20 dicembre 2011

La morte di Godot e il pensiero calcolante. L'impotenza del pensiero nei tempi moderni


aspettando Godot

Se vi è un grande assente nei nostri giorni, è proprio il caso di dirlo, è l'assenza stessa. Ogni silenzio è riempito da vuote chiacchiere, dal suono della musica o da quello della televisione. Se oggi noi dobbiamo fare i conti un «ospite inquietante», per citare Heidegger, mancante al banchetto della cultura occidentale degli ultimi anni, é proprio l'assenza. Ogni posto vuoto è prontamente riempito, ogni silenzio stroncato, ogni necessità assecondata, ogni disturbo violentemente sradicato per non sentirne il dolore, l'impressione di un vuoto nello stomaco. 

Quanto pesa oggi non avvertire l'assenza di ciò che è importante? Quanto peso si ha, o si è, se nessuno, nessuna cosa è indispensabile?
Nella dimensione odierna dell'immediata rintracciabilità e non indispensabilità, quali conseguenze possiamo tracciare e come va rivista la posizione dell'individuo in un quadro così umanamente impoverito? Il pericolo sotteso nella mancanza di avvertire una mancanza credo sia possibile leggerlo non solo in termini stretti nel mero ragionare filosofico. Al contrario. Non vedere il posto vuoto dinanzi a sé e non avvertirne la mancanza, il vuoto che esso provoca, è la conseguenza disumana di una cultura impoveritasi e disumanizzatasi e stretta nella mera duttilità e nell'impoverimento del pensare le cose e le persone.

Attesa, di Edward Hopper
Attesa, di Edward Hopper

I personaggi apparentemente confusi che aspettano Godot, nel chiamarlo e nell'attesa chiusa e desiderata di quel nome – e si badi non di quella presenza che appunto manca e si “fa” nel nominarlo e non nel trasfigurarsi in una forma avente spazio e forma – fanno di quello stesso nome, Godot, l'assente principale, il protagonista indiscusso in forma di mistero. Il peso dell'assenza si fa qui “senso”, in un certo senso è l'assenza stessa ad elevare su un piano divino e metafisico l'assente che non può rispondere, che non è dato vedere e simile a Dio risponde all'esigenza umana di “pensare” quel vuoto, riempiendolo di senso.
“Godot è morto!” si potrebbe ora gridare parafrasando la celebre frase di Nietzsche, perché nell'assenza dell'assente non si dà più alcuna probabilità all'improbabile, a Dio.
Nella mancanza di godere l'assente vi è un grande pericolo, forse mai considerato da questa prospettiva, ossia la chiusura dinanzi a un modo di vedere la realtà che esclude totalmente i benefici del silenzio, della mancanza: gli effetti dell'attesa. Nell'attesa si aprono orizzonti, si gioca con la fantasia, si aprono ipotesi e dibattiti. Nell'attesa si impara a pensare. L'attesa impone la riflessione e la sospensione temporale ordinaria. Nell'attesa non esiste il “perdere tempo”, bensí ci si eleva sull'usuale modo di considerare il tempo utile, così come noi oggi lo rileviamo - secondo il modo ontico, appunto – e nella perdita del comune modo di avvertire l'attesa si incontra se stessi. L'inutilità dell'aspettare, del rispettare l'attesa, è insito il più grande pericolo del nostro tempo. È l'impazienza che accompagna l'uomo della vicenda biblica di Adamo ed Eva che raccolsero il frutto proibito non solo perché curiosi, bensì perché incapaci di esperire e contenere una curiosità traboccante o, in altre parole, perché incapaci di vivere pienamente la propria curiosità lasciandola tale.
L'indifferenza dell'uomo nei riguardi di una dimensione tragicamente perduta dell'arte del tacere in vista di un abbandono all'esperienza edonistica dei sensi, è l'indifferenza dell'uomo verso una parte del proprio modo di essere che si sta irrimediabilmente perdendo, riducendo l'uomo a una mera cosa con cui o di cui chiacchiera, toccare, vedere ma non sentire.
Se liberarsi dal defunto Godot ha innalzato l'uomo a un grado superiore del suo essere è oggi una considerazione che segue il passo delle conquiste della tecnica e della scienza. Certamente quel pensiero calcolante di cui parla Heidegger ha fatto dell'uomo una presenza che non si fa immaginare o pensare ma è reale quanto è reale il predominio della tecnica nei nostri tempi. E allora la domanda: «tutto dovrà cadere nella morsa della pianificazione e del calcolo, dell'organizzazione e dell'automatizzazione?» (Martin Heidegger, L'abbandono). E io aggiungerei: tutto avrà un volto? Ogni domanda una risposta? E allora anche Godot si affaccerà con gran stupore dei personaggi in attesa che lo nominano - e che non hanno alcun desiderio se non quello di fantasticare – incarnando il volto della banalità odierna?

attesa

Ecco allora che aspettare coincide con un altro verbo dalla stessa potenza umana: lasciare andare le cose, abbandonarle, abbandonarsi. Nell'abbandono alle cose, spiega Heidegger, si attua la più umana di tutte le azioni: il pensare. Pensare acquista qui un peso che si fa necessità capace di contrapporsi al disumano pensiero calcolante. Secondo la lettura di Heidegger, il pensiero calcolante è quell'atto-non atto che caratterizza l'uomo dell'era atomica, del nostro tempo. È il pensiero asservito all'evoluzione-involuzione sfrenata della tecnica che totalizza e distrugge l'attesa, quest'ultima indispensabile per il pensiero meditante.
L'uomo che non sa attendere Godot e che non si abbandona al mistero che il nome dell'atteso rievoca, è l'uomo odierno catapultato in una “rivista illustrata” dai moderni mezzi di comunicazione - o meglio di non comunicazione visto l'impossibilità di esporre le proprie idee durante un talk show televisivo, come arguisce giustamente Pasolini in una intervista -.
Attesa, abbandono, pensiero meditante e apertura al mistero risultano essere l'unica via per l'uomo per riconciliarsi al proprio mondo, al proprio essere. Ma oggi la via più seguita, la più semplice, è la radicale rinuncia del pensiero in vista di un abbandono negativo alla fiducia della tecnica, che non insegna a meditare, che impone velocità ed esemplificazione delle azioni.
I moderni personaggi in attesa di Godot sembra, ora, quasi di vederli appisolati sul divano dinanzi alla TV, ipnotizzati dal chiacchierio non più ispirato dall'abbandono al pensiero. Volevano solo ammazzare il tempo durante l'attesa e si sono ritrovati a dimenticare chi stessero aspettando.

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