26 settembre 2016

La pittura pompeiana precorritrice dei tempi


Il sorriso malizioso di una giovane americana, il commento divertito di un ragazzo alla fidanzata che osserva un satiro itifallico o lo sguardo attento di un gruppo di visitatori davanti ad un affresco bucolico di Pompei... Nel Museo Archeologico di Napoli, ma anche in altri musei sparsi nel mondo (per non parlare dell'area di Pompei) queste scene sono famigliari; il fascino dell'Antico giunto fino a noi ci mostra un mondo altro fatto di credenze e costumi scomparsi. Ma al di là di questo aspetto, delle sfumature storiche o delle evocazioni che le didascalie ci possono raccontare con precisione, c'è qualcosa che più di tutto mi ha sconvolto la prima volta che mi sono trovato davanti ad una pittura pompeiana.

In tutti i libri di storia dell'arte si parla di quanto lo stile pittorico pompeiano abbia influenzato l'arte Occidentale sin da quando, nel XVIII secolo, sono iniziate ad affiorare le rovine e sono stati condotti i primi scavi. I viaggiatori e gli eruditi del tempo, con i loro disegni hanno diffuso delle copie che stupivano chiunque per la precisione e la fantasia dell'arte romana. Applicando però una visione d'insieme dell'evoluzione della storia dell'arte è facile riscontrare un elemento fondamentale: le tecniche figurative pompeiane precorrono di molto gli sviluppi futuri di un'arte che, dopo il crollo dell'Impero Romano, avrebbe recuperato le medesime caratteristiche solo dopo alcuni secoli.
   
   Una madonna di Cimabue inizi 
del XIV secolo         
San Francesco riceve le stimmate,             
Maestro della Croce tra il 1240 e il 1250          

È senza dubbio l'avvento del Cristianesimo a stravolgere i canoni dell'espressione artistica. La pittura (quasi esclusivamente a tema sacro) dei primi secoli dopo Cristo diffondeva i suoi messaggi con rappresentazioni semplici: i volti del Cristo erano statici con un rigoroso fondo oro il cui esempio lampante è senza dubbio il Cristo Pantocratore di Monreale. Ma ci sono anche le tavole di Santi e Madonne, che nelle loro pose ieratiche ci fanno vedere un'arte che ha perso molta della sua esperienza (come se si fosse ricominciato daccapo). Sarà poi l'implicita spinta verso un naturalismo dei volti a raddolcire, ma soprattutto ad abbellire, le rappresentazioni sacre di maestri come Pietro Cavallini o Masaccio, sino alla maturazione stilistica di Giotto di Bondone. Nel Rinascimento poi giunge un nuovo impulso, con l'introduzione della prospettiva e di una naturalezza laica sempre più marcata. Ma in tutto ciò la pittura pompeiana seppur, di diversi secoli precedente, mostra delle caratteristiche tecniche ed estetiche che oggi consideriamo come un'anticipazione delle rivoluzioni pittoriche successive. 

   
Uno dei dipinti più famosi di Pompei è certamente la Venere sulla conchiglia, posta nella parete di una domus romana. L'affresco seppur palesa evidenti problemi di rappresentazione plastica del corpo, specie nelle gambe, è di stupefacente fattura, tanto da poter essere paragonata alla Venere di Urbino di Tiziano del 1538: la posa è la stessa, ma i soggetti sono diversi, e per questa ragione anche i contesti differiscono; ma è la naturalezza dei gesti della Venere pompeiana a colpire, anche se la precisione "fotografica" di Tiziano è ampiamente superiore. 


 
Un esempio bucolico è questa parete esposta presso il Museo Archeologico di Napoli. Il tema, tipicamente pompeiano, di una natura animata dalla presenza di molti uccelli, pare richiamare le tonalità e le sfumature del dipinto Caccia notturna di Paolo Uccello del 1470. Nella tavola su cui è rappresentata mancano i volatili e il tema è totalmente diverso, ma è possibile riscontrare quanto sia ancor più realistica la pittura pompeiana rispetto a quella di Uccello che nel suo fabulismo a tratti fantastico, si avvicina molto all'affresco parietale.
   
Questa costruzione architettonica (con tanto di prospettiva) appartiene ad uno dei cubicoli della Villa dei Misteri a Pompei. La finezza dei dettagli è impressionante ed essa è ascrivibile al cosiddetto Secondo stile pompeiano, che prevede una pittura legata perlopiù a temi architettonici e paesaggistici. Rispetto alle precedenti immagini, questo complesso architettonico è davvero stupefacente per finezza e qualità rappresentativa, tanto da poter essere confrontato con le architetture della Trinità di Masaccio, un affresco del 1425-27. Quest'ultimo è un capolavoro del Rinascimento in cui la tecnica della prospettiva è applicata a dovere, concedendo un evidente effetto reale. Ma anche l'affresco pompeiano sembra seguire la stessa fedeltà, anche se è chiaro che a quel tempo la prospettiva (intesa come calcolo geometrico del punto di fuga) non era ancora nota ma semmai intuita.
   
Anche in questo affresco proveniente da Boscoreale e custodito al Metropolitan di New York l'architettura e la sua costruzione risultano paragonabili ad un dipinto posteriore, la Città ideale databile tra il 1480 e il 1490. Il richiamo alla classicità e ai valori di proporzione e simmetria del passato è evidente nel dipinto che sembra allacciarsi perfettamente al corrispettivo appena mostrato.

   

Sempre da Boscoreale proviene questo splendido scorcio di case di uno dei cubicoli ricostruiti al Metropolitan. Gli edifici sullo sfondo, con i balconi, le porte e le finestre sembrano un paesaggio giottesco di cui la Cacciata dei diavoli da Arezzo, appunto di Giotto di Bondone presso la Basilica superiore di Assisi (1295-1299) sembra il paragone più calzante. Anche le tonalità di colore richiamano a questa caratteristica e la somiglianza è notevole.
   
Tra i soggetti tipicamente rappresentati nelle case pompeiane vi erano anche le nature morte che mostravano gli oggetti di vita quotidiana. In questo dipinto di Pompei sito presso il Museo Archeologico di Napoli la rappresentazione è piuttosto realistica e sembra collegarsi a una natura morta di Balthasar van der Ast (1628), un pittore olandese che senza saperlo si è avvicinato molto allo stile pompeiano.

 
Un affresco della Villa dei Misteri

Le pitture pompeiane quindi nella loro naturalezza evidenziano come l'italianità propria della pittura che si svilupperà nei secoli successivi sembra attingere da una tradizione consolidata, anche se (come abbiamo già detto) per secoli si erano perse le tracce di ciò che si era conquistato molto tempo prima. Ma resta il fatto che quei volti e quelle scene di vita così reale, ci appartengono molto di più di quanto si possa credere; ed è appunto la discontinuità determinata dalla fine di un'epoca e di una sapienza, ad aver riportato indietro nel tempo la storia dell'arte che riprendendo da dove si era smarrita è poi giunta alle evoluzioni successive. Ma ancora una volta è necessario ribadire quanto il carattere identitario di una cultura e di un popolo, finisca poi per emergere necessariamente... Così, se vista con questa prospettiva, potrebbe non risultare molto strano il fatto che la rivoluzione estetica del Rinascimento in pittura e architettura, sia nata in Italia e non altrove. Nel medesimo luogo dove molto tempo prima si esprimeva l'arte con forme simili e precocemente mature.


2 commenti:

Anonimo ha detto...

Oppure che le fonti romane, così autorevoli e ben visibili su tutto il territorio nazionale prima del '600, hanno influenzato l'arte fino dal 13mo secolo. Perché adottare una visione così idealistica (nel senso proprio di weltgeist) invece che pensare ragionevolmente alle influenze? In letteratura gli studi sulla filologia e il recupero degli autori latini è documentato fin dal medioevo, perché l'arte deve essere per forza un prodotto dello Spirito, invece che seguire le stesse metodologie?

Davide Mauro ha detto...

Giusta considerazione!