“Nevermore…”, questo sussurrò il Corvo appollaiato nella sua plutonica imponenza al protagonista della poesia più celebre di Edgar Allan Poe, sovrastandolo con plumbea ed incomoda compagnia sol per rispondere ai drammatici interrogativi dell’uomo relitto ad un destino di sofferenza. “Mai più…”, questa invece la traduzione nella lingua italiana del messaggio, sibillino e parenetico, dell’uccello che conduce l’uomo preda di angoscia e dolore verso l’ineludibile consapevolezza dell’irreversibilità di una sorte infausta.
Nessun senso di colpa, almeno questo deve emergere dalle opere di Poe. Per quanto afflittiva possa essere la vita, i protagonisti delle gotiche narrazioni di cui quivi si discorre non si lagnano delle proprie responsabilità, anzi! Il senso di colpa nella visione di Poe è eretico, tant’è che proprio nella poesia Il Corvo (The Raven) si palesa con palmare evidenza una dicotomia irrazionale, suscettibile finanche di rilievi nell’ambito delle scienze mediche-psichiatriche, che frappone con indomita crudezza il desiderio di scansare il dolore e l’angoscia (“nepente, balsamo di Galaad…”) ma al contempo rievocarlo per non lasciarlo spirare nell’oblio, nel vacuo compendio del nulla. Il dolore esiste, deve permeare e lambire, anche feralmente, l’anima degli uomini, ma giammai esso deve trovare stura e scaturigine dal senso di colpa.
E il serico triste fruscio di ciascuna cortina purpurea, facendomi trasalire - mi riempiva di tenori fantastici, mai provati prima, sicché, in quell’istante, per calmare i battiti del mio cuore, io andava ripetendo: «È qualche visitatore, che chiede supplicando d'entrare, alla porta della mia stanza. Qualche tardivo visitatore, che supplica d'entrare alla porta della mia stanza; è questo soltanto, e nulla più»
La stessa vita di Edgar Allan Poe è segnata da tormenti che si intervallavano, quasi regolarmente, per poi svanire al momento della sua morte (anch’essa, come tra l’altro già paventato in epigrafe, avvolta dal mistero). Il poeta nacque a Boston il 19 gennaio 1809 e, quasi nell’immediatezza della sua nascita, perse entrambi i genitori, dacché il padre abbandonò la famiglia nel 1810 e la madre, lo stesso anno, morì di tubercolosi polmonare.
Ormai orfano fu condotto presso la casa di John Allan il quale, con la sua famiglia, fu suo affidatario seppure non lo adottò mai formalmente.
Durante la sua giovinezza e nel periodo degli studi, a Chelsea, frequentò un collegio le cui aule prospicevano su di un cimitero, tant’è che il suo insegnante di matematica conduceva gli studenti tra le tombe facendo in modo che questi calcolassero l’età di ogni defunto (imparando così a far di conto). Studiò quindi in Inghilterra, servì come luogotenente e frequentò finanche l’università, iscrivendosi alla facoltà di Lingue antiche e moderne.
Abbandonati gli studi Poe si arruolò nello United States Army come soldato semplice, facendosi conoscere con il nome di "Edgar A. Perry" e dichiarando di avere 22 anni sebbene ne avesse soltanto diciotto. Lascerà l’esercito soltanto il 15 aprile 1829 e di lì inizierà un travagliato percorso funzionale a garantire il suo sostentamento e la prosecuzione dell’attività editoriale, essendosi rivelato un brillante compositore e dotato di un’immaginazione fervida (oltreché di un’eccezionale memoria).
Svolgerà ogni genere di lavoro: giornalista, impiegato, recensore etc. permettendo indi al pubblico di conoscere le sue opere, queste permeate da una crepuscolare visione della vita, del dolore, dei tormenti e delle angosce, che lo condurranno ad elaborare delle superbe poesie, poi catalogate nella narrativa gotica, a tema orrorifico ma anche poliziesco e investigativo. Della morte di Edgar Allan Poe si conoscono pochissimi dettagli, se non che fu rinvenuto il 3 ottobre 1849 da un uomo, tal Joseph W. Walker, il quale lo intravide mentre era preda di un convulso delirio e “in grande difficoltà, e... bisognoso di immediata assistenza”. Condotto presso l’ospedale del Washington College, morì domenica 7 ottobre 1849, alle cinque del mattino.
Posti brevi cenni biografici sull’autore, pare dunque ora opportuno tornare a riflettere sulle caratteristiche della sua produzione letteraria (pur tralasciando, per ovvie esigenze dissertative, di compiere un elenco delle sue opere). Ciascuno dei racconti di Poe è caratterizzato da un tema ricorrente che si incastona nel tradizionale riferimento alla morte, rianimazione di cadaveri, elaborazione del lutto e premura di una sepoltura adeguata.
Poe esaminava queste tematiche conservando una lucidità osservativa che gli permettesse finanche di non rivelare il significato dei contenuti proposti, quasi a voler celare i medesimi sotto una superficie lieve e permeabile poiché, laddove il significato fosse stato palese e prontamente riscontrabile, per l’autore l’arte avrebbe smesso di essere tale. L’arte rimane vivida solo se conserva un’efficace sottigliezza tale da impegnare il lettore in un’attività esegetica (neppure estremamente complessa) ma che comunque conduca ad una scoperta lenta e laboriosa delle intenzioni dell’autore.
O profeta, figlio del maligno – dissi – uccelloo demone, che ti mandi il Tentatore o ti porti la tempesta,solitario eppure indomito sopra questa desolataincantata terra, in questa casa orrida,ti supplico,di’: c’è un balsamo in Galaad? Dillo, avanti, te ne supplico!’Ed il Corvo qui: ‘Mai più!’
Lo stile letterario di Edgar Allan Poe è prodromico all’avvento del decadentismo e del simbolismo, tale da consolidare le fondamenta dalla quale si innalzeranno le edificazioni di scrittori i quali tenteranno di esprimere il concetto in virtù del quale la scrittura vive di regole e leggi sue proprie, in antitesi ed autonomia rispetto a quelle che regolano la vita quotidiana.
Quanto rimane di questo scrittore è l’abbondante produzione letteraria e l’alone di mistero che scandì la sua morte, momento in cui pare avesse invocato il nome “Reynolds” o addirittura che abbia proferito parole ancor più prosaiche, quali “Signore aiuta la mia povera anima”. Per il resto, ogni letterato o studioso della narrativa gotica, che interroghi se stesso o voglia interpellare il prossimo su quando un autore simile calcherà la nostra realtà, un iconografico corvo potrebbe (a giusto titolo) rispondere con “Mai più…”.
Daniele Paolanti
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