Dodici maghi danzavano un girotondo sotto la grande campana di Saint-Jean. Uno dopo l'altro evocarono la tempesta, e rintanato nel mio letto contai spaventato dodici voci che in processione attraversarono le tenebre.
Ispiratosi evidentemente alla drammaticità di una certa pittura e al fantastico romantico di Hoffmann, tanto che il sottotitolo recita: «Fantasie alla maniera di Rembrandt e di Callot» - il primo a simboleggiare i chiaroscuri dell'interiorità, il secondo la forma dell'apparenza –, Bertrand ci anticipa alcune delle successive idee 'maledette', simboliste e surrealiste. Opera sperimentale, alchemica direi, in cui si incontrano e coagulano fantasie medioevali, pittura, musica, poesia, prosa, filosofia.
Il narratore incontra un misero uomo con il quale intavola una discussione filosofica sulla poesia e sull'arte. Non esauritasi, il misterioso uomo consegna al narratore un libro, Gaspard de la Nuit appunto, il cui autore è lo stesso uomo, il diavolo in persona si verrà a sapere poco dopo. Il libro (costellato da infiniti spazi bianchi e diviso in sei libri, e il terzo, così lunare e misterioso, è il più affascinante) si articola in un caleidoscopio di brevissimi racconti, pennellate pittoriche su luoghi rivisti nei ricordi, territori notturni e spettrali, lune piangenti e gnomi malefici. Tutto questo nel tentativo di trovare e carpire il valore e il senso della poesia. Ma gli elementi romantici sono ancora troppo forti: Dio, Amore, Natura, Storia, Sentimento, Idea, sono tutti concetti vetusti e superati.
Nonostante l'originalità della forma e della poetica, il poema puzza di vecchio. Un fiore magari, ma decomposto (non in senso baudelaireiano).
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