È un ritratto lucido, poetico quello offerto dalla scrittrice Dacia Maraini, una autobiografia asciutta, che ripercorre le voci, i gesti, le abitudini delle persone che l'hanno accompagnata fino a lasciarle la mano, fino a quando sono andate via. É una storia che dentro di sé ha altre storie, vite di altri come quella dell'amata sorella appassionata di musiche popolari alla quale, caso della sorte, la vita la priva proprio del dono più speciale, la sua voce. Resta non solo il ricordo caro di una donna particolare, ma si aprono per la Maraini riflessioni esistenziali, è come entrare in una tana troppo stretta per noi che ancora viviamo.
Di Pier Paolo Pasolini, invece, oltre ai ricordi di viaggio e di un amore per Maria Callas, Dacia sottolinea la rabbia di una morte violenta che non ha ancora trovato il volto dell'assassino, il suo colpevole. Ma ancora più in la, in un passato di amicizie eccellenti ed umanissime, ha un posto d'onore Alberto Moravia, la sua scrivania e le sue giornate scandite dalla scrittura, dagli amici, da Dacia. Anche in questo ricordo la morte irrompe senza avvisare, ma Dacia continua a raccontare e nel farlo lei parla con i morti, che sono sempre in mezzo a noi, basta saperli ascoltare. Lontani dalla tecnologia, dal rumore vuoto della vita moderna che non accetta la morte, Dacia ricorda un passato ove la morte é sorella della vita e, come la vita stessa, è una grande festa.
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