L'esistenza di Dio non può infatti venir dimostrata dai miracoli, se non si riconosce già un Dio; ciò che ha l'apparenza di miracolo può sempre venir posto a carico di un'ipotesi più probabile che non l'interferenza di un Essere, della cui effettiva esistenza tale miracolo sia supposto costituire l'unica prova.
Le riflessioni milliane sulla religione sono ancora oggi attuali, specialmente se pensiamo al dibattito contemporaneo sulla bioetica. L’atteggiamento pacato, illuminista, tollerante, quasi stranito – l’atteggiamento di chi non possiede certezze - dovrebbe essere da esempio per tutti quegli attori che in questi anni dibattono accanitamente sui temi religiosi e sulla libertà di scegliere il proprio stile di vita. Certo, non tutti sono dubbiosi, e non tutti possono esserlo… Ma cerchiamo di capire le conclusioni che il pensiero milliano ha originato.
Il primo dei tre saggi è dedicato alla natura, alla sua definizione e al problema morale che ne consegue. Le movenze concettuali del filosofo inglese sono razionali. Dapprima si tenta di definire il concetto ‘natura’, da esso, poi, inizia l'analisi. Ovviamente l'attenzione linguistica è fondamentale quando si cerca di spiegare un termine, e Mill in questo è scrupolosissimo. Definita quindi con tutte le sue sfaccettature la 'natura' - ovviamente nell'accezione positivista - il filosofo britannico si chiede se sia morale per l’uomo intervenire su essa. Il problema irrisolto della religione sul male nella Natura, che inevitabilmente si propone al filosofo nella sua disamina, lo porta a considerare le nozioni ambigue e contraddittorie di onnipotenza e infinita bontà di Dio. Se, alla fine, Dio non può essere onnipotente, secondo Mill è l'uomo che deve agire sulla natura, per cercare di dare un superiore ordine morale al mondo.
Il secondo saggio invece, dedicato all’utilità della religione per l’uomo e per la società, è di matrice prettamente utilitaristica. Mill costata che la religione, la sua dogmatica verità, dopo le scoperte scientifiche e filosofiche del XVIII e XIX secolo, è messa in discussione; e solo da questo momento, dunque, è possibile cercare di capire se sia utile o meno. Il filosofo attua una forma di pulizia della morale cristiana, la morale dettata dall'alto e quindi ritenuta superiore e assoluta, osservando come invece sia anche storicamente determinata e ancora di buon senso (e quindi riconosciuta e vincente).
L’impressione è che il metodo e le domande siano pertinenti, eppure resiste qualcosa che non mi soddisfa; forse ciò è dovuto all'assenza di coraggio, e di estremismo, che ne esalti le scoperte.
L’ultimo saggio è dedicato al teismo. Qui Mill cerca di mostrare positivamente - ma non dimostrare - come l'idea di un Dio o degli dei possa essere conciliabile con l'esperienza scientifica (dimenticandosi però di mostrare, d’altro canto, come l'idea opposta, ovvero che la scienza possa essere compatibile con l'idea di inesistenza della divinità, sia altrettanto plausibile). Sono riprese senza sottintesi le argomentazioni humeiane, senza però lo stesso sguardo perforante e provocatorio del filosofo scozzese. Ne viene fuori un significato ottimistico della religione: in fondo induce speranza, un propellente positivo per l'uomo e la società. Quasi si scorda che la scienza e la ragione hanno il compito, sebbene spesso senza sorrisi, di smascherare la menzogna e l'illusione.
Benché interessanti e apprezzabilissimi per lo stimolo intellettuale che riescono a produrre anche oggi, i saggi non possiedono la forma persuasiva e combattiva che invece hanno altri scritti di diversi autori sullo stesso tema. Domina un degno sostrato scettico, onestamente agnostico, ma è pavido e indefinito. Resta, alla fine, un respiro di libertà, un riconoscimento della diversità dei caratteri umani, un plauso alla libertà della ricerca della verità, delle verità.
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