La tirannia allestisce da sé la propria camera riverberante: uno spazio vuoto i cui segnali confusi vagano qua e là a casaccio; dove un mormorio o un accenno qualsiasi creano panico, così che alla fine è probabile che l'apparato della repressione svanisca non a causa di una guerra o di una rivoluzione, ma di un soffio, o della voce delle foglie cadenti...
Ispirato a una storia vera, l’ultimo romanzo di Chatwin ha un sapore esistenzialista. Angoscia, inquietudine, abbandono, rifugio, illusione, fusione sembrano le categorie su cui si fonda l’intera storia.
Il narratore, alla ricerca di informazioni sulla passione collezionistica dell'imperatore Rodolfo II, si imbatte in Kaspar Utz, uomo ricco e per discendenza aristocratico. Dentro la Storia - in una Praga prima nazista e poi comunista - il barone Utz colleziona porcellane, e per le sue statuette si lascia trasportare dagli eventi, ne asseconda i singoli momenti fino a oscurarsi del tutto, a cancellarsi dall'essere uomo e diventare un tutt'uno con la sua collezione. Mania, morbosità, ossessione, lo porteranno da un lato a rovinarsi la vita, lo costringeranno alla prigionia dell’esistenza, dall'altro a trovarsi un appiglio su cui sostenersi per fare fronte agli eventi, alle sorprese della storia che con i suoi macigni lo investono. Le porcellane, la loro fine bellezza e perfezione diventano quindi un progetto, un’illusione per fare fronte all’insensatezza e alla bruttezza della realtà. Il protagonista e le porcellane diventano quindi la stessa cosa: un'alchimia arcana che solamente la morte potrà separare. Tanto che, morto Utz, per un ironico gioco a nascondere di quest’ultimo, le porcellane non saranno ritrovate. Il narratore supporrà che siano state distrutte, quasi a volere indicare ancora che senza di lui la collezione non poteva esistere, non poteva avere un significato in sé oltre gli inganni della Storia e del mondo.
Lo stile giornalistico, poco suadente in verità, è molto veloce. Il romanzo non è diviso in capitoli; un unico muro di parole che raffinatamente descrive l'ossessione, la perversione di Utz per le sue statuette di porcellana. L’analessi è l'artificio retorico che lo scrittore inglese usa per descrivere la viscerale passione del collezionista praghese.
Curiosità: la collezione di porcellana di Meissen fu ritrovata nel 2001, diversi anni dopo la morte dello scrittore inglese.
Le foto e i post, se non diversamente specificato, sono state realizzate da Salvatore Calafiore e si possono trovare, insieme ad altro, su: http://salvokalat.blogspot.com/
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