Immaginate una storia ambientata fra gli immigrati russi a Berlino nei primi anni trenta del Novecento. Immaginate un poeta aspirante scrittore di nome Fëdor Konstantinovič Godunov-Čerdyncev. Immaginate una manciata di bizzarri russi, intellettuali o pseudo tali, dai nomi impronunciabili: Georgij Ivanovič Vasil’ev, Ljubov’ Markovna, Aleksandra Jakovlevna Černyševskaja, Elizaveta Pavlovna.
Questi sono alcuni degli ingredienti de Il dono, il mattone che l’immenso Vladimiri Nabokov ha scritto fra il 1935 e il 1937. La scrittura densa, pastosa, ricchissima, munifica di metafore spiazzanti e minuziosissime descrizioni non si discute: un paradiso per chi ama la prosa ipercalorica, un inferno per chi vacilla alle prime singolarità linguistiche. Però, basta descrivere la struttura della trama per comprenderne la potenziale illeggibilità.
Capitolo 1: il protagonista, Fëdor Konstantinovič, è un poeta alle prime prove, ha pubblicato una raccolta dalla quale Nabokov estrae lacerti e soprattutto lunghi monologhi interiori sulla appropriatezza di alcuni vocaboli adoperati, il ritmo dei versi e perfino i «tetrametri giambici» – qualunque cosa siano.
Capitolo 2: Fëdor Konstantinovič incontra la madre, Elizaveta Pavlovna, che viveva in Inghilterra, ed è l’occasione che permette a Nabokov di ricordare la famiglia Godunov-Čerdyncev e sviscerare le prodezze del padre di Fëdor, un naturalista ed esploratore importante. Ma soprattutto consente a Nabokov di intrattenerci amabilmente sui lepidotteri: l’Epicnaptera arborea, scovata dal padre in Siberia, la Lepidoptera asiatica, la Acherontia atropos, la larva di uno sfingide malese o il fenomeno «della formazione cornea che compare sotto l’addome delle femmine fecondate dei parnassi».
Capitolo 3: l’amore del protagonista per Zina Mertz – finalmente un nome pronunciabile, anche se il vero nome è Zinaida Oskarovna Mertz –, i loro furtivi incontri e la maturazione della scelta di Fëodor di scrivere una biografia su Černyševskij.
Fermiamoci un attimo. Nikolaj Gavrilovič Černyševskij – leggo da Wikipedia, mica lo sapevo! – è stato uno scrittore e intellettuale russo che con il suo romanzo Che fare? ha ispirato Lenin, che ha adoperato lo stesso titolo per il suo celebre testo. Fëdor Konstantinovič decide di scrivere una biografia dove prende in giro Černyševskij.
Capitolo 4 – e qui (siamo intorno a pagina trecento) la cosa si fa veramente “pesante” –: tutto il capitolo coincide con il libro che ha scritto il protagonista, cioè la biografia di Černyševskij, umiliato dall’ironia spietata di Fëdor Konstantinovič, cioè di Nabokov. 106 pagine (un vero e proprio libro nel libro) sulla vita e le prodezze letterarie d’un oscuro intellettuale russo.
Capitolo 5: le reazioni nell’ambiente russo émigrée, perlopiù piccate, alla biografia scritta dal protagonista, la cui pubblicazione era stata rifiutata per il trattamento riservato a Černyševskij. Particolare curioso è che Il dono venne pubblicato a puntate su «Annali contemporanei» («Sovremenye Zapiski»), «omettendo», come scrive Nabokov nella premessa, «il quarto capitolo, respinto per gli stessi motivi per cui la biografia che esso contiene viene respinta da Vasil’ev nel terzo capitolo: grazioso esempio di vita che si ritrova costretta a imitare proprio quell’arte che condanna».
A differenza di quel che scrive Pietro Citati in quarta di copertina («Dovunque siate, in casa o in ufficio, qualsiasi cosa stiate facendo … uscite subito e precipitatevi dal libraio. Il dono è lì, e vi attende») bene ha fatto la curatrice Serena Vitale a evidenziare che la piena comprensione di questo testo è subordinata a una conoscenza approfondita della letteratura russa. Il dono è, in fondo, a parte le vicende narrate certamente non avvincenti, un compendio della grande letteratura russa, alla quale Nabokov, tra Puškin, Gogol, Dostoevskij, Turgenev, Lermontov, Belyj, Blok e altri, allude continuamente.
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