Nel vivere quotidianamente le inconcludenti vicende di casa nostra tutto ci appare ormai scontato e banale, come se certi atti o certe vicende fossero entrate nel novero dell'abitudinario. Sicché l'immagine stessa che da italiani percepiamo di noi stessi, così frustrati da un grave senso di inferiorità e sottostima, ci induce a palesare un pessimismo verso il presente e in misura maggiore verso il futuro.
La settimana scorsa sono stato in Germania per un viaggio di piacere e nel contempo per un viaggio di confronto costruttivo con una realtà a me distante. Il dialogo con gli italiani all'estero che ho avuto modo di sviluppare, prevedibilmente era incentrato sui fatti di casa nostra attraverso l'amara consapevolezza d'un perpetuo stato di arretratezza culturale. Ma ciò di cui noi stessi con nonchalance ci disinteressiamo, negli "stranieri" trova un vivo interesse specie per ciò che attiene la nostra cultura, il nostro modo d'essere e non da ultimo la "fisicità tattile e visiva" dei nostri paesaggi.
Ancor più viva è stata per me questa identificazione nel visitare il liceo di un piccolo paese della Germania dove l'italiano è una lingua conosciuta e studiata; quel giorno gli studenti leggevano Ammaniti, ma il nostro arrivo ha trasformato quell'ora di lezione in una chiacchierata (ovviamente in italiano) sulle vicende di casa nostra con ovvie domande sulle vicende politiche con tanti di ironie sugli scandali del premier. Provare a rispondere motivando le ragioni di certe nostre "bizzarrìe" acuiva interiormente un'amarezza senza fine (amarezza condivisa anche dagli stranieri appassionati dell'Italia) e un'indicibile imbarazzo.
Dagli studenti poi il confronto s'è spostato agli insegnanti tedeschi di italiano, persone attente al nostro paese e amanti di tutto ciò che riguarda l'Italia, tanto da trasmettere attraverso la nostra lingua o la nostra letteratura i tremila anni di storia che hanno influenzato il pianeta. Un amore vero, appassionato, talmente sincero da far svanire tutto d'un tratto le passate sensazioni. Così inevitabilmente mi sono chiesto se non siamo collettivamente passibili, noi italiani, di lesa maestà non amando a sufficienza ciò che il nostro passato ha prodotto: cotanta cultura, arte e bellezza di cui oggi ne dimentichiamo persino l'appartenenza.
Se davvero riuscissimo a guardare con occhio mutato ciò che disprezziamo fin troppo spesso (anche a ragione) ciò che minimizziamo per abitudine, ci accorgeremmo che questo incanto di cui siamo immersi possiede in sè un orgoglio che fin troppo spesso non riusciamo a percepire.
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