Paul Klee, Angelus Novus |
C'è un uomo solo, o meglio, un uomo in compagnia di una massa di uomini che si muove nelle sicure maglie di una società fragile e liquida, come dice Bauman, ma la cui mancanza di solidità stessa ha rappresentato il traguardo-premio di una volontà generale votata alla tecnica e al progresso über Alles.
Oggi sembra che tutto debba essere come è, ringraziamo di avere cellulari e tecnologie avanzate ma chiediamo una società più sicura e uno Stato più vicino. Impossibile. «Benvenuti in tempi interessanti», recita un libro di Slavoj Žižek, e la frase è emblematica e aderente ai nostri anni interessanti. Questo è il tempo di una libertà raggiunta sotto il profilo dei networks; siamo tutti connessi, tutti liberi di comunicare in ogni momento da ogni luogo, compiendo noi stessi quel banale ma triste processo di accelerazione del reale ove non esiste più tempo, né spazio. Questi i nostri tempi interessanti, ove la raggiunta libertà è osannata come la conquista del secolo moderno, ma in realtà il triste primato dell'uomo non è quello di essersi affrancato da ingerenze dittatoriali di vario genere, bensì di essersi ora legato in maniera maggiore a una insicurezza di fondo che non solo annulla la sedicente libertà acquisita, ma da essa prende forma. Bauman ha perfettamente illustrato il processo di una società che ha sì raggiunto lo stato di modernità in forma di libertà in senso lato, ma ad essa si aggiunge la responsabilità e i limiti dell'individualità libera, ossia un vuoto da parte delle istituzioni, da sempre votate a proteggere i suoi membri sociali, con conseguenti psicopatologie moderne quali la paura dell'étranger e la corsa all'armamento personale come negli Stati Uniti.
Benvenuta libertà, sinonimo di Modern Times e di macchine industriali, al sapore di moderno e di un raggiunto spirito individualista e maturo. Ma questi tempi sono “interessanti” davvero. The modern Times, i tempi moderni, nascono con l'avvento della modernità industriale, delle città che cambiano e di una massa che si muove verso il centro, emulando il movimento centripeto di una lavatrice. Il “centro” ispira le leggi di mercato, modellando una nuova struttura geografica ma realizzando anche modelli sociali in una scala costituita dal “centro” e dalla “periferia” urbana e umanistica; così, come illustra lo spaccato sociale-urbano di Weber, i nuclei sociali richiamano l'outsiderismo, e quelli urbani l'hinterland. Ora, il moderno che ha le fattezze della città che cambia subito dopo il boom industriale, corrisponde a quel nuovo che si affaccia prima di tutto con le forme e i colori, talvolta grigi, della città trasformata in un mini globo per lavoratori di macchine non autosufficienti. Moderna è dunque la fase in cui la forma e il capitalismo affermatosi distrae dalle scarni forme del passato, divenendo un vero e proprio modus vivendi in cui il lavoro è la chiave della felicità (urbana). È merito di David Harvey aver sottolineato nel suo The condition of Postmodernity*, attraverso il libro Soft City di Jonathan Raban, l'anello di congiunzione tra la modernità e l'immagine della città sentita come effimera isola urbana di colori cangianti come i mille volti di chi la vive. Moderno, in questo senso, è il caos e la violenza – della città - per eccellenza.
E sempre Harvey, riprendendo le parole di Berman, dà alla modernità l’immagine di un solido che si dissolve, avvicinandosi così al famigerato concetto di “modernità liquida” di Bauman. Ed è proprio nella conquista illuministica di un libero pensiero razionale improntato alla ricerca dei fini e dei mezzi per una società evoluta, che Weber scopre l'inganno, la menzogna della modernità; in realtà l'Illuminismo non ha lasciato in eredità che scheletri di un razionalismo fine a se stesso, un lume capace solo di illuminare le ragioni che, paradossalmente, non possono che restare imbrigliate nelle matasse di un raziocinio irrazionale. Si scopre, allora, che moderno è il suo contrario, è un cedere la propria libertà in cambio di una libertà apparente, come teorizza Freud nel suo studio sulla società moderna. Moderno è, o è stato, un processo di ammodernamento strutturale nella forma con un progressivo impoverimento del contenuto umano. Il disordine dionisiaco e il “male” della natura umana, il disprezzo cieco e distruttivo del moderno – e dell'uomo moderno – appare ora investito di quella volontà di potenza nietzscheana che non può che distruggere per rimanere essa sola in vita. In questo impeto violento di una natura umana “di potenza”, non c'è posto per riflessioni intimiste o per capanne della fratellanza alla Klopstock; c'è piuttosto il Faust, altra figura germanica, un cattivo “moderno” ante litteram, che aspira alla conoscenza del tutto, e a questo tutto egli anela e per il suo piano uccide e si scopre anche più cattivo di Mefistofele, il diavolo per eccellenza che dinanzi alla bruttura umana riacquista lo status di “povero diavolo”. L'uomo moderno è simile al Faust, pronto a uccidere e a distruggere in nome della modernità, o dell'avanzamento conoscitivo-tecnologico. Ritornando nuovamente al binomio tra moderno e urbano, questo, tuttavia, non appare incomprensibile e improbabile. Non è un caso, infatti, che il moderno compaia nei primi film accompagnato da immagini con città e catene di montaggio, situate in zone urbane. Che sia Metropolis di Fritz Lang o il muto di Chaplin in Modern Times il cinema dei tempi moderni sembra associare al fin de siècle l'immagine di una città grigia e governata da bulloni e industrie, avallando così il discorso di una “modernità urbanistica” di Harvey, in cui lo stato delle città indicano lo spessore di un dato periodo storico. In Metropolis è chiara la dicotomia tra il male e il bene che richiama la dicotomia razionale e urbana di un mondo che sta “sopra”, la città, e un mondo oscuro che pullula “sotto”, l'industria. Il pensiero annullato in vista di un progresso tecnico che ha soggiogato la stessa ragione, è invece il leitmotiv del film di Chaplin, in cui viti e bulloni sono il simbolo di una società industrializzata e post-illuminismo, la cui ragione viene, paradossalmente, prima utilizzata per la costruzione delle macchine e poi ripudiata in favore di un lavoratore-robot.
Al moderno che ha cambiato la società migliorandola e depravandola al contempo, oggi fa seguito un nuovo periodo che rientra nei vari “ismi” storici: il Postmodernismo. Difficile capire cosa sia postmoderno senza aver compreso e quindi superato l'esperienza del moderno, che non si chiude certamente in mere considerazioni urbanistiche. Molti parlano anche di ultramodernismo o oltremodernismo, ma quello che accade dopo, che sia vero o no, porta nel nome l'incancellabile marchio di un moderno mai oltre-passato, appunto.
* Si noti che il titolo del libro di David Harvey è tradotto in italiano, non seguendo una traduzione alla lettera del testo in lingua inglese, “La crisi della modernità”.
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