La nuova concezione di spazio è stata stabilita nella seconda metà del XX secolo da Lucio Fontana. Se fino a quel momento gli artisti si erano interrogati sul proprio IO interiore, versando sulla tela sensazioni e suggestioni, con Fontana l'interrogativo passa alla materia stessa. Debitore dell'interpretazione informale e dell'astrattismo, oltrepassa il confine del tangibile, cercando risposte in spazi sconosciuti.
Nato in Argentina nel 1899 da padre artista, eredita uno spirito di ricerca e un’abile mano che lo condurranno ad intraprendere una carriera da scultore e pittore. Arriva in Italia, a Milano, nel pieno della prima guerra mondiale e con l’avvento del regime si dichiara contrario alle regole dettate dallo stesso. Nel paese le correnti artistiche si trovarono in un certo qual modo, per fini commerciali, obbligate a servire il potere. La posizione politica era decisiva per il successo.
«La fucina dell’astrattismo in Italia era la milanese Galleria del Milione, di proprietà dei fratelli Ghiringhelli: uno fascista importante, un altro pittore astrattista, il terzo amante della bella vita. In questo intreccio tra potere, arte e denaro, gli artisti trovavano un loro spazio e una certa copertura politica.»*
L’artista, si avvicina all’astrattismo realizzando una serie di sculture. I materiali vengono lavorati con gli strumenti dell’artigiano ma ricercano linee e idee di ordine astratto. Una volta esplorato questo campo, sente la sua mente frenata, e decide di andare oltre i limiti dimensionali che la corrente artistica prevedeva.
Schieratosi con il gruppo di artisti antifascista “Corrente” ritiene inutile affrontare una nuova guerra, che lui stesso considera non necessaria, e torna in Argentina.
Prima di rientrare in Italia dichiara, nel Manifesto Blanco del 1946, il suo intento:
«L'arte nuova prende i suoi elementi dalla natura. L'esistenza, la natura e la materia sono una perfetta unità. Si sviluppano nel tempo e nello spazio. Il cambiamento è la condizione essenziale dell'esistenza. Il movimento, la proprietà di evolversi e svilupparsi è la condizione base della materia. Questa esiste in movimento e in nessun'altra maniera. Il suo sviluppo è eterno. Il colore e il suono si trovano nella natura.»
Il suo obiettivo è quello di scovare cosa si cela all'interno dell'opera. Scopre un'alchimia di elementi che vivono di rumori come l'uomo nella società. Il segno che lascia è quello della comunicazione. Far comunicare lo spazio esterno con quello interno, lo spirito dell'artista con lo spirito della materia.
Nel 1947 torna a Milano, condivide la sua idea con vecchi colleghi e nuove amicizie e trova supporto nel diffondere opere che esprimono una nuova dimensione di spazio.
Il foro permette di vedere uno spazio ben lontano dalla razionalità. E' una nuova realtà che trasporta la mente in un gioco di luci e ombre che rendono la materia viva.
I concetti spaziali di Fontana si sviluppano in due dimensioni. Se nel gesto di fendere cerca un movimento nello spazio ignoto, nelle spirali cromatiche il moto lo ottiene dalla materia stessa.
I suoi strumenti richiamano alla passata carriera da scultore. Si serve del punteruolo per bucare e della spatola per stendere il colore. Essi si rivestono però di un nuovo ruolo nel creare uno spazio che chiude le porte ai vecchi canoni artistici.
Fontana riesce a pieno nel suo intento, confermando l’esistenza di una dimensione altra, che solo le menti libere dai limiti dell’accademismo, sanno cogliere.
*Mario Pacera, Lucio Fontana e l’Infinito, 2013
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