Ho appena terminato la lunga lettura dei Viceré di Federico De Roberto, ovvero le vicende e le lotte della famiglia Uzeda a cavallo tra una Sicilia Borbonica e il Regno d'Italia. Consalvo è giunto al Parlamento Italiano e i discorsi sono fortemente legati al mantenimento del potere all'interno dello stesso onde perpetuare il ruolo di comando della famiglia.
«Vostra eccellenza però non ignora che Consalvo è di sinistra! ...che appartiene alla Progressista, mentre Vostra Eccellenza...»
«Pensi ancora alla Destra e alla Sinistra? - Esclamò ridendo il duca, che aveva in tasca la formale promessa di un seggio al Senato. - Non vedi che i partiti ci sono finiti? Che c'è una rivoluzione? Chi può dire che cosa uscirà alle urne a cui hanno chiamato la plebe? Un vero salto nel buio!... E del resto, a che potrà maggiorare il mio appoggio? Se presentassi lo stesso - per giustificarsi, riconosceva finalmente la verità - resterei nella tromba!... E vuoi che gli elettori ascoltino la mia voce? L'appoggio che posso dare puramente ideale... Forse sarà una pietra al collo che affonderà il candidato.»
Che cosa vi sovviene leggendo queste parole? È presto detto, un'incredibile similitudine con ciò che accade ai nostri giorni. Eppure il romanzo fu pubblicato nel 1894 quando ai seggi del parlamento sedevano persone ben più degne e colte di quelle attuali. Eppure gli imbrogli, le discussioni e le finalità sono le stesse. Il naturalismo di De Roberto non lascia spazi di elevazione morale ai suoi personaggi, ne rende cruda e reale l'immagine gretta che allora come oggi l'uomo è capace di esprimere.
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