Roma e l'arte hanno spesso camminato insieme, alternandosi nel tempo, in uno scambio di ispirazioni reciproche. L'una ha plasmato paziente, come il più minuzioso degli artigiani, un colle di grano in un manto di marmo durante il periodo che ancora oggi viene chiamato dagli studiosi come Seculum Augustum. L'altra col fascino perpetuo di una città che è nata, sin dal suo primo respiro, con l'ombra del sangue fratricida è stata vortice e centro di correnti artistiche che hanno portato uomini e artisti a toccare le vette della fama quasi al pari degli dei, a discapito di altri che nel buio hanno saputo trarne la luce del loro genio, ma non loro stessi.
Di questi uomini fa parte Francesco Borromini. L'architetto ticinese nasce nel 1599 a Bissone in Svizzera, i suoi percorsi di apprendistato come architetto inizieranno già da giovanissimo. A nove anni viene mandato dal padre nei cantieri milanesi a formarsi inizialmente come intagliatore di marmi e proprio a Milano osserva per la prima volta le forme gotiche del duomo, spigolose e slanciate, da dove probabilmente prenderà spunto per la lanterna a spirale della chiesa di Sant'Ivo alla Sapienza, mescolandone le sinuosità orientali delle Ziggurat.
Sant'Ivo alla Sapienza |
Intanto con il passare degli anni a Roma artisti come Rubens, Annibale Carracci, Federico Barocci, Caravaggio lasceranno il loro segno indelebile su quello che a posteriori verrà definita dai neoclassici come epoca Barocca e quest'ultimo in particolare innescherà una miccia densa di atmosfere chiaroscurali che verrà seguita fino a Napoli da pittori come Luca Giordano o Jusepe de Ribera detto Spagnoletto, per spegnersi poi lentamente nei dipinti di Mattia Preti. Borromini arriva a Roma nel 1619 in una città che sta per cambiare completamente volto, anche grazie a lui e in modo profondo grazie alla sua devozione per l'arte e per l'architettura. Ma il percorso dell'uomo prima ancora che dell'artista sarà tribolato e in salita. Urbano VIII non ha occhi che per il Bernini, probabilmente lo scultore più vicino a Michelangelo come perfezione riproduttiva, a cui affida le chiavi della fabbrica di San Pietro e di conseguenza tutte le commissioni di più alto livello, tra cui il baldacchino dove lo stesso Bernini attingerà a piene mani nelle competenze architettoniche del ticinese, ovviamente con ben poca riconoscenza, episodio che farà da genesi alla loro rivalità senza fine.
Tutto questo lacera l'animo di un uomo che fa della malinconia e della solitudine la grafite più pura con cui disegna oltre che le sue opere, custodite gelosamente, anche le sue giornate. Non è un caso che la fascinazione per il Buonarroti (unico suo punto di riferimento insieme al Maderno) non sia scatenata soltanto dal genio artistico ma dalla personalità tormentata dell'uomo, con il quale probabilmente si rispecchia nel carattere saturnino. Eppure per stemperare questa irrequietezza basterebbe mettersi all'opera, dislegare le idee e i disegni che si affollano nella mente e infatti nel 1634 l'ordine dei Trinitari gli affida la costruzione del chiostro nella chiesa di San Carlo alle Quattro Fontane la prima delle sue opere indipendenti e lontane dalla giurisdizione artistica del Bernini. Ma l'ordine dei Trinitari è una comunità che possiede poco e nulla e ovviamente neanche i fondi necessari per la costruzione dell'intero apparato che pagherà , in toto, soltanto anni dopo quando lo stesso ordine lo richiamerà per il rifacimento della facciata della chiesa.
Chiostro nella chiesa di San Carlo alle Quattro Fontane |
Ma l'occhio del Borromini non era mai stato attirato dall'opulenza del denaro, la sua voglia di lavorare e costruire trascendeva i bisogni materiali fino ai limiti dell'impraticabile e la conferma più nitida ne è la facciata della chiesa dell'oratorio dei Filippini. Ne inizia i lavori nel 1637 ma al contrario del Bernini non può attingere ai materiali costosi come il marmo di Carrara, spesso le sue scelte virano forzatamente sul meno costoso marmo di travertino che veniva estratto dai giacimenti di Tivoli, ma tutto ciò non appesantisce le vele del suo ingegno.
Chiesa dell'oratorio dei Filippini |
In questo caso anche L'ordine dei Filippini, cosi come per i Trinitari, non dispone di somme esorbitanti di denaro e anche in questa costruzione il Borromini si troverà a lavorare con i più umili dei materiali. Cosi l'intera facciata diventa un'armonia semplice dove le forme si dilatano sino a sembrare argilla, i mattoni quasi malleabili rivestiti con semplice stucco e intonaco sono sfruttati con intelligenza al massimo delle loro potenzialità architettoniche.
La facciata della chiesa di San Carlino alle quattro fontane |
L'altalena dei suoi stati d'animo raggiunge i picchi più alti di soddisfazione con la salita al soglio pontifico di Innocenzo X Pamphilij, che sorprendentemente lo preferisce al Bernini nelle sue gerarchie urbanistiche. Arrivano così finalmente le prime commissioni di alto prestigio, alcune mai realizzate, altre come il restauro della basilica di San Giovanni Laterano lo accompagnano nei piani più alti della Roma Barocca, a cui come vedremo dovrà presto disabituarsi. Nel 1655 termina dopo dieci anni il papato di Innocenzo X e con lui si inabissa anche la sua carriera a cui corrisponde, come sempre, la fortuna dello scultore napoletano, non a caso Argan ne delinea i contorni artistici e Umani in questo modo:
Il Bernini possiede tutte le tecniche, il Borromini è soltanto architetto. Le tecniche del Bernini discendono da un'idea realizzano l'invenzione; la tecnica del Borromini è mera prassi. Il Bernini è sicuro del successo delle proprie tecniche; la tecnica del Borromini è ansiosa, tormentata, sempre insoddisfatta. Si sa che nel Seicento tutti i problemi hanno una radice religiosa. Il Bernini è persuaso di avere il dono della rivelazione; contempla Dio nel mondo e si sente salvo. Il Borromini è come chi prega, invoca la grazia: sa perché prega ,è pieno di fervore, ma non sa se la grazia avverrà.Tutta la sua opera corre sul filo di quest'ansia: un istante di minor tensione, un nulla, può farla fallire. E allora sarebbe come diceva Michelangelo «peccato».
Con il tempo gli umori e il carattere già controverso del Borromini si inaspriranno fino a stringerlo nella morsa della depressione da cui non riuscirà più a divincolarsi, decide di togliersi la vita nella notte del primo Agosto 1667 morendo all'alba del giorno dopo, secondo alcuni biografi il gesto fu una conseguenza del rifiuto di un suo servo alla richiesta di potergli accendere una candela per poter scrivere, sintomo probabilmente di quanta tensione fosse sedimentata nell'animo di un uomo che ha riversato tutte le sue energie nelle sue opere e di quanto fosse pesante la rivalità con il Bernini, la preoccupazione di non essere riconosciuto e ricordato nel tempo nonostante l'impronta lasciata. Non a caso se guardiamo con gli occhi e con la mente di oggi al Barocco non possiamo nascondere che la personalità e le opere del Bernini sovrastino nella nostra immaginazione quelle del suo rivale, completamente in antitesi, (Schopenhauer li avrebbe catalogati l'uno come lottatore l'altro come contemplatore).
Eppure se ci fermiamo a riflettere su chi dovrebbe rappresentare il Barocco, almeno nella formazione architettonica e stilistica della città di Roma, quello è sicuramente il Borromini. I francesi coniando il termine Baroque prendono etimologicamente in prestito la parola Barroco che veniva usata dai viaggiatori portoghesi per denominare quelle perle bianche come l'avorio perfette nella loro purezza ma dalla superficie irregolare che commerciavano nei loro viaggi, e cos'é il soffitto della Chiesa di San Carlo se non proprio questo,una perla irregolare che ospita cerchi incastonati in esagoni affiancati dalle croci simbolo dei Trinitari, cosa sono le facciate dell'oratorio dei Filippini e di San Carlo se non questo, dove gli abbracci tra il concavo e il convesso ricreano moti ondulatori. Imperfetta e per questo geniale è stata, dunque, la vita del Borromini, come una perla Barocca, semplice e irregolare.
Chiesa di San Carlo alle quattro fontane |
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