22 dicembre 2017

Il falso mito della modernità di Dante

Dante

La rapidità e la concisione dello stile piace perché presenta all’anima una folla d’idee simultanee, così rapidamente succedutesi, che paiono simultanee, e fanno ondeggiar l’anima in una tale abbondanza di pensieri […]. La forza dello stile poetico, che in gran parte è tutt’uno con la rapidità, non è piacevole per altro che per questi effetti, e non consiste in altro.
Italo Calvino - Lezioni Americane
Molto spesso, imbattendosi in un qualsiasi classico della letteratura, ci si chiede quale possa essere la sua attualità il suo essere moderno in relazione ai nostri tempi, la sua capacità di dialogare con noi. Mentre dunque in alcuni casi la risposta viene eclissata per mancanza di argomentazioni,  in altri ci si sforza di trovarla a costo di sfondare il muro della banalità, sembra esattamente questo il caso della Divina Commedia.


Il numero di  volte in cui abbiamo sentito la frase “L’attualità della Commedia” non potrebbe essere numerata sulle dita di due mani, si sono tenute conferenze scritti, libri e tesi di laurea, ma è davvero cosi? È veramente attuale un testo come la Commedia o ci siamo sforzati fino ad ora di volerla filtrare attraverso i nostri occhi rendendola più o meno moderna?

Innanzitutto la Divina Commedia non è un testo moderno nel senso pratico del termine, è un testo del tardo medioevo scritto (con la massima potenza linguistica di tutti i tempi) da un uomo nato nel 1265 dove la maggior parte dei condannati (nell’inferno dantesco) sono vissuti nella Firenze del tredicesimo secolo. Passando in secondo luogo ai temi delle tre cantiche, dall’amore carnale di Paolo e Francesca al suicido di Pier delle Vigne fino ad arrivare alla visione indescrivibile di Dio “ciò che per l’universo si squaderna” è ovvio che non possiamo considerarli temi non attuali ma beninteso, cosi come sono attuali oggi lo erano anche nel milleduecento; quindi di per sé non possiamo considerare questi dei temi moderni nel senso etimologico del termine ma possiamo definirli temi atemporali, cioè che non possono essere inquadrati in uno specifico periodo storico poiché sempre attuali. L’errore dunque di voler trarre insegnamento e crescita da un testo antico modernizzandolo forzatamente è plateale e a mio modesto parere profondo. 

Pensiamo all’Umanesimo, forse il periodo intellettuale più fiorente a livello culturale ed artistico del nostro paese, un periodo dove i famosi umanisti Lorenzo Valla, Marsilio Ficino, Pico della Mirandola, solo per citarne alcuni, si sono rivolti ai testi della classicità latina e greca traendone il massimo dell’insegnamento proprio dalla loro antichità, dai loro concetti classici, senza voler forzatamente guardare a questi in chiave moderna o attuale.

Si devono dunque rispettare i testi per quello che sono senza piegare i concetti o i temi per quello che vorremmo vedere noi, anche perché l’antico è di per sé una lente già abbastanza chiara.

Tornando alla Commedia dunque ci si chiede perché questo testo è stato letto e assorbito fino ai giorni nostri senza rimanere mai trascurato, addirittura da nessun ceto sociale, lo stesso Boccaccio racconta che le terzine del sommo poeta venivano riprese anche dai fabbri dell’epoca a mo di motto.

Ecco che forse la vera modernità di Dante è collocata in un elemento che viene preso molto poco in considerazione , la terzina. La terzina nasce con la Commedia, anzi è probabile che sia nato prima il verso che l’idea della cantica in se stessa, un verso che ha tutta la sua forza e la sua potenza in due elementi che nei giorni nostri la fanno da padrone,  nonché la sintesi e l’immediatezza.

I nostri social network le nostre fonti di comunicazioni moderne hanno come pilastri questi due assiomi, la velocità di comunicazione e la rapidità di lettura, twitter in particolar modo ne è l’esempio lampante nonostante proprio ultimamente sia stata ampliata la possibilità di aggiungere qualche carattere in più. Il Sommo poeta in questo è stato uno straordinario precursore dei nostri tempi di comunicazione: la terzina infatti potrebbe essere considerata quasi come un’ istantanea della letteratura che riesce in pochi versi a imprimere nell’eternità un personaggio: in questo modo Borges grande lettore di Dante si esprime in un suo saggio.   
Un romanzo contemporaneo ha bisogno di cinquecento o seicento pagine per farci conoscere un personaggio, sempre che riusciamo a conoscerlo. A Dante basta un solo momento. In quel momento il personaggio è definito per sempre. Dante cerca inconsciamente quel momento centrale. Io ho voluto fare lo stesso in molti racconti e sono stato ammirato per questa trovata che è la trovata di Dante nel medioevo: presentare un momento come cifra di una vita. In Dante abbiamo personaggi la cui vita può limitarsi in alcune terzine, e tuttavia quella vita è eterna. Vivono in una parola, in un atto non serve di più; sono una parte di un canto ma quella parte è eterna. Continuano a vivere e a rinnovarsi nella memoria e nell'immaginazione degli uomini.
“Paolo piangea”, “ingiusto fece me contra a me giusto”, "Vergine madre figlia del tuo figlio”, “Pape Satan Pape Satan Aleppe”.
Lapidarie sono le terzine di Dante come epitaffi, sembrano quasi delle sentenze in cui i personaggi si rispecchieranno nell’eternità, voci che non avranno silenzio, perché brevi ma troppo potenti nell’immaginario per essere cancellate.

Da qui la modernità, il contatto tra l’antico e il moderno, il collegamento che ci permette di dialogare senza forzature ma che ci lascia solo la bellezza della lettura.

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