Studio la gente nelle sue più ordinarie occupazioni, se mi riesca di scoprire negli altri quello che manca a me per ogni cosa ch'io faccia: la certezza che capiscano ciò che fanno.
In prima, sì, mi sembra che molti l'abbiano, dal modo come tra loro si guardano e si salutano, correndo di qua, di là, dietro alle loro faccende o ai loro capricci. Ma poi, se mi fermo a guardarli un po' addentro negli occhi con questi miei occhi intenti e silenziosi, ecco che subito s'adombrano. Taluni anzi si smarriscono in una perplessità così inquieta, che se per poco io seguitassi a scrutarli, m'ingiurierebbero o m'aggredirebbero.
Incline all'introspezione filosofia, Serafino Gubbio, spettatore riflessivo della vita ed operatore cinematografico, si rende conto che la moderna quotidianità è fatta della ripetizione di gesti automatici non coscienti, e percepisce che l'esistenza dell'uomo è anestetizzata dalla meccanicità dei gesti, piuttosto che vissuta con piena consapevolezza ed autocoscienza.
Stesso destino, Serafino Gubbio lo subisce come operatore cinematografico, relegato al ruolo di semplice mano che gira la manovella della macchina da presa, oltre la quale gli attori seguono meccanicamente un copione prestabilito.
Edito nel 1915 con il titolo Si gira, ritoccato dieci anni dopo come Quaderni di Serafino Gubbio operatore, in questo romanzo Pirandello sottolinea la fine del romanzo naturalistico-positivista ottocentesco, inaugurando il romanzo novecentesco, in cui le scansioni spazio-temporali sono tutte interiori ed il filo della narrazione è costituito dalle riflessioni intime del protagonista, tipiche del romanzo esistenziale.
La trama offre lo spunto all'autore per schierarsi contro le idee tecnologiche, di stampo positivista, del futurismo, in favore di una visione più vera e meditativa dell'esistenza.
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