rendono unico e riconoscibile. Per genio, quindi, possiamo intendere l’inclinazione naturale di una determinata cultura, la sua indole, il suo spirito o, insieme, le sue caratteristiche più intime.
Ma come mai parto da così lontano, da considerazioni forse troppo erudite e, in apparenza, per niente pertinenti? Perché, guardando le immagini di The face of tomorrow, mi è venuto in mente proprio Cesarotti e il suo Genio. Face of tomorrow è un progetto open source che si basa sul morphing, ovvero la creazione di compositi facciali generati dalla sovrapposizione di immagini che vengono interfacciate via software in base ad alcuni punti notevoli, come il profilo degli occhi, del naso e così via. Pioniera di questa tecnica è un’artista americana, Nancy Burson, che ha sviluppato software usati anche dalla polizia per il riconoscimento e il ritrovamento di bambini rapiti.
Mike Mike, fotografo sudafricano che ha studiato negli Stati Uniti e che ora vive in Turchia, quindi personalità estremamente cosmopolita, ha sviluppato un’idea semplicissima, totalmente libera, aperta alla collaborazione di tutti e quindi di portata davvero mondiale. Le linee guida di Mike sono semplici e chiare, reperibili dal suo sito e riassumibili in poche parole: chi vuole cimentarsi con The face of tomorrow deve scegliere un luogo qualsiasi, scattare 100 foto frontali a 100 giovani maschi e a 100 giovani donne tra i 20 e i 25 anni d’età che passano da lì in quel momento e inviare a lui le foto. Mike poi fa il resto: prepara le immagini, identifica i punti notevoli e crea i morphing, che chiama composite, con un software open source per Linux. Il risultato è sorprendente: Mike ottiene un’unica immagine che è la somma delle singole immagini che la compongono. Si tratta di un volto, sia maschile che femminile, che incanta per la sua innocenza e per la sua armonia. Per questo ho pensato a Cesarotti: quel volto rappresenta il Genio di quel luogo. È la media fisica, l’archetipo somatico, l’essenza dell’esteriorità del giovane autoctono. E ciò stupisce per la sua elementare semplicità.
Il sito è navigabile con estrema facilità. La Home page contiene la presentazione del progetto e un’immagine che varia facendo vedere random alcuni ritratti. Cliccando su The faces si entra nella schermata principale, in cui è presente una mappa del mondo e in cui è possibile scegliere una tra le città che finora hanno partecipato al progetto. Per l’Italia c’è solo Firenze, per l’Europa Londra, Lisbona, Pamplona, Amsterdam e Colonia. Il progetto è in continuo ampliamento, perciò di mese in mese gli stati mappati aumentano. Dopo aver selezionato un luogo, si viene indirizzati ad una pagina che a sinistra presenta il composite maschile e a destra quello femminile. Al centro, una dopo l’altra, scorrono le fotografie iniziali e, più sotto, sono presenti una serie di informazioni sulla città e sugli immigrati che la abitano. Volendo, è possibile ottenere un poster ad alta risoluzione che contenga i ritratti finali ed una selezione di immagini di partenza. Tutte le immagini sono contenute anche in un libro fotografico che è possibile acquistare dal sito stesso.
Cosa pensare guardando i composite? Che i volti risultanti sono tutti bellissimi, che le espressioni sono sempre sorridenti, tranquille ed innocenti. È possibile, città per città, vedere le singole foto: sembra inverosimile che, da una tale varietà di persone scelte casualmente, cariche della propria vita, della propria quotidianità e dei propri difetti, il risultato sia un essere quasi angelico, etereo e delicato. Cosa si perde nel passaggio? Forse si perde la fenomenologia dell’io, sostituita da quella del noi che esiste solo in una dimensione astratta, ideale ed immaginaria. Se Leopardi sostiene che non può esserci una massa felice composta da individui infelici, Mike dimostra che è possibile ottenere un volto stupendo a partire da singoli brutti, e ciò, in fondo, consola, perché quella bellezza esiste in ognuna delle persone che si sono prestate a questo esperimento.
Ciò che stupisce, inoltre, è che i volti risultati sono assolutamente plausibili: senza scomodare i composite asiatici o sudamericani, che non sono a noi così familiari, prendiamo in considerazione quelli italiani. Il giovane e la giovane fiorentini, che per sineddoche possono rappresentare l’intera Italia, sono ragazzi normalissimi: capelli castano scuro, occhi scuri, carnagione chiara, lineamenti delicati e gentili. Se incrociati durante una passeggiata pomeridiana, passano del tutto inosservati; se presentati da un conoscente comune, possono generare la classica considerazione: «Ma ci siamo già visti da qualche parte?».
Altro aspetto curioso è che tra le persone fotografate insieme ai fiorentini ci sono anche asiatici, magrebini e ragazzi di colore. In che modo la loro presenza lascia traccia nell’immagine finale? Oggi in maniera trascurabile, anche se, a ben vedere, il fine di Mike è quello di rappresentare il volto del futuro, tenendo in considerazione globalizzazione e multiculturalismo. Non per niente, il titolo del progetto è The face of tomorrow. Il fotografo, nell’indicazione delle linee guida, scrive che la sua è «un’esplorazione dell’identità umana, modificata dalla forza della globalizzazione». Chissà se si otterrà tra cinque o venticinque anni lo stesso risultato o la migrazione mondiale cambierà il nostro Genio. Qualcuno potrebbe storcere il naso di fronte ad una possibilità del genere; tuttavia, nelle intenzioni di Mike c’è la volontà di registrare questi passaggi, fino a quando non si raggiungerà un archetipo mondiale, in un futuro in cui, parole sue, «la razza o l’identità individuale non saranno più importanti fonti di divisione, così come sono oggi». Per Mike, il giorno in cui il morphing restituirà un volto identico in tutto il globo sarà il giorno in cui ogni differenza tra individui causata dall’aspetto fisico verrà annullata e quindi il giorno in cui il razzismo sarà veramente sconfitto. Simbolicamente, allora si potrà dire che avremo scoperto il volto di Adamo ed Eva.
Per ogni città è possibile ottenere un poster ad alta risoluzione che contiene i due composite
e alcune delle immagini di partenza.
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Mike, alla maniera dei naturalisti, crede che l’artista sia come uno scienziato, che dovrebbe registrare il mondo così com’è, ed ha costruito un modello che permette di coglierne sincronicamente la forma profonda e, diacronicamente, i cambiamenti. Forse le sue convinzioni sono troppo audaci e ingenue; però hanno permesso l’ideazione di un progetto che interessa in vario modo anche la sociologia e l’antropologia.
All'interno delle singole pagine, sono presenti a destra e a sinistra i composite femminile e maschile.
Al centro ruotano le immagini di partenza.
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Cosa penserebbe Cesarotti guardando queste immagini? Farebbe difficoltà a comprenderle oppure a lui sembrerebbero naturali implicazioni della modernità? Forse in esse troverebbe la dimostrazione dell’esistenza del suo Genio, stavolta non linguistico ma etnico, in continua evoluzione così come sono in evoluzione le culture e le persone che le animano. Tutto in barba ai puristi, anche in questo caso non linguistici ma etnici, che vorrebbero congelare la realtà condannandola ad un imbarbarimento rancoroso e xenofobo.
Il volto del domani, quindi, nasce oggi, forse negli sguardi innocenti dei composite che generano gli algoritmi di Mike. E, forse, nella purezza del loro sguardo riusciamo a trovare anche un po’ di fiducia nel futuro.
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