Faye Dunaway, Charles Bukowski e Mickey Rourke (dal sito Colordonor.tumblr.com)
Nel 1985 il regista cinematografico franco-statunitense Barbet Schroeder chiese a Charles Bukowski di scrivere una sceneggiatura. In quegli anni il sessantacinquenne scrittore e poeta americano cominciava a godere di una stabilità economica che non aveva conosciuto in tutta la sua precedente vita. Le sue opere erano tradotte in tutta Europa e suscitavano i soli due stati d’animo che la sua letteratura ha sempre provocato: consenso e sdegno. Inutile dire che il vecchio Hank di tutto questo se ne fregava altamente, continuava a bere smodatamente e a recarsi ogni mattina alle corse dei cavalli.
Dopo che il film venne completato, e presentato nel 1987 al 40° Festival di Cannes con il titolo di Barfly, Bukowski pensò di scrivere un romanzo su tutte le traversie legate alla sua realizzazione. Nacque così Hollywood, Hollywood!, romanzo che per l’edizione economica Feltrinelli ho appena terminato di leggere.
Oltreché un ottimo regalo di Natale (costa solo nove euro ma ne vale molti di più) è una piccola chicca per gli appassionati di cinema. Potrete divertirvi, infatti, con la presa in giro al sistema hollywoodiano che Bukowski, con il suo inconfondibile stile, ha descritto; ma soprattutto potrete divertirvi a individuare i personaggi citati lungo tutto il romanzo. Oltre, ovviamente, a Jack Bledsoe e Francine Bowers, che sono rispettivamente Mickey Rourke e Faye Dunaway, i protagonisti di Barfly – per i quali non ha nessuno scrupolo a scrivere dei loro bizzarri atteggiamenti da star – ve ne sono molti, molti altri.
Il primo che compare è Wenner Zergog – ovviamente Werner Herzog –, regista europeo «sempre pronto a intraprendere folli sfide a discapito della propria vita e di quella degli altri». Il regista e produttore Jon Pinchot/Barbet Schroeder dice a Chinaski/Bukowski: «“Quello al bar era Wenner Zergog. La settimana scorsa lui e la moglie si sono presi a pistolettate, si sono svuotati addosso i caricatori, senza colpirsi…”
“Spero che almeno con i suoi film riesca a far centro…”
“Oh, stai sicuro.”»
C’è anche il regista francese Jon-Luc Modard (Jean-Luc Godard): «A quel punto, Jon-Luc Modard riemerse dal suo angolo. Si avvicinò a noi.
“Dammi sto cazzo di vino,” disse.
Gli riempii il bicchiere fino all’orlo. Jon-Luc lo scolò tutto d’un fiato. Ne versai un altro.
“Ho letto le tue cagate,” disse. “La cosa migliore è che è tutto così semplice. Hai avuto dei danni al cervello, vero?»
Si cita anche Sean Penn (che poi divenne suo amico), col riconoscibilissimo nome di Tom Pell, ricordando la sua proposta (reale) di recitare nel film per il compenso simbolico di un dollaro.
Durante le riprese del film sul set arriva «il grande regista Manz Loeb, che aveva diretto film come The Rat Man e Pencilhead». Probabilmente Bukowski si riferisce a David Lynch, sul set con «Rosalind Bonelli», forse Isabella Rossellini.
Ma Hank ne ha per tutti: Tom Jones, nel romanzo Tab Jones, («“PERCHÉ SIAMO DOVUTI PER FORZA ANDARE A VEDERE TAB JONES? E vi chiedo: MA CHI È ’STO ROTTO IN CULO DI TAB JONES?”») o Jack Kerouac: «uno scrittore che non sapeva scrivere ma che era diventato famoso perché sembrava un cowboy da rodeo».
Durante le riprese arriva anche una troupe televisiva italiana, e una giornalista intervista Bukowski: «“signor Chinaski, che messaggio vuole mandare agli italiani?”
“Non urlate così tanto. E leggete Céline”».
Ci sono sempre le sue stilettate alla critica, in questo caso cinematografica: «Qual è la differenza tra un critico cinematografico e lo spettatore medio? Risposta: il critico non paga l’ingresso». E c’è spazio per le sue sentite confessioni malinconiche:
«C’era sempre la macchina da scrivere per addolcirmi, per parlarmi e intrattenermi, per salvarmi il culo. In pratica, questo era il motivo per cui scrivevo: per salvarmi il culo, per salvarmi il culo dal manicomio, dalla strada, da me stesso».
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