Chi non ha mai usato Google Street View per curiosare, per guardare la propria casa, il proprio quartiere o una città che vorrebbe visitare? Michael Wolf, un fotografo tedesco, però, ha usato questo servizio per scattare delle fotografie senza mai spostarsi dal proprio appartamento. Ha passando ore ed ore su Google alla ricerca di particolari curiosi o significativi. Quello che ha ottenuto è la raffigurazione un giorno di straordinaria quotidianità in un mondo che scorre fluviale nella sua normalità.
Michael Wolf negli ultimi anni ha condotto un interessante processo di ricerca fotografica, soprattutto dedicato all’interazione tra le nuove tecnologie e la fotografia. Le sue immagini hanno come soggetto esclusivo l’essere umano, declinato attraverso decine di possibilità differenti. Il suo è un mondo totalmente antropizzato in cui l’uomo riempie lo spazio a propria disposizione, in maniera geniale ed inquietante allo stesso tempo.
Da 100x100. Nel quartiere popolare di Honk Kong, al centro di appartamenti di 100 piedi quadrati,
raccontano tutta la loro esistenza mediante una singola immagine.
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In 100x100 il fotografo ha ritratto l’interno di 100 monolocali di un vecchio condominio popolare di Hong Kong, abitato da anziani e le cui dimensioni sono, appunto, di 100 piedi per lato, equivalenti a meno di 40 metri quadri. Impressionano queste immagini perché ognuna di esse contiene un’intera esistenza, compressa e messa in mostra in un angusto spazio che, di per sé, dovrebbe abbrutire chi lo vive. Invece, ciò che colpisce di più è la dignità dei soggetti che, al centro del proprio appartamento, troneggiano sorridenti sopra tutto ciò che possiedono accumulato ai lati delle pareti.
In Tokio Compression, invece, Wolf fotografa una metropolitana giapponese durante l’ora di punta. Queste immagini, ansiogene ed angoscianti, rappresentano i pendolari grondanti di sudore e schiacciati contro le finestre delle carrozze. Spesso i vetri sono bagnati per la condensa, perciò i volti appaiono trasformati e quasi astratti. Solo qualche mano appare perfettamente nitida e proprio su quella si concentra lo sguardo di Wolf. Però nessuno ha un’espressione arrabbiata: nessuno sdegno, nessun fastidio per quei volti. Solo rassegnazione, come se fosse necessario, nel proprio sistema, subire per lavorare anche quella ulteriore tortura.
In Tokio Compression, invece, Wolf fotografa una metropolitana giapponese durante l’ora di punta. Queste immagini, ansiogene ed angoscianti, rappresentano i pendolari grondanti di sudore e schiacciati contro le finestre delle carrozze. Spesso i vetri sono bagnati per la condensa, perciò i volti appaiono trasformati e quasi astratti. Solo qualche mano appare perfettamente nitida e proprio su quella si concentra lo sguardo di Wolf. Però nessuno ha un’espressione arrabbiata: nessuno sdegno, nessun fastidio per quei volti. Solo rassegnazione, come se fosse necessario, nel proprio sistema, subire per lavorare anche quella ulteriore tortura.
Da Tokyo Compression. La metropolitana di Tokyo all'ora di punta.
Il sovraffollamento schiaccia le persone ai finestrini.
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Le ultime serie di Wolf, invece, hanno avuto una grossa eco ed hanno suscitato anche numerosissime perplessità. Il fotografo ha scattato immagini del mondo senza muoversi dal proprio appartamento. Ciò attraverso Google Street View, progetto avviato nel 2007 che sta lentamente effettuando una sorta di mappatura delle principali città del mondo mediante un procedimento che associa una serie di immagini alle loro coordinate Gps e che permette poi di ottenere su schermo un’unica immagine navigabile con un angolo di visualizzazione pari a 360° in orizzontale e 290° in verticale.
Le automobili di Google non avvertono del suo passaggio, quindi le fotografie immortalano lo stato delle cose in maniera diretta, senza filtri. Wolf, come tutti, ha curiosato su Internet e ne ha saggiato le possibilità; poi si è chiesto se non potesse adoperarlo in maniera più creativa. Ha perciò iniziato a cercare in quelle figure delle possibili fotografie, ovvero delle situazioni imbarazzanti, curiose, significative o particolari. Una volta trovate, Wolf ha preso la macchinetta e ha fotografato lo schermo. Dopo un anno di ricerca, il progetto ha preso forma e gli ha permesso di pubblicare alcune serie che hanno come soggetto delle immagini rubate da Google Street View.
La più curiosa è Street view fuck you, che raccoglie una serie di persone che poco gentilmente mostrano il dito medio al furgone di Google che passa. La più interessante, però, è sicuramente Street view: a series of unfortunate events. In essa sono raccolte immagini che raffigurano momenti stravaganti, imbarazzanti o anche pericolosi che il furgoncino di Google ha immortalato: una donna fa la pipì nascosta dietro la macchina, un ragazzo cade da una bicicletta, un cerbiatto attraversa di corsa la strada, un uomo è steso a terra e un altro cammina con un mitra in mano. Wolf non dice il luogo da cui le immagini sono tratte, ma questo non è importante perché quello che vediamo mediato dallo sguardo di Wolf è il mondo così com’è: spontaneo, variegato, sfuggente, complesso, ambiguo e terribile. Guardandole, infatti, ci chiediamo: «Dove va quell’uomo con il fucile?», «Perché quella vecchietta è sdraiata a terra?», «Cosa sarà successo a quell’uomo investito dall’automobile?»
Nelle immagini selezionate da Wolf c’è gioia, c’è stupore, c’è rabbia e c’è disperazione. Ma quello che sconvolge di più è che si tratta di immagini reali, scattate per caso da Google e poi scovate da Wolf nella tranquillità della propria stanza.
Tuttavia, sebbene siano reali, non sono vere perché appaiono evidentemente virtuali: si notano linee dello schermo insieme ai volti e alle targhe delle automobili sfocate affinché non siano riconoscibili. Qual è il senso di questo, allora? La risposta è complessa e sicuramente non esauriente. Provando un tentativo, possiamo dire che ormai siamo abituati al virtuale e non ci stupisce più vedere in Internet la nostra casa fotografata per conto di un colosso americano; possiamo dire che siamo abituati a conoscere il mondo attraverso la mediazione televisiva o fotografica (tutti abbiamo visto le piramidi, ma in quanti siamo andati in Egitto?) e che siamo sempre più curiosi e vogliosi di guardare il mondo da una posizione privilegiata che ci consenta di osservare senza però mischiarci. Bene, Google Street View permette tutte queste cose insieme e Wolf l’ha intuito, sfruttandolo creativamente.
Le automobili di Google non avvertono del suo passaggio, quindi le fotografie immortalano lo stato delle cose in maniera diretta, senza filtri. Wolf, come tutti, ha curiosato su Internet e ne ha saggiato le possibilità; poi si è chiesto se non potesse adoperarlo in maniera più creativa. Ha perciò iniziato a cercare in quelle figure delle possibili fotografie, ovvero delle situazioni imbarazzanti, curiose, significative o particolari. Una volta trovate, Wolf ha preso la macchinetta e ha fotografato lo schermo. Dopo un anno di ricerca, il progetto ha preso forma e gli ha permesso di pubblicare alcune serie che hanno come soggetto delle immagini rubate da Google Street View.
La più curiosa è Street view fuck you, che raccoglie una serie di persone che poco gentilmente mostrano il dito medio al furgone di Google che passa. La più interessante, però, è sicuramente Street view: a series of unfortunate events. In essa sono raccolte immagini che raffigurano momenti stravaganti, imbarazzanti o anche pericolosi che il furgoncino di Google ha immortalato: una donna fa la pipì nascosta dietro la macchina, un ragazzo cade da una bicicletta, un cerbiatto attraversa di corsa la strada, un uomo è steso a terra e un altro cammina con un mitra in mano. Wolf non dice il luogo da cui le immagini sono tratte, ma questo non è importante perché quello che vediamo mediato dallo sguardo di Wolf è il mondo così com’è: spontaneo, variegato, sfuggente, complesso, ambiguo e terribile. Guardandole, infatti, ci chiediamo: «Dove va quell’uomo con il fucile?», «Perché quella vecchietta è sdraiata a terra?», «Cosa sarà successo a quell’uomo investito dall’automobile?»
Nelle immagini selezionate da Wolf c’è gioia, c’è stupore, c’è rabbia e c’è disperazione. Ma quello che sconvolge di più è che si tratta di immagini reali, scattate per caso da Google e poi scovate da Wolf nella tranquillità della propria stanza.
Tuttavia, sebbene siano reali, non sono vere perché appaiono evidentemente virtuali: si notano linee dello schermo insieme ai volti e alle targhe delle automobili sfocate affinché non siano riconoscibili. Qual è il senso di questo, allora? La risposta è complessa e sicuramente non esauriente. Provando un tentativo, possiamo dire che ormai siamo abituati al virtuale e non ci stupisce più vedere in Internet la nostra casa fotografata per conto di un colosso americano; possiamo dire che siamo abituati a conoscere il mondo attraverso la mediazione televisiva o fotografica (tutti abbiamo visto le piramidi, ma in quanti siamo andati in Egitto?) e che siamo sempre più curiosi e vogliosi di guardare il mondo da una posizione privilegiata che ci consenta di osservare senza però mischiarci. Bene, Google Street View permette tutte queste cose insieme e Wolf l’ha intuito, sfruttandolo creativamente.
La cosa importante è che Wolf, con quest’ultima serie ha ottenuto una menzione d’onore nell’edizione 2011 del World Press Photo, importantissimo concorso internazionale di foto giornalismo. Ciò, ovviamente, ha suscitato moltissimo scalpore, perché in molti sono in disaccordo con la giuria del premio che da diversi anni esalta il lavoro di professionisti che quotidianamente rischiano la vita per scattare fotografie che documentano la realtà e la verità dei fatti. Lo stesso Wolf si è detto stupito del premio, perché la sua partecipazione al concorso è stata una provocazione che però la giuria ha accolto e messo in evidenza.
Il genere in cui Wolf si è cimentato, ribaltandone completamente i canoni, è la street photography: il fotografo cammina per la città e scatta quando vede qualcosa che lo colpisce. È un genere diffusissimo che esiste da quando esistono delle macchine portatili e Henry Cartier Bresson ne è forse il maestro assoluto. Ma quella di Wolf può essere considerata vera street photography? I fattori che si cercano in un’immagine street sono l’aderenza alla realtà, l’assenza di manipolazioni, l’abilità nella scelta del soggetto e del punto di vista. Le immagini di Wolf non contemplano tutti questi punti: sono aderenti alla realtà, ma, in quanto riproduzioni di immagini già virtuali, sono doppiamente lontane dall’originale; hanno un soggetto interessante, ma la scelta del punto di vista è stata fortemente limitata dall’immagine di partenza. Queste foto, però, hanno una carica iconica fortissima, legata soprattutto al processo di metariflessione che inevitabilmente generano nello spettatore. Forse non si tratta di street canonica, ma sicuramente è un’interessante variazione sul tema, che rende l’esperimento di Wolf più vicino all’arte che al fotogiornalismo.
Il genere in cui Wolf si è cimentato, ribaltandone completamente i canoni, è la street photography: il fotografo cammina per la città e scatta quando vede qualcosa che lo colpisce. È un genere diffusissimo che esiste da quando esistono delle macchine portatili e Henry Cartier Bresson ne è forse il maestro assoluto. Ma quella di Wolf può essere considerata vera street photography? I fattori che si cercano in un’immagine street sono l’aderenza alla realtà, l’assenza di manipolazioni, l’abilità nella scelta del soggetto e del punto di vista. Le immagini di Wolf non contemplano tutti questi punti: sono aderenti alla realtà, ma, in quanto riproduzioni di immagini già virtuali, sono doppiamente lontane dall’originale; hanno un soggetto interessante, ma la scelta del punto di vista è stata fortemente limitata dall’immagine di partenza. Queste foto, però, hanno una carica iconica fortissima, legata soprattutto al processo di metariflessione che inevitabilmente generano nello spettatore. Forse non si tratta di street canonica, ma sicuramente è un’interessante variazione sul tema, che rende l’esperimento di Wolf più vicino all’arte che al fotogiornalismo.
Le reazioni possibili a queste immagini sono diverse: qualcuno le osserverà divertito; qualcun altro si perderà nel medium, ignorandone le implicazioni di significato; qualcun altro ancora, invece, reagirà al provocatorio discorso di Wolf interrogandosi sul suo senso. In ogni caso, è impossibile dissociarsi da ciò che si guarda, perché forse una copia del reale così innocente ed ingenua non l’avevamo mai vista.
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