Gianni Biondillo è un autore da scoprire, e non mi riferisco solo ai libri scritti ma, probabilmente, a quelli che deve ancora scrivere.
In questi giorni sto leggendo Strane storie, la raccolta di racconti che ha appena pubblicato (come sempre da Guanda). Chi s’è affezionato allo stralunato Ferraro dei suoi romanzi – un ispettore di polizia un po’ più simile a Homer Simpson che a Sherlock Holmes – forse rimarrà un poco deluso nello scoprire un Biondillo che spazia dalla fantascienza alla storia, ma sempre senza perdere il suo punto di riferimento, che in quasi tutti questi racconti è la realtà.
In “Expo 2015” immagina un futuro dove un ricercatore tenta di ricostruire il passato di Milano, e precisamente gli eventi legati alla famigerata Esposizione Universale, dopo che sulla terra è avvenuto il GVE, Grande Vuoto Elettromagnetico, che ha cancellato gli archivi elettronici, e dove si allude pure al “trota” Renzo Bossi. “Non pensare a domani” è una metafora (metafora?) fin troppo esplicita della politica italiana d’oggi, così come “La triste confessione di un comico paranoico” riecheggia gli ultimi scampoli del berlusconismo. C’e spazio pure per una favoletta sulla crisi del capitalismo, un racconto sul bullismo giovanile con tanto di disabile e Youtube, e una più tradizionale storia di fantasmi. Insomma c’è molto, quasi tutto, ma c’è, soprattutto, tanta realtà. La vocazione sopita di Biondillo.
Da quando ho letto il suo esordio, Per cosa si uccide, ho pensato che a Biondillo il poliziesco vada piuttosto stretto; un po’ come è accaduto per Carofiglio, si avverte che la qualità della sua scrittura, l’interesse per i personaggi e la voglia d’interrogare la società lo spingano altrove, dove, forse, non è mai andato a causa del successo del suo ispettore, che lo ha tenuto legato al genere. Con l’ultimo suo romanzo, I materiali del killer (vincitore del Premio Scerbanenco), Biondillo sembra aver confermato questo desiderio: nonostante la storia sia sempre un poliziesco con Ferraro protagonista, la voglia di indagare più profondamente i personaggi, sperimentare con la lingua e di raccontare l’Italia si è fatta evidente.
Infine, forse, la conferma: nella postfazione di Strane storie Biondillo confessa di aver cominciato a scrivere il primo poliziesco senza aver mai letto Simenon, Cristie, Hammet, Carlotto, Dazieri, Lucarelli, ecc…
Quando lo vedremo (finalmente) fuori dal genere?
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