Henry Brandon, duca ereditario del Suffolk, morto, nel 1551, per la malattia |
Decimò la popolazione di Oxford e dimezzò la popolazione di Cambridge. Colpì duramente Londra, tanto da obbligare la corte a sciogliersi ed Enrico VIII a fuggire. Dilagò in Germania, Irlanda, Scozia, Galles, Danimarca, Svezia e Norvegia, per poi colpire l'Europa orientale. Uccise il principe di Galles, baroni, lord sindaci, assessori, sceriffi, risparmiando solo neonati e bambini. Peste? Colera? Niente di tutto questo.
Tra il 1485 e il 1551 impazzava, in Europa, una nuova epidemia, i cui sintomi erano brividi, capogiri, mal di testa, ed infine un'incredibile sudorazione. Nessuna cura, nessun rimedio nell'Europa del tempo, un'incredibile tasso di mortalità e una terrificante caratteristica: generalmente dopo un solo giorno, ed uno soltanto, il malato si ritrovava già cadavere.
Ad oggi ancora le spiegazioni sono carenti; si conosce, per certo, la data della prima epidemia, scoppiata a Londra al ritorno a corte dalla battaglia di Bosworth Field dal re Enrico VII: era il 1485, e tra i primi morti mieté ben due lord sindaci della City di Londra, nonché sei assessori e tre sceriffi. E mentre Colombo appoggiava il primo piede sui territori americani, la malattia superava il mare d'Irlanda, approdando nell'Ulster e falcidiando, tra gli altri, il barone di Slane, tale James Fleming.
Una pubblicazione tedesca dell'epoca sulla malattia |
Una seconda epidemia, molto meno grave, si diffuse intorno al 1507, precedendo un'ondata ben più grave e mortale, nel 1517, che decimò appunto la città di Oxford e giunse a dimezzare la popolazione di Cambridge. Ma fu il 1528 il vero apogeo, il vero culmine della sua diffusione: la diffusione della malattia iniziò nuovamente da Londra, dove la mortalità toccò picchi altissimi, per passare poi alla Germania, precisamente ad Amburgo, dove in una settimana morirono più di mille persone; dalla Germania il morbo passò all'Europa orientale, per poi arrivare in Svizzera, intorno al dicembre dello stesso anno. Particolare il fatto che tra le migliaia di morti non figurassero bambini o neonati, e che la malattia non sconfinò mai in Italia. L'epidemia non fece più capolino nel territorio europeo, per comparire, seppur brevemente, soltanto sul territorio francese, tra il 1718 e il 1861, col nome di ''sudore di Picardy'', in una forma molto più blanda. Da dove arrivava, quindi, questa malattia, e per quale motivo sparì in questo modo?
Atteniamoci ai dati di un recente studio, quello di Mark Taviner, Guy Thwaites e Vanya Gant: analizzando le scarse informazioni del tempo, ricavate soprattutto dai registri dei parroci – per far capire quanto sia difficile reperire dati reali sul '600 – abbiamo una gran diffusione della malattia più nelle aree rurali che in quelle urbane, in un primo momento: sintomo, molto probabilmente, di una diffusione per contatto con animale infetto, probabilmente un roditore; ritorniamo quindi, come spesso successo nelle piaghe bubboniche, alla trasmissione attraverso ratti e topi. In un secondo momento, ovviamente, l'epidemia si sposta nelle zone urbane, dove l'infettività diventa devastante, a causa della prossimità delle persone e delle abitazioni e delle scarse – all'epoca – condizioni igieniche urbane. Altro dato interessante è la mortalità 'per genere sessuale': la malattia colpisce in modo altalenante prima soprattutto uomini, poi soprattutto donne, e di nuovo soprattutto uomini, a testimoniare il fattore di ''prossimità'' come fondamentale nel contagio: è doveroso ricordare come, all'epoca, i rapporti tra uomo e donna fossero molto diversi, e molto più facile fosse trovare gruppi omogenei, divisi per sesso, negli eventi mondani e non.
Ma veniamo, sempre secondo lo studio, ai sintomi e alla progressione esatta della malattia, descritte in uno tra i pochi testi, ad opera del dottor Caius, che, all'epoca, l'hanno compiutamente esaminata: il Sudor Anglicus si manifesta prima con un forte mal di testa, seguito da forti dolori addominali, forte nausea, vomito, delirio per mialgia, palpitazioni molto forti, quindi da una semi-paralisi, da una respirazione molto difficoltosa e, infine, dalla morte. Sintomi, osserva Caius, molto simili a quelli della ben più conosciuta peste: unica differenza l'assenza di bubboni, di emorragie e di esantemi. Caratteristica fondamentale è, però, la fortissima sudorazione, che accompagna il malato dai primi segni dell'infezione fino alla morte. Lo studio di Taviner, Thwaites e Gant arriva ad ipotizzare il Sudor Anglicus come un virus di polmonite trasmesso da roditori, quindi non endogeno al genere umano, poi modificatosi per la trasmissione da uomo a uomo: il parallelo con una forma simile di polmonite, sviluppatasi nei primi anni '90 del '900 nell'America del sud, e originatasi da piccoli roditori, è fortissimo; peccato manchi un piccolo particolare: la fortissima sudorazione.
Atteniamoci ai dati di un recente studio, quello di Mark Taviner, Guy Thwaites e Vanya Gant: analizzando le scarse informazioni del tempo, ricavate soprattutto dai registri dei parroci – per far capire quanto sia difficile reperire dati reali sul '600 – abbiamo una gran diffusione della malattia più nelle aree rurali che in quelle urbane, in un primo momento: sintomo, molto probabilmente, di una diffusione per contatto con animale infetto, probabilmente un roditore; ritorniamo quindi, come spesso successo nelle piaghe bubboniche, alla trasmissione attraverso ratti e topi. In un secondo momento, ovviamente, l'epidemia si sposta nelle zone urbane, dove l'infettività diventa devastante, a causa della prossimità delle persone e delle abitazioni e delle scarse – all'epoca – condizioni igieniche urbane. Altro dato interessante è la mortalità 'per genere sessuale': la malattia colpisce in modo altalenante prima soprattutto uomini, poi soprattutto donne, e di nuovo soprattutto uomini, a testimoniare il fattore di ''prossimità'' come fondamentale nel contagio: è doveroso ricordare come, all'epoca, i rapporti tra uomo e donna fossero molto diversi, e molto più facile fosse trovare gruppi omogenei, divisi per sesso, negli eventi mondani e non.
Ma veniamo, sempre secondo lo studio, ai sintomi e alla progressione esatta della malattia, descritte in uno tra i pochi testi, ad opera del dottor Caius, che, all'epoca, l'hanno compiutamente esaminata: il Sudor Anglicus si manifesta prima con un forte mal di testa, seguito da forti dolori addominali, forte nausea, vomito, delirio per mialgia, palpitazioni molto forti, quindi da una semi-paralisi, da una respirazione molto difficoltosa e, infine, dalla morte. Sintomi, osserva Caius, molto simili a quelli della ben più conosciuta peste: unica differenza l'assenza di bubboni, di emorragie e di esantemi. Caratteristica fondamentale è, però, la fortissima sudorazione, che accompagna il malato dai primi segni dell'infezione fino alla morte. Lo studio di Taviner, Thwaites e Gant arriva ad ipotizzare il Sudor Anglicus come un virus di polmonite trasmesso da roditori, quindi non endogeno al genere umano, poi modificatosi per la trasmissione da uomo a uomo: il parallelo con una forma simile di polmonite, sviluppatasi nei primi anni '90 del '900 nell'America del sud, e originatasi da piccoli roditori, è fortissimo; peccato manchi un piccolo particolare: la fortissima sudorazione.
Il topo è tra i principali sospettati di diffusione delle epidemie |
Insomma: una malattia venuta dal nulla, e che ha trovato terreno fertile soprattutto nella scarsa conoscenza della stessa da parte di medici e popolazioni dell'epoca; ed in questo il parallelo con epidemie più recenti, come quella della tanto celebrata Aviaria o, in ultimo, dell'Ebola, è decisamente calzante. Fa pensare come solo due testi parlino di una malattia che ha causato tante morti, quando spesso piccole epidemie di oggi possono causare una sovrabbondanza di informazioni da parte dei media, a volte generando isterismi, senz'altro utili a una prevenzione efficace ma ignoranti del fatto che virus molto più tenaci e sottili ci circondano tutti i giorni, senza per forza dover pensare a un'epidemia lontana, che ha scarse possibilità di diffondersi anche nei nostri luoghi: nel caso, fa riflettere l'assenza di notizie sulla Legionella di Bresso, e l'enorme quantitativo, invece, dell'Ebola dell'ovest africano, con le sue molte vittime, ma con la sua scarsissima potenzialità a diffondersi fino in Europa.
La Malattia del sudore, dunque: un'epidemia dimenticata oggi, e che ci ricorda come, ancora una volta, l'uomo e la natura cambino continuamente, ma continuino a ripetersi e ritrovarsi, morbo dopo morbo, epidemia dopo epidemia.
Ricordiamoci, oggi, mentre facciamo jogging o siamo stesi sul lettino ad abbronzarci, che, in un tempo lontano, qualcuno, vedendoci, avrebbe potuto temerci malati. O, se proprio vogliamo dirla tutta, a rischio di morire di sudore.
Ricordiamoci, oggi, mentre facciamo jogging o siamo stesi sul lettino ad abbronzarci, che, in un tempo lontano, qualcuno, vedendoci, avrebbe potuto temerci malati. O, se proprio vogliamo dirla tutta, a rischio di morire di sudore.
Most interesting indeed. Thanks, I'll do research to get to know more.
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