28 febbraio 2012

Nothing personal. Il gesto che si fa parola

Nothing personal

Nothing personal (2009), storia di un incontro. Un film che si fa testimone dell’indicibile, di una solitudine cercata e infranta.

Annie (Lotte Verbeek) sceglie l’erranza per sottrarsi al dolore. Sul suo cammino, sulla fuga da lei scelta, inciampa nella vita di Martin (Stephan Rea). Un uomo, un’isola – perché ogni uomo è tale - che le offre cibo in cambio di lavoro. La donna accetta, a condizione che le reciproche identità – esistenze - non vengano mai svelate l’un l’altro. Niente di personale fra loro. Da questo silenzio Annie e Martin imparano a convivere; sullo sfondo di una natura resa particolarmente silente, quasi a non voler infrangere il loro patto, imparano a cercarsi, a toccarsi, a frugare dentro di loro senza mai chiedere, mai fare domande. Il contatto è sempre mediato ma costantemente ricercato: le alghe, i muri, la musica, il rumore e il tatto delle lenzuola, si fanno veicoli del loro imparare ad amarsi, muti testimoni di un rapporto puro e delicato, che si sottrae ad ogni definizione sterile, perché il linguaggio è troppo povero “e non si può competere con la perfezione”. Non resta allora che il gesto, infinitesimali attenzioni, domande stroncate alla gola, regali impalpabili, fissati nell’attimo, nel frammento.

Un racconto. Poetica del mostrare e del non detto.


Lo sguardo della regista Urszula Antoniak si posa sulla vicenda senza essere invadente, non violando mai l’intimità dei due protagonisti. Eppure il film si rivela intenso, commovente, testimone di un Altro fatalmente irriducibile a noi. Non ci è dato sapere nulla, fuorché l’azione, questa scheggia di vita esibita. Esiste solo il gesto che si fa parola senza portare messaggio.
Il non detto si fa carne – tatto - e ciò che resta è il vuoto. 


Michela Donatelli

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