18 luglio 2015

Conversazione con Cézanne (Mercure de France: 01/06/1921)

autoritratto Cézanne

Pubblicata presso l'editore parigino «Mercure de France» nel 1921, Conversazione con Cézanne è una deliziosa disquisizione su passato, presente e futuro delle arti figurative intrapreso da due tra i pittori più rappresentativi della loro epoca, Émile Bernard e, appunto, Paul Cézanne. Il dialogo, spesso dai toni critici e provocatori, mette a nudo le peculiarità delle due diverse esperienze pittoriche: da una parte lo studio minuzioso delle opere del passato da riproporre in chiave moderna, tipico di Bernard; dall'altra la volontà di riprodurre la realtà tralasciando qualsiasi influenza scolastica e accademica, fondamento del pensiero di Cézanne. Il breve soggiorno di Bernard a Aix-en-Provence diventa così un pretesto per un confronto con il maestro dell'impressionismo francese, dal quale si evincono affinità e divergenze di punti di vista, spaziando dalla filosofia alla teologia, dall'arte classica al delicato tema della rappresentazione naturale.

Émile Bernard – Conversazione con Cézanne


Lo stato attuale della pittura è il risultato
di una libertà anarchica che esalta
l'individuo, per debole che sia.
Charles Baudelaire

Nel 1904, durante una delle nostre passeggiate nei dintorni di Aix, dissi a Cézanne:

B: Cosa ne pensate voi dei Maestri?

C: Sono una cosa buona. Andavo al Louvre ogni mattina quando mi trovavo a Parigi; ma ho finito per accostarmi alla natura piuttosto che a essi. È necessario crearsi una visione.

B: Cosa intendete con ciò?

C: Bisogna crearsi un'ottica, occorre vedere la natura come se nessuno l'avesse vista prima di voi.

B: Siete un nuovo Cartesio, volete mettere da parte i vostri predecessori per ricostruire il mondo dentro di voi.

C: Io non so chi sono. In quanto pittore, devo "essere" un occhio originale.

B: Non ne risulterà una visione troppo personale e incomprensibile agli altri? Dipingere non è dopotutto come parlare? Quando parlo utilizzo la vostra stessa lingua; mi capireste se ne utilizzassi una nuova e sconosciuta? È attraverso il linguaggio comune che bisogna esprimere idee nuove. Solo questo può essere il mezzo per farlo valere e riconoscere.

C: Per "ottica" intendo una visione logica, ovvero nulla di assurdo.

B: Ma su cosa basereste la vostra ottica, Maestro?

C: Sulla natura.

B: Cosa volete dire con questa parola? Si tratta della nostra natura o della natura stessa?

C: Di entrambe.

B: Dunque concepite l'arte come una fusione tra l'Universo e l'individuo?

C: Lo concepisco come un'appercezione personale. Colloco questa appercezione all'interno della sensazione e chiedo all'intelletto di organizzarla sotto forma di opera.

B: Ma di quali sensazioni parlate? Di quelle dei sentimenti o della retina?

C: Penso che non esista una separazione tra di esse; nonostante ciò mi rifaccio innanzitutto alla sensazione visiva.

B: Siete dunque come Zola della scuola naturalista?

C: Voglio solo essere un pittore, e faccio affidamento all'occhio per fare un quadro che è rivolto a un altro occhio.

B: Bene! Ma cosa rimproverate ai Maestri a tal punto da averli abbandonati? La natura e l'arte non sono due cose diverse?

C: Io vorrei unirle. Credo che sia a partire dalla natura che si debba arrivare all'arte. L'errore dell'educazione accademica è quello di limitare attraverso dei metodi che escludono categoricamente l'osservazione della natura, la quale dovrebbe invece rimanere una guida.

B: Voi avete ragione, ma credo confondiate la routine e la tradizione, i professori e i maestri. Lo studio della natura era il fondamento dell'arte antica. Leonardo, Michelangelo, etc., hanno compiuto enormi sforzi per trarne i rispettivi capolavori. Voi sapete bene quanto tempo hanno sacrificato in quelle tremende ricerche che chiamavano "teoria", poiché per essi l'arte aveva principio solo nel momento in cui il pittore, divenuto artista, poteva abbandonarsi alla creazione di opere generate dalla propria concezione.

C: È vero, ma è una strada pericolosa, e queste teorie estrapolate dalla natura non erano affatto la natura. Si studiavano le scienze ispirate dalla natura, ma la si osservava pochissimo per non dire per nulla. Inoltre si arrivava a una visione costruita, che si modificava solo a seconda delle capacità più o meno rilevanti dello studioso.

B: Siamo di fronte al problema principale: bisogna dipingere ciò che vediamo così come crediamo di vederlo, senza sapere nient'altro, o ricevere un'educazione teorica, simile alla metrica dei poeti, che ci permetta poi di creare delle opere personali, ovvero che associ la natura alle nostre concezioni?

C: Propendo per il primo punto; la visione reale del mondo non è ancora stata stabilita, l'uomo si è cercato fin troppo in tutto ciò che ha fatto.

B: Non è egli rappresentazione dell'intelligenza?

C: Io mi rivolgo all'intelligenza del Pater omnipotens e mi chiedo: cosa posso fare meglio di Lui? Allora mi sforzo di dimenticare i nostri illustri predecessori, e chiedo alla Creazione quella conoscenza che solo lei possiede.

B: Lo riconosco, voi cercate l'arte nella natura e la natura fuori di voi, negli spettacoli percepiti dai vostri occhi; è un atto di sottomissione, di umiltà, dal quale vi aspettate ogni virtù.

C: Non sono abituato a ragionare così tanto.

B: Per i maestri di cui parliamo, lo spettacolo esteriore, casuale, era un richiamo al loro genio. Cercavano in esso la verità del mondo e la visione dell'Universo: era nel profondo dei loro sentimenti, nel pensiero e nelle idee che cercavano di percepire i principi delle loro opere; e ognuno di essi creava così dei nuovi lavori, delle immagini nuove attraverso le leggi dell'arte, ispirate a loro volta dalle leggi della natura.

C: Perfetto; ma hanno rimpiazzato la realtà con l'immaginazione e con l'astrazione che ne consegue. Ve l'ho detto e ve lo ripeto, occorre giungere all'immagine concreta per essere un pittore... bisogna avere una visione.

B: I maestri che voi venerate non se n'erano forse creata una, per nulla legata ai mezzi artistici ma piuttosto all'espressione di un'idea attraverso la concezione? Tra Leonardo e qualsiasi altro fra di essi non trovate tutto diverso, il colore, la forma, la composizione, lo stile? La vera personalità non risiede nell'uomo cosciente ancor più che nell'uomo sensuale?

C: Bisogna dare un'immagine cosciente della natura, finora è stato tutto incentrato sull'uomo.

B: Può esistere un'immagine della natura che sia veritiera? E come saremo in grado di stabilirlo? Ogni pittore non elabora forse una forma diversa dai suoi colleghi? Esistono dei quadri somiglianti? Goya diceva: «La natura non ha né colore né linee». Non siamo dunque vittime delle illusioni anche nella sfera sensoriale? E infine i nostri sensi sono davvero così sani e perfetti per permetterci di entrare in contatto, inequivocabilmente, con ciò che voi chiamate natura?

C: Lo so, vi son stati filosofi che hanno negato la realtà, dei filosofi tedeschi, per i quali tutto è illusione, sogno, fenomeno. Sono dei cialtroni.

B: Negate quindi la filosofia?

C: Nego tutto ciò che è assurdo e che voi a torto chiamate filosofia; il pittore ha il compito esclusivo di realizzare un'immagine.

B: La vera filosofia stabilisce quale deve essere questa immagine affinché la ragione non sia esitante. Pascal considerava come "inutile orgoglio" la pretesa di dipingere ciò che l'uomo vede quotidianamente. Con colori e pennelli non si sarebbe in grado di farli così perfetti come appaiono nella realtà. Pascal aveva ragione a condannare questa vana e laboriosa pretesa; ma la vera filosofia, quella che indica all'uomo la strada da percorrere per giungere alla verità, ci dice che il Bello risiede nelle idee ben più di quanto non lo faccia nelle cose, e perciò richiede all'intelletto di trasporre le cose in idee e le idee in ideale.

C: Voi avreste decisamente fatto ridere Courbet! Credetemi, tutto questo non ha nessun valore, sono solo quisquilie tra accademici.

B: Ogni pensiero vi sembra perciò inutile quando si dipinge?

C: Sì! Quando intravedo uno spettacolo perfetto voglio tradurlo. Per arrivarci mi anniento, mi sottometto a lui, aspetto che la mia personale verità venga a galla. Perché mai dovrei ricordarmi dei filosofi e dei pittori dinnanzi questo grande libro, questo maestoso scorcio, la cosa più bella che esista? Credetemi, con la natura bisogna tornar bambini.

B: Quindi è all'incoscienza che fate appello.

C: Esattamente. Bisogna piegarsi a quest'opera perfetta. Tutto ci proviene da essa, noi esistiamo grazie a essa. Dimentichiamo il resto.

B: Gli uomini primitivi non avevano una visione originale, eppure guardavano al presente senza curarsi del passato. L'originalità sboccia dall'interno, è una perla nata nel profondo. Non ho timori nell'affermare di credere fermamente che questo crogiuolo che contiene il genio sia insito all'uomo. Il nostro rapporto imprescindibile con il mondo visibile ci conduce, attraverso l'intelligenza, ben oltre noi stessi; la nostra anima immortale è superiore alla materia che lo racchiude.

C: Mi attengo alla Pittura, e mi sorprende che voi andiate a cercare così lontano. Per quanto mi riguarda voglio essere un bambino, e provo gioia nel vedere, nell'udire, nel respirare, nell'essere una sensibilità in estasi che analizza e cerca di trasporsi sulla tela.

B: Vi negate dunque ogni creazione?

C: Mi basta copiare la creazione. Coloro i quali hanno creduto di immaginare si sono ingannati da soli.

B: Eppure il Giudizio Universale, le Stanze del Vaticano, le Nozze di Cana, le Allegorie di Rubens! 

Giudizio Universale

C: Beh certo, un Delacroix può permetterselo, ma per quanto ci riguarda dobbiamo attenerci a questo: lo studio delle scene della natura.

B: Ciò non vuol dire creare una forma di inferiorità? Rinnegare il fine della Pittura?

C: La pittura ha come scopo se stessa. Il pittore dipinge, una mela o un volto sono ai suoi occhi il pretesto per un gioco di linee e di colori, niente di più.

B: Torno a Pascal: perché ricreare quello che Dio ha fatto così bene?

C: Possiamo fare meglio di Lui?

B: Certamente no in quanto esseri viventi; ma in quanto razionali possiamo esprimere un ordine più conforme allo spirito che rappresenta. Quello che vediamo in natura non segue più l'ordine prestabilito, l'uomo ha sconvolto tutto. Se prendo un fiore riconosco l'opera del Creatore; ma in un'aiuola disposta secondo i gusti di un cattivo giardiniere non intravedo più l'armonia di quel fiore. Questo giardiniere è dappertutto, si chiama uomo, e martirizza il mondo per utilità. Guardate il mont Saint-Victoire, non è forse in rovina? Ovvero una rappresentazione della manomissione sopraggiunta sin dall'Origine? Dove trovare la natura nel suo insieme divino una volta imperversato il caos? Accettate dunque che l'artista porti dentro di sé un desiderio di questa perduta armonia e tenti di ricostruirla attraverso i magnifici frammenti che incrociano il suo sguardo, come fosse un richiamo a Dio e alla sua intelligenza.

C: Esistono in natura due agenti che contribuiscono all'armonia: sono la luce e l'aria. La luce colora, l'aria avvolge.

B: Non possiamo pertanto decidere di ritrarre solo ciò che combinano questa luce e questa aria. Basta invocare il loro potere per accettare di limitarsi al gioco di colori e valori? Non potremmo seguire le leggi della natura e applicarle alla nostra interiorità? Direste che un artista che fa un ritratto abbia completato il lavoro qualora avesse dipinto e copiato alla perfezione il suo modello?

C: Assolutamente no, vorrei che lo interpretasse.

B: E come può farlo se deve in primo luogo dipingere, ovvero tradurre attraverso linee e colori che crede di vedere senza concedere alcuno spazio al pensiero? Per andare oltre e fare di quel ritratto un'opera durevole, l'artista non dovrebbe includere nell'opera il pensiero che sente e che impone al modello? Non dipinge solo delle forme, imita l'anima del suo modello guidato più dalla mente che dalla vista. Ebbene, il pittore che non fa questo per ogni suo quadro mi pare sprechi le proprie energie. È la vita che viene rappresentata attraverso il simbolo della materia; e ancora, la pittura non disincarna l'essere spogliandolo da tutto ciò che è peso, corruzione, cambiamento? Questa operazione spirituale presagisce i suoi fini e il suo destino. A tal proposito permettetemi di esporvi un'opinione di un nostro collega, Socrate, lo scultore: «Se qualcuno viene a dirmi che ciò che rende una cosa bella è la vivacità dei colori, le sue forme o cose del genere, tralascio queste considerazioni che mi turbano e mi assicuro che siano la presenza o la comunicazione della bellezza primaria a renderla bella, a prescindere da come avvenga la comunicazione. Non ho altro da dire se non che tutte le cose possono essere belle solo grazie alla presenza della bellezza.»

C: È come tornare ai nasi perfetti del David, riprendere l'antico, i classici nocivi, Ingres o Girodet.

B: Non credo. La bellezza non è rinchiusa in un certo numero di ricette, ma nell'idea che se ne fa l'Intelletto. Bisogna innanzitutto concepirla per poterla esprimere. Fidia non ha ricevuto da altri la forma che lo caratterizza, l'ha raggiunta attraverso i mezzi suggeriti dalla ragione e dall'amore. È ridicolo pensare di arrivare al Bello imitando i canoni della bellezza. Riconosco che possano tornare utili, ma fin quando si copieranno ciecamente le forme si produrrà solo cattivo artificio e disordine. Non conosco nulla di più deviante della routine del falso classico dei professori.

C: Dite e fate quel che vi pare, il vostro Bello assoluto è una chimera.

B: Non credo. Nessuno fu più platonico di Leonardo, Raffaello e Michelangelo, e sono loro che hanno raggiunto, attraverso la natura, la realizzazione artistica più concreta. Tutto ciò che hanno prodotto era nuovo in virtù della motivazione che li guidava, e rimane insuperato, perché pochi uomini sono riusciti a elevarsi fino a quel punto, e nessuno è andato più in alto di loro. Dubito fortemente che nell'antichità sia esistito un pittore capace di produrre un ritratto analogo ai loro o delle opere talmente sublimi come la Cappella Sistina.

* * *

mercure de france

Ci fu una pausa, durante la quale una cicala si mise a cantare in un campo adiacente.

C: Dipingere è cantare come questa cicala – mi disse Cézanne.

B: Lo credo, ma questa cicala fa solo rumore, mentre l'artista aspira all'armonia; per scoprirla non sarebbe necessario intuirla e amarla?

C: Lo studio dell'arte è molto lungo e mal condotto. Oggi il pittore deve scoprire tutto da solo perché ci sono soltanto cattive scuole dove si mistifica, dove non si impara niente. Bisognerebbe in primo luogo studiare le figure geometriche: il cono, il cubo, il cilindro, la sfera. Quando si sarà in grado di restituire questi elementi nelle loro forme e nella loro struttura si saprà dipingere.

B: Esse sono contenute evidentemente in tutto quello che vediamo, ne sono l'invisibile impalcatura. Gli antichi avevano impostato come base dello studio dell'arte il geometrico, il geometrico e il prospettico.

C: Cosa intendevano con ciò?

B: Il geometrico valuta la massa e determina la superficie. Il geometrico stabilisce i rapporti di altezza, larghezza e profondità; il prospettico delinea i contorni a seconda dalla distanza, in relazione allo spettatore. Gli ultimi due sono matematici, sottomessi a leggi invariabili.

C: Questo insegnamento era senza dubbio di gran valore.

B: Partendo dal punto, che è all'origine di ogni linea, dopo aver trattato il cerchio e gli angoli passavano allo studio delle superfici piane, sferiche, concave, convesse, composte, e a quelle dei raggi visivi. Può esistere una base più solida?

C: È tra le cose più giuste che abbia scoperto durante la mia lunga carriera; ma i colori?

B: I pittori greci più celebri, Apelle, Echione, Melanzio, Nicomaco, etc., avrebbero usato secondo Plinio soltanto quattro colori: il giallo, il verde, il bianco e il nero. Plinio fa notare che alla sua epoca ci si rifaceva più alla materia che all'arte, perché si sprecavano tutti i colori e il talento era scomparso. Alberti concede quattro colori al pittore, più il bianco e il nero che contano per luce e ombra. Leonardo da Vinci fa lo stesso. Tali colori derivano dagli elementi: il giallo è il fuoco, il rosso la terra, l'azzurro il cielo, il verde l'acqua.

C: Era una tavolozza limitata. Poi attraverso il prisma si è scoperta la composizione della luce. Io sono per una tavolozza più estesa, per la sintesi delle miscele e le ricchezze del dipinto. La natura ci offre delle infinite varietà di sfumature.

B: La creazione di un quadro esigeva tre cose secondo i maestri di cui parliamo: la circoscrizione o il disegno dei contorni, la composizione e la distribuzione delle luci.

C: Loro costruivano la scena; noi tentiamo di riprodurre un pezzo di natura.

B: Infine la varietà, la convenienza e la bellezza erano richieste in quanto fascino tipico dell'arte. Tutto ciò esercitava lo studio dei movimenti, delle passioni, e conduceva alla scienza esatta dell'anatomia e dell'espressione.

C: Era chiedere troppo al pittore.

B: Alberti consigliava la natura; diceva che solo essa porta l'artista alla superiorità, poiché egli è incline ai vizi e alle convenzioni se non si fida che del proprio genio. Ma Alberti esige la scienza dell'arte, e che nessuno, egli aggiunge, metta mano all'opera se non è per spontanea volontà e a mente lucida.

C: Vi confesso che ho paura dell'eccesso di scienza, gli preferisco l'ingenuità.

B: Perché rigettare ciò che ci è costato così tanto? La scienza non esclude l'ingenuità, che è un effetto della sincerità del sentimento piuttosto che dell'ignoranza. L'animo difficilmente si fa strada attraverso la materia, non è superfluo spianargli il terreno in anticipo.

C: Se i critici sapessero soltanto un quarto di tutto ciò che abbiamo detto in precedenza scriverebbero meno sciocchezze.

B: Ho ripreso qualche tempo fa, desideroso di rileggerlo, L'arte moderna di Huysmans. Mi ha colpito la secchezza di quello stile vivace che urla opinioni dall'alto senza sostenerle con qualche buona ragione, o che, quando ritiene necessario giustificarle, le presenta nella nudità della loro povertà intellettuale. La maggior parte non sono superiori all'argomento di un piccolo negoziante ignorante dell'arte, incapace di godere di una creazione, il quale richiama costantemente la verità che i suoi occhi vedono.

C: È come Zola... il naturalismo...

B: E che opinioni su Puvis de Chavannes per esempio! Quale assenza di tatto, quale encomio delle produzioni più misere, che gusto tracotante di volgarità! La spiritualità è decisamente ciò che manca agli scrittori. E come giudicare l'opera d'arte senza vederla?

C: Questi critici avevano un solo obiettivo, ovvero servire la modernità che essi ricercavano nella letteratura facendo leva sui pittori.

B: Huysmans a quell'epoca aveva quel solo canone, e chiamava in causa quello strano e subdolo bisogno di rintracciare la prostituzione e la maliziosità nei dipinti. Ignorava forse una ricerca simile alla vostra?

C: Zola non ha forse fatto una cosa simile?

B: La stessa cosa è successa con la storia dell'arte in generale. Ho letto molte opere sulla pittura, e mi son reso conto che la maggior parte degli scrittori che hanno avuto il coraggio d'immischiarvisi hanno intravisto solamente il susseguirsi di scuole, dalle quali hanno raggranellato, come degli insetti, una serie di dipinti che gli erano estranei quanto a un marziano.

C: L'unico vero critico è stato Baudelaire.

B: Il punto di partenza dell'arte è spirituale, non è creato da una scuola bensì dall'intento che i pittori devono essere uniti. Si arriverà in tal modo a dimostrare che i più grandi sono stati coloro i quali spiriti si son spinti più in alto; e i quali, per mezzo di una fusione tra la scienza acquisita e la sublimità delle concezioni, hanno raggiunto una vetta che è stata scalata due o tre volte al massimo da uomini che avevano un ideale comune.

C: Sarei troppo prolisso nel dirvi ciò che penso della critica; finora sono stato bersagliato, e probabilmente un giorno sarò riempito di elogi così banali rispetto alle assurdità che mi scagliano addosso attualmente. Ma non la odio. Non la leggo più. Il pittore deve rinchiudersi nella sua opera, non bisogna rispondere con le parole ma con i quadri.

B: Aspettiamo che le vostre tele siano vendute a un buon prezzo: sarebbe l'argomento portante di una società che non conosce più l'arte.

C: Sarebbe divertente se un giorno raggiungessi le somme di Bouguereau o di Meissonier!

B: Non è per niente impossibile. Arricchireste il vostro venditore. Sarebbe una vendetta legittima davanti a coloro i quali vi hanno rinnegato, e i vostri compatrioti vi dedicheranno una statua se siete morto, o vi saluteranno levandosi il cappello se siete vivo.

C: I miei compatrioti sono degli imbecilli al mio cospetto, li disprezzo.

A quel punto Cézanne mostrò un'inenarrabile espressione di disprezzo, e mostrò il pugno alla città di Aix.

B: Bisogna perdonarli, il primo colpevole non è forse il critico parigino? – gli dissi.

C: Mi avete parlato della pittura così come la intendevano gli antichi, vorrei potessimo parlarne ancora. Sapete che non sono ostile alla composizione, la ammetto solo eseguita sulla natura. Cosa direste di un Poussin fatto così...?

B: Mi permetto di non rispondervi, esponetemi prima la vostra idea dettagliatamente. Non dubito affatto che, fatto da voi, non risulti del tutto nuovo.

Riprendemmo il cammino, e Cézanne disse:

C: Ho fatto spesso, come sapete, dei bozzetti di bagnanti che avrei voluto riprodurre in grande e secondo natura; la carenza di modelli mi ha costretto a tralasciare questa idea. Ho incontrato molti ostacoli, come trovare il luogo dove collocare la scena, luogo che non era molto diverso da quello che avevo in mente; come trovare persino uomini e donne che volessero spogliarsi e rimanere immobili nelle pose che avevo determinato. Infine ho incontrato anche l'ostacolo del formato della tela da trasportare, e ancora le innumerevoli difficoltà del tempo propizio o meno, del luogo dove piazzarsi, e del materiale inerente l'esecuzione di un'opera di certe dimensioni. Mi sono visto quindi obbligato ad aggiornare il progetto del Poussin interamente rifatto con una base naturale e non costruito su appunti, disegni o frammenti di studio; in sintesi, di un Poussin reale, all'aria aperta, ricco di colori e di luce, anziché una di quelle opere pensate in atelier dove tutto rispecchia il colore scuro del giorno e l'assenza di riflessi del cielo e della luce.

B: In realtà mi stupisce che uno spirito indipendente come il vostro sia alla ricerca di tale asservimento materiale. Sembra che vogliate inquadrare il dipinto in un sistema di studio, come se non fosse in principio un'opera dell'artista ancor prima di essere un'opera della natura benché quest'ultima vi sia costantemente presente e venga rispettata. Lo studio è la ragione primaria della pittura, ma il dipinto mi pare sia la ragione primaria dell'arte. Mi permetto di credere che un Poussin rifatto secondo i criteri della natura sia meno bello rispetto al prodotto dell'immaginazione dello stesso Poussin. Lo so bene, il modo di servirsi della natura è la più tediosa e solenne tra tutte le domande che preoccupino un artista. La semplifico così: ognuno prenderà ciò che è gradito al proprio gusto. I tempi che ci hanno preceduti sono ricchi di tentativi così variegati che vi si trovano secondo chi li analizza molte utili persuasioni, molte conclusioni indiscutibili. Nell'era primitiva, quando nell'uomo dominava l'idea, notiamo che i pittori avevano come unico scopo raccontarci aneddoti divini, e sacrificavano il reale in seno a queste "storie". L'essenziale per costoro non era affatto l'imitazione esatta ma piuttosto la rappresentazione dell'idea. Inoltre tutto lo sforzo si concentrava verso l'espressione e ci si basava quanto più possibile sul sentimento, il carattere e lo stile! Nel periodo successivo un rispetto crescente verso la forma percepita s'è fatto strada negli animi; gli artisti iniziano, in favore di una filosofia meno misteriosa e del tutto divina, a venerare nelle cose visibili l'opera di Dio, lo Spirito è ricercato sotto l'apparenza della pura bellezza. È quindi l'ombra del pennello del Creatore, come diceva Michelangelo, che si cerca di percepire per guidare il proprio pennello. Il platonismo, in stretta connessione con lo spiritualismo cristiano, mostra il Bello dell'universo agli uomini di buona volontà, i soli capaci di perfezione. Il reale è studiato con rispetto e non costituisce un ostacolo alla spiritualità poiché è filtrato attraverso essa, ammirato e contemplato per mezzo di essa, che cerca in essa la strada verso l'assoluto. È all'incredulità che bisogna attribuire il carattere decadente della terza epoca dell'arte. Ci si serve della natura senza considerarla più nel suo spirito, ma copiandola, ammirandola in quanto fine a se stessa. Inizialmente regna ancora un minimo di sentimento, poi a poco a poco, meccanicamente, con pigrizia, attraverso i sensi, l'artista, spogliato dal misticismo, divaga lungo i sentieri della speculazione, affina il proprio mestiere e non dice più nulla di alto e di solenne.

C: Come guardare alla natura senza considerare il suo autore? L'artista deve considerare il mondo come il suo catechismo, deve sottomettercisi senza discussione. La natura è un dogma. La prova è lì, sottoposta ai suoi occhi e ai suoi sensi. E non penso di averli ricevuti per essere ingannato.

B: Sì, ma l'essere umano è uno strumento che sovente si inganna da solo. Non esiste forse il peccato? Questo ci porterebbe sulla teologia...ammetto come voi che la verità giace sotto i nostri occhi, ma il ricettore non è indenne dall'errore. Ne concludo pertanto che per avere una visione giusta occorra avere un cuore giusto, e che per vedere il bello occorra essere buoni. Sentire non è tutto: bisogna pensare, trovare la verità nelle cose e al di là delle cose stesse.

C: Cadiamo nuovamente nella filosofia!

B: Non è forse il fondamento di tutto? Diffido sempre di parlare dell'arte con serietà escludendo la filosofia. Ma ditemi, cosa ne pensate della novità nell'arte?

C: La capisco solo se basata sulla logica e l'osservazione.

B: In ogni epoca esiste una sorta di fascino magico emanato dalla novità che finisce per ingannare i migliori; ciò è dovuto a una necessità di giovinezza, di ringiovanimento, di cui non si può fare a meno come della primavera durante l'anno, ma è raro che dia i frutti sperati: è spesso da un'Atlantide che credevamo sommersa che ci provengono i risultati più durevoli e ricostituenti.

C: Mi avete parlato della libertà che gli antichi si concedevano di fronte alla natura per realizzare i loro quadri; non ho avuto il tempo di studiare a fondo la questione, che mi interessa vivamente. Potreste dirmi qualcosa in più?

B: Niente di più libero e semplice della loro maniera di procedere. Noi non abbiamo allargato il campo dell'arte sulla base di questo rapporto, ma l'abbiamo piuttosto rinchiuso tra barriere sempre più strette. Forse vi stupirò nel dirvi che le difficoltà che riscontrate oggi nel dipingere un nudo sono le stesse di quelle provate da Michelangelo. Durante quell'epoca religiosa non era facile spogliare una donna che non fosse la propria moglie o l'amante, e chiunque non avesse né l'una né l'altra doveva certamente provare qualche imbarazzo. Michelangelo si serviva sempre di disegni ispirati da uomini per dipingere le sue meravigliose Sibille. In questo modo è riuscito a creare la donna più bella mai vista in arte, la Sibilla Libica.

disegno di leonardo

Nella Biblioteca Reale di Torino c'è un volto di donna girato di tre quarti che ha ispirato Leonardo da Vinci nell'inventarsi l'angelo della Vergine delle rocce. Dico inventarsi perché quel volto, quasi brutto e volgare, è all'origine della meraviglia angelica che conoscete.
Avevo letto in un libro di Ludovico Dolce, il quale visse ai tempi di Tiziano, dove si narrava che quest'ultimo usava spesso suo fratello per ritrarre i corpi femminili nei suoi quadri. Ne ho preso coscienza ai Musei Vaticani nella grande composizione in cui appaiono diversi santi, e tra essi un San Sebastiano completamente nudo. Non ho avuto difficoltà nel riconoscere in lui le gambe e le parti più belle della Venere della tribuna di Firenze, ma era senza dubbio dipinta a partire dal modello del fratello di Tiziano. La testa e le mani probabilmente si ispiravano a Violante, la figlia di Palma, o da Lavinia, figlia dell'artista. Sarebbe tanto lungo quanto edificante mostrare le prove che questi grandi maestri, oltre alle libertà che vi ho appena elencate, se ne concedevano tantissime altre, specie in relazione a quei prestiti agli artisti a essi precedenti – ma anche contemporanei – che si sentivano in diritto di dover rappresentare. Conosciamo bene la predilezione di Michelangelo per l'Antichità, o l'imitazione ossessiva data da Raffaello; Poussin copiava interi personaggi e gruppi di essi; conosciamo la discussione degli eruditi sulla paternità dei quadri di Giorgione e di Tiziano, e come questi due artisti influenzavano vicendevolmente il loro genio riproducendo nelle opere le stesse facce e gli stessi luoghi. 

Giove e Antiope Tiziano

Nel Giove e Antiope esposto al Louvre, Tiziano ci mostra la Venere di Giorgione coricata. È la stessa posa del corpo, del braccio sinistro, della mano, il braccio destro è stato rialzato e la testa girata. Per quanto riguarda Rembrandt, malgrado sia stato etichettato come nemico dell'Antichità, si è ispirato per la sua Betsabea da un bassorilievo che François Perrier disegnò a Roma e pubblicò in una raccolta di acqueforti del 1645. Ritroviamo la serva, la donna seduta, persino le stesse tende che fanno da sfondo al quadro. Questi prestiti, così come i quadri che riprendono disegni ispirati dalla natura, sono necessariamente molto liberi e non mostrano mai il carattere banale di un'impotente copia. L'arte e la natura erano per i nostri grandi modelli dei ricettacoli di idee e di forme, di cui essi si servivano senza alcun biasimo. Il Bello, una volta trovato, sembrava loro degno di essere reinterpretato a proprio modo. E Rubens stesso, quel genio così inventivo, ha provato piacere nel ricreare i capolavori più apprezzati al suo tempo, come la Trasfigurazione, il Giudizio Universale, la Comunione di San Girolamo (da cui si ispirò per quella di San Francesco d'Assisi, un altro capolavoro che eguaglia quello del Domenichino). Secondo questo procedimento l'arte si nutre di arte e crea il nuovo con ciò che è diventato vecchio.

C: Sono totalmente d'accordo con quelli che dicono «Libertà!», ma credo che ci verrà fornita da pittori più concentrati sullo studio della sola natura.

B: Permettetemi di dubitarne. Rembrandt, che abbiamo citato spesso come uno fra i pittori più istintivi, era stato allievo di quattro maestri e possedeva una vasta collezione di quadri e incisioni. Non ignorava il Tiziano, di cui aveva acquisito qualche opera e che condizionò incontestabilmente la sua pittura. Come voi sapete, Rembrandt iniziò a dipingere in modo liscio e ispirandosi alla pittura olandese.

C: Ma quanto sarebbe meraviglioso dipingere come se la pittura non fosse mai esistita!

B: Credo sia un errore ai giorni nostri volere che ognuno dipinga a modo suo, senza fondamento. Non sapremmo esser medici senza aver studiato la medicina. Esiste una scienza dell'arte, ed è proprio questa scienza che crea l'artista e il medico. La pittura eseguita così sarebbe analoga al chiedere un'opinione a chiunque: ne risulterebbe un amatorialismo che svuoterebbe completamente il gusto per i capolavori. Qualche bel colore creato su una tavolozza chimica, qualche arrangiamento a seconda della moda bastano a ingannare la critica, indulgente con la gente, severa e superficiale con i maestri. Si arriva in tal modo a dimenticare ciò che è stato acquisito e trasmesso da generazione in generazione, attraverso ricerche ardue, lunghe e geniali. I più grandi artisti sembra abbiano lavorato per un secolo diverso dal nostro che, nella sua sufficienza, mette sugli occhi la benda delle sue stupidità e si crede al di sopra di tutto ciò che gli è apparso dinnanzi.

C: Il vero artista è umile, diffida della moda e del suo tempo, vive a parte. Egli cerca e non grida mai «Ho trovato!».

B: È vero! Ma altri ancora lo derubano e la creano per lui, cercando di isolarlo nell'oscurità.

C: Non importa! La vera soddisfazione del pittore è dipingere, non cercare la gloria.

B: Voi, maestro, siete così, ma chi vi imiterà non sarà dello stesso avviso; vi esalteranno per sembrare più grandi, creeranno in arte una nuova coalizione basata sugli interessi e forse sugli errori.

C: Non si sa mai cosa sarà messo al mondo. Bouguereau non è forse nato da Raffaello?

B: Eppure Raffaello ha generato Ingres e Jules Romains; e Tiziano, Rubens e Vélasquez gli devono qualcosa. I suoi ritratti sono stati di grande influenza fino a Courbet, il quale se ne burlava pubblicamente per infastidire i classici un po' noiosi del suo tempo.

***

Malgrado la passione che impiegava, Cézanne sembrava un po' stanco della lunghezza del dialogo. Ho creduto opportuno rimanere un istante in silenzio. Camminavamo nel più sereno tra i paesaggi, sotto un sole ardente. Di tanto in tanto, il mio vecchio maestro mi indicava un paesaggio, dicendomi:

C: Non credete che tutto questo, raffigurato come l'avrebbe fatto un pittore antico, ma con una visione finora inedita, sarebbe un quadro magnifico?

Ammutolivo, sentivo quanto fosse necessario evitare ogni contraddizione. Meditavo, avvertivo sempre più i punti sui quali Cézanne aveva ragione e quelli su cui aveva torto. La sua eccessiva ammirazione per la natura gli appariva come un quadro fatto di tutto punto; già la vedevo dipinta dalla sua mano, con le sue mescolanze, il suo stile, le sue gamme, le esitazioni e le ingenuità. Ma pensavo che la dimostrazione dell'errore del mio vecchio maestro sarebbe prima o poi emersa, specie paragonando il suo tentativo sincero, basato sulla sensazione delle cose esteriori, con un quadro di Claude Lorrain, un paesaggio di Tiziano, o, più contemporaneo a noi, una composizione elegiaca e misteriosa di Corot. Tacevo e continuavamo a camminare. Indubbiamente anche Cézanne meditava, finché a un certo punto esclamò:

C: Sappiate che non disdegno nulla di ciò che ci è stato lasciato dai nostri predecessori. Spesso sfoglio il «Charles Blanc» o il «Magasin Pittoresque». L'accordo tra arte e natura deve essere portato a termine. Voi fate bene a perseguirlo mantenendo intatte le vostre opinioni; nonostante ciò, io insisto affinché non diventi un'opera di erudizione, ma piuttosto di sensazione.

B: Esistono nell'uomo due ragioni, la ragione limitata e la ragione infinita. La prima considera la natura e nient'altro. La seconda la osserva, la attraversa e vi contempla l'idea, guarda al di là. È la prima delle due ragioni che viene presa in considerazione nel nostro secolo, è la ragione osservatrice, che scopre e inventa. La seconda, anticamente più potente e che animò tanti grandi uomini, si avvicina più alla profondità che all'aspetto, più allo spirito che alla sensazione, più alla creazione che all'imitazione. Anch'essa scopre, inventa, tutto quello che crea è più bello e grandioso di quello che crea la ragione limitata perché è tratta dal profondo del sentimento e dell'anima. Sfortunatamente e a causa di un gusto influenzato dalle scienze esatte in arte ci si rifà solo alla ragione pratica: si specula sulle forme, sui mezzi, si rinnovano indubbiamente le apparenze ma si perde l'armonia della ragione contemplativa.
L'arte italiana ha obbedito alla ragione superiore, ed è ciò che l'ha resa sempre più mistica, platonica, immaginativa. L'arte fiamminga e olandese hanno obbedito, dopo il XVI secolo, alla ragione pratica: erano state penetrate talmente a lungo dalla ragione contemplativa che la fiamma dello spirito ancora ardeva sulle punte dei loro pennelli, mutando la materia in pietre preziose, liberando l'anima e il sentimento dagli aspetti più ovvi al fine di velarli. Successivamente si perde tutto, quest'ultimo barlume di poesia intima sparisce, e il materialismo, ovvero la ragione limitata, invade l'arte; gradualmente si alterano, malgrado qualche isolata e brillante reazione, le ultime stelle di un cielo oscurato.

C: Quello che dite sembra la condanna della mia intera ricerca. Sapete che ritengo vane tutte le teorie, e che nessuno mi metterà mai il guinzaglio!

Fui intimorito dall'atteggiamento improvviso del mio vecchio maestro; mi scusai, aggiungendo che esprimevo il mio pensiero senza riferirmi a qualcosa in particolare. Aggiunsi:

B: Le speculazioni dell'arte moderna, come quelle della scienza delle quali non sono che una conseguenza, sono tutte basate sul mondo oggettivo, senza il discernimento della sua causa. Ne risulta per la scienza l'assenza della verità generale, e per l'arte l'assenza di Bellezza. Più queste tendenze analitiche si allargheranno, più la scienza sperimentale materializzerà l'uomo, più l'arte si allontanerà dalla sua strada e arriverà alla negazione di se stessa. La morale si basa sul principio del Buono, la scienza sul principio del Vero, l'arte sul principio del Bello. Bisogna partire da questi principi e non da fonti secondarie. Bisogna risalire la montagna, rituffarsi con la fonte nel fiume e nei suoi mille affluenti, percorrerlo senza timore, rendendo fecondo il terreno dell'arte per poi confluire nell'oceano della tradizione universale. Fermarsi davanti a un ruscello e vedere in esso solo il suo breve tragitto non è forse come barricarsi volontariamente dietro la propria cecità e ignoranza?

Cézanne si era fermato, mi gettò uno sguardo terribile in cui mi parve di intravedere delle lacrime. Allora si girò bruscamente e disse:

C: Sono vecchio...è troppo tardi...la verità è nella natura e lo proverò...

Si allontanò, lasciandomi come uno sconosciuto in mezzo alla strada. Gradualmente affrettò il passo. Non sapevo cosa fare. Conoscevo l'estrema suscettibilità del mio maestro. Abituato alla solitudine, ogni minima contraddizione gli provocava una collera simile alla follia. Decisi di non insistere e di lasciarlo andare a casa, senza dubbio la solitudine e il cammino stemperavano i suoi umori. Mentre lo guardavo allontanarsi mi sembrava di aver impiegato tutta l'Arte contro la testardaggine di un solo uomo che aveva occluso ogni strada con l'assolutismo della sua ricerca, e questa ricerca mi pareva costruisse inattese e singolari barriere. Forse il mio vecchio maestro si ostinava al suicidio?
Lo seguivo con gli occhi, guardando il suo profilo confondersi lentamente col paesaggio. Si agitava tantissimo, sbracciava, mostrava la terra, il cielo e se stesso. Ma con chi parlava? Tutt'a un tratto si girò, gridò qualcosa, udii solo queste due parole:

C: Sulla natura!

Poi sparì dietro una curva, e io rimasi da solo sotto il sole.