La TV italiana, si sa, è sempre stata “buonista”, piaciona; ingenuamente in lotta contro un mondo “brutto sporco e cattivo”, da combattere coi sentimenti buoni – quelli di una volta – le virtù dell’educazione, della mediocrità, e di un garbato razzismo. È tutta un’esaltazione di pii sentimenti, moralità e religiosità ostentata che mi ricorda – chissà perché – il manganello fascista.
Dalla «TV del dolore» mi sembra si sia passati, in questi ultimi flatulenti anni, alla «TV del pianto». Nel senso che tutti piangono; ma la cosa più sorprendente è che non fanno finta – no – piangono per davvero! Dunque non parlo dell’intrinseco connotato televisivo – la finzione – ma dell’emozione. Non mi pare che in passato si sia visto un tale plotone di occhi umidi come in questi ultimi anni.
Personaggi televisivi, volti noti e inutili, solidi professionisti della TV generalista, non si scompongono se, intervistati, vene chiesta loro la grazia di qualche cattiveria, o dettagli della loro intimità. Ma quando si va sui sentimenti “buoni” – la famiglia, i figli, le umili origini, gli esordi incerti – non trattengono le lacrime. È chiaro, sono vicende personali, cose “sentite”, non lo metto in dubbio; ma ve li immaginate voi Biagi, Montanelli, Baudo, Giancarlo Giannini – per fare nomi a caso – che, appena viene mostrata loro un’immagine del paesello natio o viene chiesto un ricordo dei genitori, gli si inumidiscono gli occhi, balbettano, annaspano nell’emotività gettando via il loro aplomb professionale?
Non è una critica, la mia – beh, forse un po’ – ma è soprattutto una constatazione. È come se nel bagaglio dell’educazione, che ci impone di non dire parolacce, di non annoiare gli altri con le nostre inquietudini, si sia perso per strada la regola di trattenere l’emotività. È come se i personaggi televisivi si sentano autorizzati a lasciarsi andare.
D’altronde «l’uomo, si sa, è come la Coca-Cola. Basta scuoterlo un po’ e attacca a spruzzare di tutto. Sangue e sentimenti. Calore e risentimento. Tutto di fuori».
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