Non esistere più per nessuno, vivere come se non si fosse mai vissuti, bandire l'evento, non avvalersi più di alcun momento né di alcun luogo, svincolarsi per sempre da ogni assoggettamento! Essere liberi significa emanciparsi dalla ricerca di un destino, rinunciare a far parte sia degli eletti sia dei reprobi; essere liberi significa esercitarsi a non essere niente.
Di fronte a un pensatore come Cioran possiamo solo inchinarci e al contempo godere amaramente. Sprofondato dentro se stesso, alla maniera di un mistico laico, il filosofo rumeno scopre un uomo innaturale, paradossale, illogico; un fallimento della creazione. Vittima di Dio e dopo della conoscenza, l'uomo è un insulto al senso. L'uomo viene sempre dopo, non è mai principio e principe. E se Dio invece lo è (principio e principe) è solo un sobillatore, un mostruoso tiranno che si diverte e si crogiola nella sua incapacità. Eppure è sempre l'uomo (in una ribaltata prospettiva pascaliana) che più conosce e più assume il carattere della singolarità e diventa la nota stonata, la dissonanza della natura, dell'universo. Grazie alla conoscenza coglie la vastità del cosmo e in essa riconosce la sua inutilità, l'assurdità del proprio essere esistente.
Ovviamente questi saggi filosofici, e tutta l'opera del filosofo, vertono sulla natura dell'uomo in una prospettiva, come si direbbe, pessimistica e nichilista. Cioran tratteggia un uomo orgoglioso ma smarrito, superbo ma limitato, inconciliabile con la natura; che si trova nella storia, anzi c'è precipitato come un Lucifero, ne ha spezzato il silenzio e ora non è in grado di ristabilire l'auspicabile assenza dei suoni. Così cadendo, l'uomo si fa complice del tempo, della sua illusione di evoluzione, di progresso. E allora ci si chiede: il progresso è davvero un bene?
Ma un rimedio esiste al male dell'esistenza: la soluzione consisterebbe nella rinuncia a essere sempre bramosi di qualcosa (il debito verso Schopenhauer – ma anche alla filosofia orientale, a Nietzsche, a Bergson, a Pirrone - è evidente), alla preghiera, alla ricerca di senso. È un autore che scivola delicatamente nell'ascetismo, nella ricerca interiore, nella magniloquenza della solitudine. Il sacrificio della solitudine, l'elogio del nulla e della stasi, dunque. Soltanto quando l'uomo invade il nulla, diviene niente, può sperare di ottenere un margine di libertà.
Due righe sullo stile. Il tocco è prezioso. Ogni frase presa a sé ha il dono della perfezione dell'aforisma. Ciò non vuol dire che il pensiero sia sconnesso: è invece finemente logico, lucidissimo, e allo stesso tempo niccianamente sfrontato e categorico.
Un libro forse ancora inattuale; un libro violento!
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