Che rapporto si instaura tra un terapeuta e una paziente? Quali dinamiche e quali problemi sorgono nel cercare di "liberare" il demone del male interiore? Sono queste alcune delle domande che ci si pone affrontando le tematiche del romanzo La Fuoriuscita. Per provare a dare qualche risposta abbiamo intervistato l'autore.
La Fuoriuscita, titolo del tuo romanzo, fa pensare alla fragilità umana. A quanto possa essere manipolabile, se non la si riesce ad incanalare in un centro di equilibrio. Cosa puoi dirci a tal proposito?
Condivido che l’equilibrio sia un punto d’arrivo per tutti. Il fatto è che risulta impossibile raggiungerlo da soli o in una sorta di autodeterminazione (o come voleva il buon Nanni Moretti, in Autarchia). L’equilibrio è possibile solo se si organizza una rete di relazioni affettive valide e funzionali. Basta guardare le vite di molte persone geniali per scorgere quanto squilibrio persiste a fronte di un vero talento artistico o scientifico. La fragilità di un equilibrio precario, quindi, ci spinge a cercare aiuto in qualcuno che ci aspettiamo possa restituirci una vita più equilibrata. Se non abbiamo la fortuna di incontrare nella vita sociale persone positive e stabili al nostro fianco, possiamo tentare con uno psicoterapeuta, col rischio però di incappare in chi potrebbe manipolare e approfittare delle nostre fragilità in funzione del suo tornaconto psicologico e materiale. Nel libro, si racconta questa evenienza e si confrontano due modi di fare psicoterapia, il primo, carismatico, nel quale si propone un rapporto di totale soggezione e dipendenza dal terapeuta, il secondo, democratico ed evolutivo, nel quale la persona raggiunge l’equilibrio con le risorse che possiede, aiutata nella riflessione da un professionista che conclude il proprio lavoro, restituendo al soggetto, ormai meno fragile, la sua autonomia.
Le dinamiche di interazione tra il medico ed il paziente, rappresentano un focus all'interno del testo. Ce ne parli?
Sì, è fondamentale il rapporto medico-paziente. Ossia ciò che dovrebbe vedere il rispetto assoluto dell’identità e dell’indipendenza di chi chiede aiuto. Nella vicenda del libro, tale rapporto appare sbilanciato a favore di una presunta superiorità psicologica ma anche intellettuale di chi si pone al di sopra dell’altro per dirgli (in tono oracolare) ciò che è bene e ciò che è male, avvalendosi di una non ben identificata formazione che lo metterebbe al riparo da critiche e messe in discussione. Per fortuna, esiste un altro modello di rapporto medico-paziente o terapeuta-paziente che viene proposto nel libro, all’interno del quale la “fuoriuscita” si comincia a orientare e può comprendere perché è scappata dalla setta psicologica nella quale era invischiata. Il mio intento è di far notare alle tante persone che vanno in psicoterapia che i tempi sono cambiati e il misticismo e l’onnipotenza in campo psicologico è un inganno. Colui che si propone come esperto di problemi mentali è una persona come le altre e non un essere speciale. Però lo psicoterapeuta è anche un professionista con una formazione che gli permette di operare affinché il paziente ritrovi se stesso e riprenda la sua vita, senza la presenza rassicurante oppure oppressiva di chicchessia.
Sempre sullo stesso filo, sembrerebbe che tu voglia evidenziare quanto un'interazione non empatica tra il terapeuta ed il paziente, possa determinare una "fuoriuscita dai binari".
Ritengo la “fuoriuscita” della protagonista del libro una cosa sacrosanta, che testimonia della sua integrità profonda, a fronte di alcune piccole insicurezze che ritiene di avere e che la spingono alla ricerca di una conferma carismatica, sostanzialmente religiosa come un imprimatur, da parte di una sedicente autorità psicologica. Altra cosa è la crisi di chi “esce dai binari” della realtà. Nel libro a farlo sono proprio le persone apparentemente “sicure” di una stabilità consolidata. Come Ezio, il figlio della psichiatra carismatica, giovane di belle speranze, pompato dalla madre verso destini “splendidi” e miseramente schiavo dei suoi impulsi e delle debolezze implicite nel modello esibizionista e strafottente in base al quale è stato fatto crescere. La stessa Laura, la donna di Ezio, che lui lascerà senza scrupoli, precipita da una condizione di “supergarantita” a quella di una reietta, che medita vendetta per la perdita dei suoi privilegi all’interno del gruppo carismatico. La relazione disempatica di Adele Lùssari, la psichiatra carismatica, produce infatti un vulnus nelle menti dei suoi adepti e li rende fragili e terrorizzati di essere cacciati via dalla setta, perdendo l’ombrello protettivo di chi ti riconosce come valido solo se lo assecondi in tutto e per tutto.
Nel libro possiamo ritrovare un accostamento alla filosofia spirituale come quella divulgata da pensatori tra cui Osho?
In qualche modo, tutti i carismatici si assomigliano. La mia psichiatra-guru si muove nella stessa cultura post-sessantottina, come Osho, e i suoi spunti hanno a che fare con la spiritualità new age che contraddistingue quel periodo e, purtroppo, in parte anche il nostro. La modalità alla Osho è sempre la stessa: via il presente costituito, che sia religioso o politico o scientifico, in nome di un “nuovo” che in verità è solo un medioevo, ripulito e rigenerato, spacciato per “mai visto prima”. Il cuneo usato per introdursi nella cultura mediatica è sempre qualcosa di scritto, dei libri mirabolanti che presto diventano vangeli da diffondere ad opera di seguaci e discepoli, i quali accorrono numerosi ad assistere a un “prodigio” che dia un senso alle loro vite scialbe, annegate in metropoli e comunità alienanti e alienate. Ma se per la Cultura in generale possono esistere degli anticorpi e il dibattito è aperto, per la psicoterapia si rischia di sospendere il giudizio e impedire al buonsenso della gente di rifiutare quelle modalità carismatiche e settarie che in altri campi verrebbero riconosciute e squalificate.
Si potrebbe evidenziare un confronto tra Giuseppe scrittore e Giuseppe psicoterapeuta?
Ma certo! Il secondo ascolta molto e parla per riflettere sulle vicende del paziente, e aiutarlo a diventare indipendente anche dalla psicoterapia. Il primo, lo scrittore, finalmente gestisce tutte le parti in campo e si diverte a “rappresentare” ciò che ha vissuto, ha compreso, ha colto nella sua vita, ma anche nella vita dei numerosi altri di cui si è occupato.
La trama del libro, mette in risalto il tema della "setta". Ti sei ispirato ad una vicenda realmente accaduta oppure no?
Credo che tutta la produzione di uno scrittore abbia la sua matrice in fatti reali. Non tanto nel senso della cronaca quanto dei vissuti soggettivi dell’autore nelle sue vicende personali. Trattando il libro di psicoterapia, naturalmente, è fin troppo scontato che io abbia attinto alla mia esperienza e a fatti e situazioni vissute in prima persona. Ciò non significa che mi sia limitato a riproporre la fotografia dei miei trascorsi autobiografici. Il piacere di scrivere sta proprio nel comporre una trama e disegnare dei personaggi che, una volta creati, vivono di vita propria e quasi “costringono” l’autore a farli emergere nella loro originalità e indipendenza dalla vita di colui che li ha immaginati. Nella prefazione, appunto, ho sottolineato il termine allegorìa, che rivela quanto le forme, ovvero i personaggi e la trama servano a veicolare alcuni importanti contenuti, quelli sì assolutamente definiti dall’autore. Così, ho voluto affidare alla narrazione il compito di esporre la diversità tra due modelli opposti di fare psicoterapia, nell’intento di portare i lettori ad una consapevolezza scevra da qualsiasi intensione didascalica o dottrinale. Mi basta che percepiscano il rischio di sospendere il giudizio di fronte a pratiche e metodologie che richiedono la fiducia cieca e l’adesione passiva alle idee di colui (o di colei come nel libro) che accampa una non meglio definita superiorità intellettuale e una presunta e indiscutibile sanità mentale. Il modello che propongo come valido si manifesta nell’accordo continuamente perfezionato tra terapeuta e paziente, nell’interesse di quest’ultimo e che si conclude con l’emancipazione del paziente dalla persona del terapeuta.
La Fuoriuscita esalta e tanto, la personalità prevaricatrice della psicoterapeuta protagonista. Un suo squilibrio dell'ego. Qual è la tua visione del legame tra "ego" ed "io?
Al di là della definizione lessicale, ego potrebbe essere solo la parta più lucida della nostra mente ma l’Io o il Sé è tutto, ossia l’essere che siamo, fisico, mentale, conscio e inconscio. La protagonista del libro non resiste ad usare i suoi strumenti professionali per erigere un ego smisurato, allo scopo di fronteggiare un senso di fallimento e angoscia di non essere che una persona come tante. Anzi, invece di chiedersi perché il suo uomo è un depresso, preferisce abbandonarlo e “svettare” verso la collinetta della ribellione culturale-istituzionale, tanto per distinguersi e non affondare in un mediocre anonimato. Così, si accorge che possiede un ego tanto forte da essere ammirato da molti, i suoi pazienti, che si sentono fragili e impotenti. Facendo così, non resiste alla smania del carisma. Il piacere di avere tante bocche aperte ad ascoltarla la spinge quindi a combattere contro coloro che la criticano e la considerano un fenomeno da baraccone. L’ego della ribelle, circondata dall’ammirazione di tanti sconosciuti, vorrà quindi recuperare un vero riconoscimento istituzionale, quasi inconsapevole che la ribellione è stata solo una scorciatoia per raggiungere il successo. Qui si vede l’Io carente, la qualità dell’intera personalità sottoposta all’ambizione e alla necessità di un recupero dell’immagine sociale, cercando di procurarsi i titoli e i riconoscimenti che la ribelle prima disdegnava e irrideva nel confronto con i “nemici”, ovvero con coloro che non le davano ragione in tutto e per tutto.
Il tuo libro riconosce l'identità dell'essere umano in relazione con l'appartenenza ad un gruppo. Quanto pensi possa incidere l'esigenza di questa riconoscibilità, con la gestione della propria sensibilità?
In passato il gruppo era la famiglia, la patria, l’etnìa, e molte persone si riconoscevano nella tradizione e nelle affinità e appartenenze. Oggi, nel mondo metropolitano e globalizzato, si è sfasciato quell’equilibrio di appartenenze. Non ci sono più nemmeno le ideologie a unirci in massa e lo sport è sempre più denazionalizzato, per cui produce sempre meno emozioni di condivisione e identificazione. Le terapie di gruppo sono comparse nella metà del secolo scorso e si sono installate bene nella struttura della società dei consumi e della labilità dei legami familiari. Insomma, il gruppo esterno, sociale, lavorativo ha preso il posto di quello interno dove l’appartenenza era normale. L’aggiunta del gruppo terapeutico ha fatto recuperare una profondità che i gruppi sociali non conoscevano e non possono realizzare; e ha permesso alle sensibilità di ciascuno di emergere in maniera più diretta, trovando un contesto maturativo e salutare. Purtroppo, con la novità del gruppo non familiare e terapeutico è riapparsa la dimensione carismatica, ossia quella che nel medioevo trasformava un pinco pallino qualsiasi in veggente e santone. Oggi, i pinco pallini possono avere anche lauree in medicina e psicologia e specializzazioni in psichiatria e psicoterapia. Cosicché, nascosti dietro la palandrana del titolato professionista potrebbero tranquillamente atteggiarsi a santoni e veggenti, ovvero contestare quello che il mondo scientifico riconosce come valido e giustificato. In tali gruppi carismatici la sensibilità delle persone è sfruttata per sottometterle e dominarle emotivamente, come nel medioevo. Le scienze psicologiche hanno ancora un elemento di opinabilità e incertezza che ne blocca la possibilità di sostenere evidenze incontestabili. Siamo purtroppo alla babele di indirizzi (anche se per fortuna in Italia devono essere riconosciuti dal MIUR) e ce ne sono troppi per dare un senso di certezza alla materia psicoterapia. Naturalmente, il sogno della psichiatra carismatica del romanzo è di avere l’incarico al MIUR, proprio per riprendersi il riconoscimento che la sua posizione di ribelle le aveva sempre negato.
Concludendo. Le tinte psicologiche si dirigono verso un'atmosfera dai colori noir. Me lo confermi?
Senz’altro! Il finale del libro è quello che corrisponde col finale di queste vicende, dove le conclusioni sono sempre più o meno drammatiche, in quanto si assiste al crollo dell’impostura che reggeva tutto l’apparato carismatico. Ci sono anche i casi in cui (potrebbe essere l’argomento di un prossimo libro) il fideismo irriducibile dei seguaci e discepoli del carismatico si opponga alla morte o al conseguente crollo del carisma, cercando di ricostruirlo in chiave più istituzionale, magari con il “santificare” la vita e le opere del defunto personaggio, per riproporlo ripulito e sfrondato delle asprezze legate al suo percorso biografico. Insomma, è come quando si gira per i mercatini e si trovano vecchi emblemi del ventennio fascista che sanno di antico e, da paccottiglia propagandistica di un periodo nefasto, vengono mostrate adesso come le testimonianze di un periodo storico lontano e glorioso!
Giuseppe Lago è un medico specializzato in Psichiatria e Psicoterapia breve e integrata. Direttore dell’Istituto Romano di Psicoterapia Psicodinamica Integrata, fondatore e condirettore del periodico semestrale Mente e Cura. Ha pubblicato vari libri tra i quali: Orientamenti diagnostici in Psichiatria e Psicoterapia clinica (2002) Ma.Gi. Roma; La Psicoterapia Psicodinamica Integrata: le basi e il metodo (2006) Alpes Italia, Roma; L’illusione di Mesmer (2014) Castelvecchi, Roma; Compendio di Psicoterapia (2016) Franco Angeli, Milano.
Francesco Rinaldi
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