Nata a Ulassai nel 1919, Maria matura la sua passione per l’arte elaborando la solitudine in cui la confina la sua salute troppo cagionevole, il disagio dell’inserimento scolastico e il dolore scaturito dalla perdita precoce dei suoi fratelli. Quello che ne esce però, è tutto fuorché tristezza: l’arte di Maria Lai è un inno alla vita, al lieto fine e alla speranza, che attinge da quelle fiabe e da quelle leggende in cui ama evadere e perdersi e che devono essere raccontate perché, come ha affermato, sono «bozzoli di verità».
La vita di Maria Lai è un viaggio, continuo e rocambolesco, interiore, tra quelle che dichiara essere le sue inquietudini, ed esteriore in un trasferimento continuo da una città all’altra. Abbandonata la Sardegna, nel 1939, raggiunge Roma e nelle sua continua ricerca del segno s’iscrive al Liceo Artistico. È qui che il suo talento emerge, riconosciuto dai suoi maestri di scultura Angelo Prini e Marino Mazzacurati, subito impressionati da quel suo tratto essenziale, rapido e maturo, già completo appena sbocciato. Terminati gli studi inizia a risalire la penisola, prima alla volta di Verona e poi a Venezia.
È qui che si ferma, a causa della Seconda Guerra Mondiale, che le impedisce di tornare nella sua isola. Ma Maria sa trasformare un esilio forzato in un’esperienza fruttuosa: «Non importa se non capisci, segui il ritmo», sognava che fosse scritto in ogni scuola e museo, e per non perdere quello della sua esistenza, la Lai s'iscrive all'Accademia di Belle Arti. L’impatto con l’ambiente accademico è destabilizzante, ma dopo poco tempo, le difficoltà lasciano il posto all’ammirazione e alla gratitudine nei confronti dei suoi maestri Martini e Alberto Viani.
Determinata ma anche coraggiosa, la Lai nel 1945 torna in Sardegna e lo fa a bordo di una scialuppa di salvataggio, come fosse stata una protagonista di quelle bizzarre storie che amava far rivivere. Il ritorno a Ulassai vede, accanto alla sua prima esperienza di insegnamento e all’amicizia con Salvatore Cambosu, suo ex maestro, di scuola e di vita, l’afflizione per l’assassinio del fratello minore e per il tentativo di sequestro di quello maggiore.
Maria torna a Roma, con una valigia e tanta amarezza, senza sapere che lì la attende il riscatto, almeno sul piano professionale: nel 1957 la Galleria L'Obelisco di Irene Brin ospita la sua prima mostra personale con i disegni a matita realizzati dal 1941 al 1954. Al contempo apre un piccolo studio d'arte, stringe amicizia con artisti come Jorge Eduardo Eielson, e appare in alcuni servizi dell'Istituto Luce.
Per la Lai il successo non è la meta dell’arte, sebbene per molti altri essa sia «ormai diventata soltanto un problema di valori economici», stando alle sue parole, ed è per questo che, proprio quando il suo nome comincia ad essere conosciuto, si chiude in un silenzio poetico che dura ben 10 anni.
Uno spazio di tempo, questo, in cui Maria ha l’occasione di crescere artisticamente grazie a Giuseppe Dessì, dirimpettaio del suo rifugio romano. Lo scrittore le fa riscoprire la magia delle sue origini sarde e scavare nei miti e nelle leggende della sua terra. Mentre la Lai si lascia trasportare dalla scrittura, ha modo di vedere da vicino, nella capitale, lo sviluppo di diversi movimenti e tecniche che lasceranno una profonda impronta in tutte le sue opere successive: l'Arte Povera, l'Informale e il ready-made. Al termine del suo periodo romano Maria sa come indirizzare finalmente la sua ricerca: prendendo il passato come faro per indagare il futuro.
Maria Lai se ne è andata il 16 aprile del 2013, ma le sue trame di fili intessute di vita continuano a narrare storie, come dimostra lo straordinario successo dell’artista sarda nelle aste a lei dedicate, come quella dello scorso anno organizzata da Minerva Auctions.
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