Chi ha avuto la fortuna, accompagnata dall'abitudine, di passeggiare tra i boschi, sa come luoghi del genere siano immersi totalmente in quella tranquillitá che accoglie passo dopo passo chi li attraversa, allo stesso modo, parola dopo parola, fa con noi la letteratura.
E proprio come i boschi la letteratura è composta da una moltitudine di sentieri, uno di questi lentamente sta appassendo, un frammento di pagine sempre meno consultate che il tempo con la sua laboriosa cadenza inizia a sgretolare. Il sentiero della fiaba.
Le radici di questo genere sono profonde e antiche come le querce, ma tutt'altro che chiare. Con molta probabilità le narrazioni di queste storie sono state legate in antichità in maniera indissolubile ai riti di iniziazione delle tribù primitive, sia durante i periodi di caccia sia in quelle fasi dove i ragazzi passavano dall'età puerile a quella adulta. In questo modo con il passare del tempo e con l'evoluzione della società i riti si sono dissolti nel vento della modernità, mentre le narrazioni (che precedevano l'atto pratico della caccia e del rito e che quindi venivano raccontate in segno di buon auspicio) sono state assorbite e poi protette dalla negligenza umana, e dai racconti orali. La fiaba ha iniziato a imprimersi su carta , cosi come lo stesso Calvino, tramite gli studi di Propp, ci conferma in un suo saggio:
«Le origini del gruppo di fiabe ch' egli studia sono dunque, secondo il Propp, connesse con i riti delle comunità primitive, in particolare con le cerimonie di iniziazione degli adolescenti, e con i riti funebri. Cessata la caccia come unica o fondamentale risorsa dell'esistenza, cessano i riti ad essa connessi, ma rimane la fiaba, ossia il racconto che spiegava e accompagnava (pare) il rito. Il distacco dei figli dalla casa paterna, ad esempio, perché scacciati o rapiti o fuggiti, motivo iniziale delle fiabe studiate dal Propp, corrisponde alla partenza per il periodo di segregazione e di iniziazione in cui i ragazzi venivano sottoposti per entrare nel clan dei cacciatori.»*
È ancora più interessante notare come la fiaba nel suo raccontare abbia preso qualcosa di innato e caratteristico dal luogo in cui si sviluppava, i Jacob e Wilhem ascoltavano i racconti che in seguito avrebbero fatto la loro fortuna dalle nonne e dalle mamme dell'epoca, questo ci rende ancora più chiaro che la fiaba in se non è altro che lo specchio antropologico di un luogo, dove troviamo culture diverse e modi di raccontare tipici di una determinata zona. Le fiabe tedesche (o della zona germanica), in particolare quelle antiche, sono ricche di sfumature truci e feroci, viene quindi spontaneo chiedersi come queste potessero essere lette o raccontate ai bambini senza essere di disturbo alla loro psiche, e qui troviamo il concetto antropologico del limes.
Il limite si contrappone all'illimitato, lo stesso Pitagora riteneva il limite una cultura, tutto ciò quindi che è buono. È lo stesso uomo quindi che crea con il limite questo cosmo che possa contrapporsi al caos, e lo fa mediante racconti popolari o fiabe le quali come abbiamo visto sono caratterizzate da draghi, orchi e altri animali che sono l'archetipo del truce e dell'orrido. Dunque proprio in questo modo veniva esorcizzato il caos, cioè con la presenza del limes che con il tempo prenderà la forma degli odierni tabù. La funzione quindi di mostrare il caos con gli occhi dei mostri fiabeschi o dei racconti raccapriccianti, (che ad esempio nella Teogonia di Esiodo erano rappresentati dai giganti desiderosi di impossessarsi del monte Olimpio o e in seguito scacciati da Giove che darà poi vita alla Gigantomachia) era quella di fare da monito quasi come una forza stabilizzante, per non cedere al buio dell'oblio. In questo modo l'orrido poteva vivere tra gli uomini affinché fossero coscienti di quello che accadeva quando il Limes veniva infranto.
Ma cos'è veramente la fiaba? Le sensazioni che si provano quando ne ascoltiamo il racconto o ne leggiamo le pagine è totalmente diversa da qualsiasi altra forma di letteratura, in particolare se la complessità morale della trama diviene profonda e articolata. Si avverte nostalgicamente quel senso di sospensione che rende neutro e distante tutto quello che non può accedervi, e che altrimenti inquinerebbe quell'atmosfera di rara irrealtà. La fiaba dunque non vive e soprattutto non si sviluppa nella totale assenza di spazio e di tempo ma al contrario l'a-spazialità e l'a-temporalità vanno intese come sospensione temporanea di queste ultime, cosi come le percepiamo durante la lettura.
Ora cercare di identificare i contorni di un genere cosi complesso, individuarne le caratteristiche e le coordinate, sarebbe come provare a delimitare i confini di una nuvola. Eppure qualcuno ci ha lasciato delle vie da seguire una stella polare, un filo di Arianna in un labirinto cosi complesso quanto affascinante che quantomeno ci consenta di orientarci. Secondo la figura Agostiniana, Virgilio veniva spesso immaginato come colui che camminava con una lanterna dietro la schiena, nella notte, illuminando la via a coloro che lo seguivano mentre lui aveva sempre camminato nell'oscurità.
Allo stesso modo Tolkien ha attraversato i sentieri bui della fiaba e del racconto fantastico, arrivando a partorire non solo l'idea della sub-creazione, ma soprattutto fissando dei concetti che nel campo fantastico sono diventati delle linee guida, diventando quindi uno dei più grandi mitopoieuti del novecento.
Tolkien |
In un suo saggio, intitolato Albero e Foglia, Tolkien individua tre elementi su cui la fiaba costruisce metaforicamente la sua architettura:
Ristoro, Evasione, Conforto.
Potremmo definire il conforto nella fiaba come un enorme immaginario abbraccio, la certezza di poter trovare quello che abbiamo lasciato esattamente al suo identico posto, si è portati a pensare che la fiaba sia figlia del disordine o meglio di un uso fuori dagli schemi della nostra fantasia, paradossalmente invece questo crea un sistema prestabilito di regole, cosi come Roald Dahl scrittore gallese di racconti fantastici interpretava la fiaba:
«Quando scrive per i bambini Roald Dahl vuole ristabilire l'ordine, rispettare le regole che oggi solo nel gioco fantastico sono evidenziabili e credibili, in quanto per lui la realtà è caos mentre la fantasia è ordine, quindi conforto, il fiabesco Dahliniano consiste proprio in questo nell'incredibile fiducia nella fantasia e nel bambino» **
Accantonando ora il concetto di riscontro alquanto complesso e diversificato, affrontiamo quello dell'evasione anche quest'ultimo discretamente intricato ma con una forte dose di suggestività.
Cosa intendeva dunque Tolkien per evasione? Il ventaglio di significati che questa parola emana eguaglia quello cromatico di un arcobaleno, con il quale noi tutti possiamo creare secondo la visione del mitopoieuta, la più grande di tutte le evasioni, la fuga dalla morte.
Cosa intendeva dunque Tolkien per evasione? Il ventaglio di significati che questa parola emana eguaglia quello cromatico di un arcobaleno, con il quale noi tutti possiamo creare secondo la visione del mitopoieuta, la più grande di tutte le evasioni, la fuga dalla morte.
È proprio su questo che si basa l'anima della fiaba e del racconto fantastico, la culla nella quale ritornare e proteggersi, il capovolgimento gioioso della storia o per essere più chiari la consolazione del lieto fine, ed è esattamente questo tipo di consolazione che ci permette quasi come un paracadute, di poter appunto evadere senza il rischio di perdersi o di cadere ma di restare sospesi nell'atmosfera antica di questo genere.
Tutto questo per Tolkien è riassumibile in un unico termine, l'eu-catastrofe, dove il prefisso eu ha un valore positivo, ci indica quindi un risvolto benevolo e gioioso un sentimento che si sovrappone perfettamente alla gioia del Vangelo cristiano:
«Il vangelo è la più grande fiaba, e produce quella sensazione fondamentale: la gioia cristiana che provoca le lacrime perché è qualitativamente simile al dolore, perché proviene da quei luoghi dove gioia e dolore sono una cosa sola, riuniti cosi come egoismo ed altruismo si perdono nell'amore.» ***
Ma ad oggi che posto occupa la fiaba nel nostro tempo, come si incastona un genere come questo, posato nelle atmosfere, solido nel suo disordine, in una società veloce, malleabile (o liquida come la definirebbe Bauman) e frenetica. Sarebbe bello poter pensare che la fiaba oggi sia un rifugio tranquillo, quasi un oasi in un bosco senza tempo, un sentiero a cui è concesso avvicinarsi a quei pochi che hanno ancora il tempo e la voglia di ascoltare.
Ad oggi, credo, non esiste a mio parere descrizione migliore per definire la fiaba come quella della "digressione calviniana":
Ad oggi, credo, non esiste a mio parere descrizione migliore per definire la fiaba come quella della "digressione calviniana":
«Se la linea retta è la più breve fra due punti fatali e inevitabili, le digressioni la allungheranno, e se queste digressioni diventeranno cosi complesse, aggrovigliate, tortuose, cosi rapide da far perdere le proprie tracce, chissà che la morte non ci trovi più che il tempo si smarrisca, e che possiamo restare celati nei mutevoli nascondigli.» ****Ecco la fiaba oggi può essere questo, la digressione nella quale sfuggire alla morte, un sentiero nascosto dal tempo e dai suoi ritmi, un luogo confortevole dove ritornare, un sicuro perdersi.
* Italo Calvino, Sulla Fiaba
** Franco Trequadrini, Semantica della Fiaba
*** J.R.R.Tolkien, Albero e foglia
**** Italo Calvino, Lezioni Americane
** Franco Trequadrini, Semantica della Fiaba
*** J.R.R.Tolkien, Albero e foglia
**** Italo Calvino, Lezioni Americane
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