Nel 1845, "Mister Raven", appellativo che verrà affibbiato a Poe dopo il successo ottenuto con la sua opera poetica più celebre: Il Corvo, la sua vita cambierà, ma non per molto, dato che l'abisso della disperazione non gli darà tregua neppure in quei rari momenti di felicità. Con il componimento in versi de Il Corvo, Poe intende creare qualcosa di nuovo, palesando la sua bravura, dando prova di come un'opera poetica possa trascendere la stessa ispirazione dell'autore, oltre il semplice poetare, mettendo in campo in modo esplosivo effetti poetici basati su un persuasivo leitmotiv, passando per una sperimentazione ritmica e fonica estremizzati, ma calibrati rispetto alla struttura, calcolati secondo una visione mirata per dar luogo nell'animo del lettore emozioni a cui non è possibile sfuggire. Elizabeth Barret nel 1846 scriveva a Poe: «Il vostro Corvo ha prodotto una sensazione orrifica qui in Inghilterra. Alcuni miei amici ne sono atterriti, altri sono soggiogati dal fascino della sua musica. So di persone rimaste stregate dal Nevermore...» Per Poe creare una combinatoria di ingredienti dove unire la musica al significato diviene lo scopo precipuo. La parola deve emozionare, allarmare e rivelare un'atmosfera d'animo e di luogo. Un'atmosfera architettata a dovere nella quale il protagonista soffre per la sua amata, e dove un Corvo, un Corvo reale - dai sacrali giorni - gli fa visita per annunciare i segreti custoditi nella morte, e rispondere a delle domande riferite a Lenore, la donna cristallizzata nella memoria dell'amato, che non sarà «mai più».
Illustrazione di Edouard Manet per l'edizione francese de "Il Corvo" pubblicata nel 1875.
Il luogo in cui si svolge la rivelazione tra l'uomo dolente per la perdita della sua amata e il Corvo, è una stanza, una semplice stanza, che Poe trasforma in una dimensione dove tutto è possibile, quasi un luogo sacro, ben arredato, in cui ogni cosa appare ovattata, sospesa, divorata da quel «mai più» furente. Quel «mai più» che peserà come un annuncio impossibile da contestare. «...stabilii anzitutto nella mente il climax, o domanda - quella domanda alla quale per l'ultima volta sarebbe stato ripetuto Nevermore - quella domanda in risposta alla quale questa parola Nevermore avrebbe implicato il massimo immaginabile di dolore e disperazione». Edgar Poe, dunque, attraverso un uso creativo della parola e la creazione consapevole di uno stil nuovo, elevato all'immaginifico, e uno sviluppo della costruzione ritmica implacabile, decide di attanagliare il lettore, assalirlo di emozioni, commuoverlo, smarrirlo, trascinarlo in un vortice ritmico ipnotico, un imperativo strategico-artistico-logico, quasi matematico, seguito da un calcolo elevato a scopo precipuo per quello che sarà sin da subito il suo capolavoro immortale, caposaldo di una rivoluzione poetica senza pari in cui elegge la grandezza del suo genio.
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