20 maggio 2019

Planck e l’origine (inconsapevole) della meccanica quantistica

max planck
Max Planck
Con questo primo articolo apriamo un ciclo dedicato alla storia della meccanica quantistica, con l’intento di provare a rendere accessibile un argomento ostico ma particolarmente affascinante per le fondamentali ricadute scientifiche e filosofiche sull’epoca contemporanea.
La meccanica quantistica, con tutti i suoi paradossi e le esperienze controintuitive, prese l’avvio da una fisica che oggi viene chiamata classica, ma che spiegava perfettamente il funzionamento del mondo macroscopico. Non appena i confini della conoscenza si schiusero ad aspetti nuovi emersero i primi dubbi sull’interpretazione della realtà e che apriranno poi la strada alla nuova rivoluzione della microfisica.

È noto il fatto che tutti i corpi, se abbastanza caldi, sono in grado di emettere calore e luce in funzione della loro temperatura. Un aspetto pratico di questa caratteristica è quello di un chiodo arroventato su una fiamma. Esso emetterà una luce colorata, segno evidente di un’emissione elettromagnetica. Sappiamo già, attraverso le nostre conoscenze scolastiche, che ogni colore è associato una caratteristica temperatura di riferimento; questa scoperta venne fatta nel 1800 dall’astronomo William Herschel utilizzando un termometro a mercurio e un prisma in grado di scomporre la luce. Egli vide inoltre che la temperatura del termometro variava anche in una zona dello spettro di colori invisibile, cioè oltre la fascia del rosso. Egli pertanto comprese che vi era una “forza invisibile” in grado di far aumentare la temperatura: aveva scoperto la radiazione infrarossa. L’anno successivo Johann Ritter sfruttando la proprietà del nitrato d’argento di scurirsi quando esposto alla luce, individuò un’emissione nella parte opposta dello spettro: la luce ultravioletta.
Queste scoperte evidenziavano l’esistenza di una radiazione invisibile in grado di interagire con la materia e che era in grado di trasmettere calore.
prisma luce
La scomposizione della luce tramite prisma

Dal 1859 il fisico tedesco Gustav Kirchhoff iniziò ad indagare la correlazione tra il colore e la temperatura. Volendo formalizzare un modello matematico per semplificare i calcoli elaborò il concetto di corpo nero, ossia un corpo teorico in grado di assorbire ed emettere tutte le radiazioni. Ciò che fisicamente si poteva avvicinare a queste caratteristiche era un recipiente cavo con un foro, la radiazione passando dal foro sarebbe rimbalzata al suo interno rimanendone intrappolata. Questo concetto servirà a Kirchhoff per formulare delle leggi che affermavano una stretta correlazione tra temperatura e colore indipendentemente dal corpo considerato. Ma non solo, la stessa radiazione emessa o assorbita, in questo caso da un gas caldo, produce delle tipiche righe di emissione con cui si può identificare un elemento, una sorta di codice a barre univoco. Questa legge sarà molto utile negli anni successivi in spettroscopia per l’identificazione delle sostanze e dei composti, ma diverrà fondamentale anche in astronomia consentendo di riconoscere successivamente la composizione chimica delle stelle e del sole tra cui la scoperta dell’elio nel 1868, sostanza ampiamente presente nel sole ma rara sulla terra.
radiazione di corpo nero
La radiazione di corpo nero

Nel 1893 il ventinovenne Wilhelm Wien scoprì una semplice relazione matematica che legava la variazione di temperatura della radiazione di corpo nero con la lunghezza d’onda dell’emissione, ossia: B = T · λmax. Tale relazione permetteva di ottenere la temperatura massima di emissione in base alla frequenza. Ciò avrebbe permesso di comprendere con assoluta certezza la temperatura di un forno in base alla rilevazione della radiazione, ossia al colore della fiamma o di parti del forno stesso, determinando il principio di funzionamento dei pirometri ottici. Ma se a grandi linee la relazione funzionava, i successivi esperimenti misero in evidenza come la formula non riusciva a esprimere correttamente la realtà alle alte temperature. Vi era una discrepanza che dimostrava come la formula nella sua semplicità non fosse totalmente corretta.
Wilhelm Wien
Wilhelm Wien

A tale problema (siamo nel 1900) il fisico tedesco Max Planck decise di provare a costruire una formula che fosse in grado di correggere quella di Wien, che di certo non andava del tutto esclusa. Attraverso un lavoro di calcoli matematici riuscì ad ottenere una formula più complessa che necessitava però di rispondenze pratiche. Grazie alla collaborazione dell’amico Heinrich Rubens che effettuò le verifiche sperimentali, ebbe ben presto il riscontro positivo sperato con una formula che diverrà parecchio famosa: 

legge di Planck

dove I(ν)dν è la quantità di energia per unità di superficie emessa nell’intervallo di frequenze tra ν e ν + dν (d rappresenta la variazione di frequenza). k è la costante di Boltzmann*, h la costante di Planck**, c la velocità della luce nel vuoto e T la temperatura assoluta. 
corpo nero
Rappresentazione di un corpo nero

Planck in questo modo aveva trovato lo strumento matematico per interpretare il comportamento delle emissioni di corpo nero ma non ne aveva ancora potuto comprenderne il significato profondo. Egli sapeva che quando le pareti di un corpo nero venivano riscaldate all’interno della cavità venivano emesse delle radiazioni di varia frequenza: dall’infrarossa all’ultravioletta. Ma per elaborare un modello fisico che riproducesse la sua distribuzione spettrale si servì della temperatura da cui dipendeva l’emissione. Sapeva altresì, dalla teoria dell’elettromagnetismo, che una carica elettrica che oscilli ad una certa frequenza emette o assorbe una radiazione ad una specifica frequenza. Così decise di calcolare le emissioni in un corpo nero ipotizzando molteplici oscillatori che singolarmente avrebbero emesso una frequenza e che collettivamente avrebbe ricoperto tutte le frequenze. Per elaborare un modello quindi avrebbe dovuto suddividere gli oscillatori teorici in gruppi che comprendessero varie frequenze, ma questa idea in un primo momento non portò a nulla. Così dopo aver sbattuto sul problema senza trovare alcuna soluzione decise di affidarsi a una delle figure più autorevoli dell’epoca lo stesso Ludwig Boltzmann. I contributi di questo fisico austriaco sono legati alla legge che esprime l’energia prodotta da un corpo nero in funzione della temperatura, la sua formula dimostra che essa è legata alla quarta potenza della temperatura. Egli diede anche altri contributi alla seconda legge della termodinamica che portano il suo nome.


Ludwig Boltzmann
Ludwig Boltzmann

Dopo aver avuto un utile confronto Planck fece suoi alcuni dei suggerimenti di Boltzmann aggiungendo nuovi elementi concettuali atti a proseguire nella sua riflessione. Ipotizzò che su mille oscillatori solo 10 avrebbero potuto mostrare la frequenza v. Da ciò dedusse che gli oscillatori avrebbero dovuto avere come elemento fisso la frequenza che corrisponde al numero di oscillazioni al secondo. Ipotizzando un arco di oscillazione maggiore rispetto alle oscillazioni ordinarie suppose che anche l’energia necessaria per produrre l’oscillazione sarebbe dovuta aumentare per mantenere immutata la frequenza, dato che era aumentata l’escursione di oscillazione. Planck così capì che avrebbe potuto spiegare la sua formula ammettendo che gli oscillatori avrebbero dovuto assorbire o emettere energia a gradini o pacchetti di energia proporzionali alla frequenza. Ossia l’aumento di una quantità minima di energia era correlato alla frequenza. Solo con questo metodo avrebbe potuto validare i suoi calcoli. 
Utilizzando la sua formula Planck suddivise l’energia in pacchetti discreti hν, dove ν è la frequenza dell’oscillatore e h la costante di Planck. Questa costante, il cui valore attuale è 6,26x10-34 J·s, è un valore estremamente piccolo e rappresenta la quantità minima di energia che, moltiplicata per una frequenza, determina la variazione di energia emessa o assorbita.

Facciamo due calcoli: immaginiamo di avere una frequenza di 20 e un valore di h 2 (il numero è ovviamente fittizio), 20 x 2 = 40 ossia ogni pacchetto o quanto avrebbe un’energia di 40. Se si fosse calcolata un’energia totale di 3600 dividendola per ogni pacchetto di energia a quella frequenza avremo 3600/40 = 90 ciò significa che si sarebbero dovuti distribuire 90 quanti tra gli oscillatori. Ecco il metodo per poter calcolare la distribuzione delle energie nelle molteplici frequenze di emissione, scomponendo il totale in valori discreti.
Questo “artificio matematico” si avvicina concettualmente a quello del calcolo infinitesimale per cui si suddivide una curva o una superficie complessa in piccole parti che vengono poi sommate, limitando il problema delle forme complesse. Allo stesso modo per ottenere il risultato sperato, Planck aveva suddiviso l’energia in piccole quantità che ne permettevano la previsione attraverso un calcolo sommatorio di piccole quantità. 


Questa caratteristica fisica non è riscontrabile nel mondo macroscopico perché il valore della costante di Planck h è molto piccolo, pertanto nella vita quotidiana non è percepibile. Anche per questa ragione la scoperta appariva persino al suo scopritore non come l’evidenza di un comportamento reale del mondo microscopico ma come un artificio matematico che tuttavia funzionava bene. Allo stesso modo tutti gli altri scienziati dell’epoca si congratularono subito con Planck per il risultato ottenuto, non considerando in realtà che l’energia si distribuisce effettivamente a quanti o pacchetti minimi di energia, concetto da cui poi nascerà giocoforza la meccanica quantistica. Per giungere a tali risultati sarà necessario l’apporto di un fisico del calibro di Albert Einstein che di lì a pochi anni amplierà la portata della scoperta. Planck aveva spostato un po’ più in alto l’asticella della conoscenza, ora spettava ad altri svelare lo scrigno di meraviglie che si celava nel mondo (controintuitivo) dei quanti.  



* Una grandezza che mettere in rapporto l’energia e la temperatura il cui valore venne individuato da Planck sulla base degli studi di Boltzmann e per questo intitolata allo scienziato.
** Il valore di energia minima che, moltiplicato per la frequenza, permette di ottenere l’energia totale della particella. Rappresenta una delle grandezze fisiche fondamentali.


Davide Mauro

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