Negli ultimi giorni si è fatto un gran parlare della retrospettiva che la Tate Modern di Londra sta dedicando a Damien Hirst, il più famoso e quotato artista inglese al mondo. Il dibattito si è aperto a causa di un intervento del critico Julian Spalding, ex direttore dei musei di arte contemporanea di Manchester, Sheffield e Glasgow, dunque una persona autorevole. In un'intervista sull'«Indipendent» si scaglia contro l'artista inglese affermando che la sua non è arte e che i collezionisti farebbero meglio a vendere le opere di Hirst in possesso prima che si svalutino del tutto.
La posizione del critico ha suscitato un vespaio di polemiche, tra chi è a favore e chi contro questa presa di posizione, che appare più che altro contro un processo di involuzione dell'arte contemporanea. In effetti quando il valore di un artista si misura sostanzialmente per il valore di mercato delle opere e non per la vera essenza delle opere stesse, qualche dubbio corre.
Se da un lato il critico Francesco Bonami dalle pagine de «La Stampa» afferma che: «discutere di Hirst significa azzerare la storia dell'arte degli ultimi cent'anni» dall'altro è curioso notare come in risposta ad un sondaggio sull'arte contemporanea la maggior parte degli italiani ponga dei dubbi, delle perplessità, o consideri l'arte contemporanea un mistero se non un modo per far soldi.
Personalmente mantengo una posizione critica nei confronti dell'arte contemporanea, non tutta ovviamente (ammiro i lavori di Fontana e Burri) ma detesto il proliferare di concetti vacui dell'arte odierna. Quando posso vado alle mostre ma non posso nascondere un certo distacco se non la sensazione d'essere preso in giro! Guardando le immagini dell'esposizione di Londra di Hirst, francamente ritrovo la medesima impressione; sicché da semplice appassionato d'arte non posso non dare peso alle parole dure di Spalding quando dice: «[Hirst] non riesce a trasmettere alcun sentimento: è solo un imprenditore di se stesso.» Sarà una sciocchezza, ma come la società ha perso i riferimenti a causa del consumismo, così (a mio avviso) l'arte ha perso la sua poesia a causa dei soldi.
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