Leggendo un’intervista rilasciata dallo scrittore siciliano al trimestrale «21, arte, cultura, società» parlando di premio Nobel Camilleri dice: «[…] va detto che questi accademici di Svezia hanno fatto una tale quantità di errori che capace che me lo danno». Davvero Camilleri pensa di potervi concorrere? Certo, parliamo di un signore che nel mondo ha venduto più di dieci milioni di libri – d-i-e-c-i m-i-l-i-o-n-i! – significa che, per volergli fare due conti in tasca, se anche avesse ricevuto solo un euro per ogni libro – ma saranno di più – negli ultimi quindici anni circa ha intascato dieci milioni di euro. Ma lasciamo perdere queste considerazioni. Subito dopo Camilleri ammette: «Invece, scherzi a parte, avrebbero dovuto darlo a Luzi, dovrebbero darlo a Roth».
Poco dopo Salvatore Ferlita, che lo ha intervistato, gli chiede di Vincenzo Consolo che lo aveva in passato attaccato: «C’era in lui, nei miei riguardi, una forma plateale di rigetto», ricorda Camilleri. Forse da parte di Consolo c’era un po’ di invidia per lo strepitoso successo del collega, che avrà ritenuto in parte immeritato. Ora che non ci sono Sciascia, Bufalino e Consolo, Camilleri sembra l’ultimo superstite d’una tradizione superlativa (quella siciliana) indubbiamente in decadenza.
Ora che è rimasto solo non è che s’è montato la testa?
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