Lavarsi di frequente le mani, mantenere la distanza di almeno un metro, limitare gli spostamenti… Sono le regole e i consigli a cui ci siamo ormai abituati, così come è divenuto familiare il nome Coronavirus o il suo nome scientifico SARS-CoV-2, e poi c’è la malattia che è denominata COVID19 (acronimo dall’inglese COronaVIrus Disease 19). Queste nozioni generali sono state acquisite un po’ da tutti, a cui si aggiungono le attenzioni riguardo alle sintomatologie che accompagnano l’insorgenza della malattia. Ciò che è più complesso da comprendere è come il virus tecnicamente agisca nel nostro corpo e come il nostro sistema immunitario provi a contrastarlo. Questo articolo prova a spiegare nel dettaglio i complessi meccanismi microbiologici che avvengono nel corpo umano infetto.
Il coronavirus
Per prima cosa è necessario comprendere la natura e la caratteristica del virus in questione. Iniziamo prendendola larga, cioè cominciamo dal nome virus che forse pochi sanno derivare dal latino col significato di “veleno” ma anche “tossina”. L’aspetto più interessante in merito ai virus però è il dibattito mai risolto sul considerarli come esseri viventi o meno. Se per un batterio la questione è facilmente risolvibile, in quanto sono considerati organismi unicellulari che si moltiplicano e dunque hanno degli elementi che consentono di classificarli come esseri viventi; i virus sono un ibrido non classificabile, da un lato hanno una struttura genetica, una strategia di vita, vengono uccisi o resi inoffensivi ma sono costretti ad utilizzare i meccanismi delle cellule per replicarsi. I virus quindi vengono definiti come “organismi ai margini della vita” o “creatori di diversità”. Qualcuno ha usato persino la metafora informatica definendoli come una sorta di programma in grado di svolgere delle funzioni specifiche di replicazione. D’altronde quella informatica è senza dubbio la metafora più calzante, essendo in genere programmi semplici in grado di modificare il comportamento dei computer, proprio come avviene con i virus.
Struttura del SARS-CoV-2 |
Il nome coronavirus come già saprete deriva dalla sua forma circolare che ricorda quella di una corona (a causa degli spuntoni circolari) e appartiene a una famiglia di virus detti Orthocoronavirinae. Questi virus utilizzano l’RNA a singola elica come materiale genetico (per questa ragione è chiamato anche virus a RNA a singolo filamento positivo), ma esistono anche virus che utilizzano il DNA a singola o doppia elica.
La sua struttura è di forma sferica e misura tra i 100 e i 150 nanometri di diametro, si tratta di un virus piuttosto grande rispetto alla media. All’esterno si trova l’envelope o pericapside, cioè l’involucro che racchiude la struttura genetica dell’RNA. L’envelope (proveniente da una cellula ospite già infettata) è composto da degli spike o spicole, si tratta di spuntoni di 20 nm composti dalla glicoproteina S. Tre spike messe assieme formano un trimero e sono il mezzo con cui riescono a riconoscere e legare col recettore ACE2 dei polmoni tramite un processo chiamato tropismo. Vi è inoltre la proteina M che interagisce con l’RNA virale favorendo il processo di replicazione. Il dimero emagglutinina-esterasi (HE) una proteina dell’envelope che svolge una funzione fondamentale per l’ingresso del virus dentro la cellula ospite, la proteina E che aiuta la glicoproteina S ad attaccarsi alla cellula bersaglio e infine la proteina N che aumenta la stabilità dell’RNA.
Il meccanismo di replicazione nella cellula
Rappresentazione del Coronavirus nell'atto di agganciarsi all'enzima ACE2 |
I virus per replicarsi hanno bisogno di raggiungere una cellula bersaglio, penetrare al suo interno e sfruttare i meccanismi cellulari. Per fare ciò nel momento in cui il virus riesce ad entrare a contatto con una cellula bersaglio avviene l’aggancio. Nel caso dei coronavirus e del SARS-CoV-2 la modalità di infezione è offerta, come detto, dall’enzima ACE2 (enzima di conversione dell’angiotensina 2). Questo enzima si trova nelle cellule di polmoni, arterie, cuore rene e intestino. La sua funzione è di abbassare la pressione sanguigna secondo meccanismi che non approfondiremo. Questo enzima viene agganciato dalla glicoproteina S che riconosce l’enzima bersaglio determinando l’unione. A questo punto sono possibili due processi, la fusione con l’intera cellula oppure l’endocitosi, ossia la penetrazione del virus all’interno della stessa. Questo processo determina il rilascio dell’RNA nel citoplasma della cellula, ossia la parte fluida interna di una cellula.
A questo punto si attiva l’RNA polimerasi che in pratica è il processo di replicazione dell’RNA, per cui si forma un RNA a polarità negativa (una sorta di stampo dell’RNA del virus). Ma vengono anche sintetizzate le proteine del virus, in modo da replicare tutte le parti. La sintesi consente la formazione del capside (il rivestimento del virus) all’interno del citoplasma e tutte le sue componenti. Successivamente avviene un passaggio presso il reticolo endoplasmatico della cellula che ha la funzione di trasporto e traslazione delle proteine (ma anche di formazione di altre proteine virali in questo caso) nonché l’indirizzamento verso l’apparato del Golgi. Questa parte della cellula rielabora, seleziona ed espelle i prodotti del reticolo endoplasmatico, in questo caso il virione (la singola particella virale). A processo completato il virione replicato può essere espulso tramite un procedimento chiamato esocitosi.
Il processo di replicazione appena descritto è relativamente lungo, in quanto avviene nell’arco di 24 ore, quando normalmente un virus influenzale impiega circa 8 ore. Tuttavia dalla prima gemmazione (espulsione) del virus replicato la proliferazione all’interno del corpo umano avverrà in maniera esponenziale.
Bisogna dire che durante la replicazione dell’RNA possono avvenire degli errori di replicazione, e nel caso del Coronavirus - che possiede un RNA piuttosto lungo - questa probabilità è maggiore di altri virus favorendo ciò che comunemente viene definita una mutazione. A causa di questi errori di replicazione nascono nuovi tipi di virus, ma è anche la ragione per cui ci si aspetta nel corso del tempo (e delle replicazioni) una mutazione genetica dello stesso. L’accumulo di “errori” diventa anche una sorta di strategia di sopravvivenza contro l’immunità specifica umana in grado di riconoscere il ceppo che aveva colpito l’organismo. Un eventuale vaccino o cura può indirizzarsi contro il virus attuale, ma nel tempo perderà di efficacia man mano che il virus muta e sarà necessario studiare un nuovo vaccino e nuove cure. In questa mutazione è anche possibile che il virus perda la sua carica virale sortendo effetti via via minori.
Bisogna aggiungere in merito alle mutazioni che esse potrebbero modificare anche l’indirizzo delle cellule bersaglio che al posto dell’enzima ACE2 potrebbero attaccare altre cellule di un altro organo o persino fare il cosiddetto “salto di specie”, per cui potrebbero trovare comodo infettare delle cellule di animali.
L’infezione
Abbiamo detto che il bersaglio è l’enzima ACE2 che nel caso del SARS-CoV-2 si concentra presso gli alveoli polmonari dove è molto presente. Gli alveoli polmonari sono la parte terminale dell’albero respiratorio dei polmoni, laddove avviene lo scambio tra ossigeno e anidride carbonica nel sangue. Gli alveoli infatti sono attraversati dai capillari sanguigni e costituiti da due cellule, i Pneumociti di I tipo ossia delle cellule piatte che ricoprono il 97% della superficie alveolare e i Pneumociti di II tipo che hanno una forma rotondeggiante e sporgente rispetto alla restante superficie alveolare. Questi ultimi presentano una membrana ruvida con lamelle e la loro funzione è di secernere il surfattante una sostanza che regola la tensione superficiale dell’alveolo sottoposto alle variazioni di pressione durante la respirazione. Il surfattante inoltre rigenera i Pneumociti di I tipo. Infine sono presenti i macrofagi alveolari definiti come gli “spazzini dell’alveolo polmonare” perché fagocitano le particelle del pulviscolo atmosferico tramite dei prolungamenti a stella che “aspirano” questi ultimi. Ebbene il virus prende di mira proprio i Pneumociti di II tipo.
L'alveolo polmonare |
La reazione immunitaria del corpo si basa su due modalità di risposta:
- L’immunità innata che comprende dei mediatori chimici (responsabili dell’infiammazione) e cellulari, responsabili di una prima linea di difesa contro le aggressioni. Questo sistema riconosce una generica condizione di pericolo dando una risposta ad un repertorio limitato di antigeni.
- L’immunità specifica o acquisita che comprende mediatori chimici e cellulari in grado di dare una risposta più potente e mirata (riconoscendo qualunque forma di antigene tramite una memoria di precedenti malattie), ma è una risposta più lenta.
Il sistema immunitario innato
La prima reazione immunitaria avviene tramite il sistema immunitario innato. Alcune cellule del sistema immunitario innato contengono proprio l’enzima ACE2 utilizzato per funzioni interne, e ciò fa ipotizzare (gli studi sotto questo aspetto sono in corso) la possibilità che queste cellule possano essere attaccate tramite la ormai nota glicoproteina S degli spike.
Il sistema immunitario innato viene attivato perché nelle sue cellule si legano molecole che non fanno parte dell’organismo e quindi sono riconosciute come “non self”. I recettori in grado di eseguire questo riconoscimento sono definiti come PRR (Pattern Recognition Receptors), tra cui i recettori Toll-like (TLR). Quelli in grado di riconoscere i coronavirus in generale sono nello specifico i TLR3 (se possiedono RNA a doppia elica) e TLR7 (se possiedono RNA a singola elica) e si trovano nell’endosoma della cellula, ossia un corpo vescicolare interno alla cellula stessa. Nel citoplasma (la parte interna) della cellula invece si trova un altro recettore chiamato RIG-1/MDA1. Tutti questi recettori attivano gli interferoni del nucleo della cellula, in particolare gli interferoni di tipo I. Queste proteine (lo dice il nome stesso) interferiscono con l’attività virale inibendo la replicazione delle cellule infette, impedendo così la diffusione virale e rafforzando l’attività immunitaria di linfociti T e macrofagi. Tale attività comincia presso la stessa cellula da cui è partito il segnale di “allarme” verso le cellule vicine.
Oltre agli interferoni si attivano anche le citochine che innescano un meccanismo di infiammazione richiamando l’azione immunitaria di altre cellule come i macrofagi e i linfociti NK o Natural Killer. I Natural Killer si aggiungono ai macrofagi nella funzione di aggressione all’attacco virale.
I coronavirus, in special modo il SARS-CoV-2 ha anche la caratteristica di inibire, in certi casi, la risposta immunitaria innata prodotta dagli interferoni di tipo I. In questo modo il virus può agire indisturbato per giorni moltiplicandosi e determinando quindi ciò che viene considerato un comportamento asintomatico. Questa è la ragione per cui il tempo di incubazione del virus è abbastanza lungo. In alcuni individui, quando la malattia è conclamata, la risposta immunitaria può essere molto forte determinando uno scompenso interno. Il famoso farmaco per l’artrite reumatoide che ha dato buoni risultati in alcuni pazienti blocca l’eccesso di risposta immunitaria agendo proprio sugli interferoni.
L’immunità adattiva
In un secondo momento si attiva la risposta dell’immunità adattativa tramite le cellule APC (antigen-presenting cell) ossia Cellula presentante l’antigene, queste sono delle cellule “sentinella” che intercettano in parte o interamente un virus, lo rendono inoffensivo ed espongono parti dell’antigene sulla loro superficie in collaborazione con le molecole MHC di tipo I e II. A questo punto migrano presso gli organi linfoidi dove espongono queste ai linfociti T naive, ossia quei linfociti che non hanno mai incontrato un antigene. Questi ultimi vengono attivati grazie al recettore TCR (T cell receptor) o recettore dei linfociti che si trova sulla superficie dei linfociti. La Cellula presentante l’antigene è in grado di attivare due tipi di linfociti distinti in:
- Linfociti T Helper (TH) o CD4+
- Linfociti T Citotossici (TC) o CD8+
I linfociti T helper (TH1 o TH2) così attivati producono la citochina detta Interleuchina 2 che stimola la sua stessa proliferazione e nello stesso tempo causa la produzione dell’Interferone gamma. Quest’altra citochina (l’interferone gamma) prodotta dai linfociti T helper (TH1) attiva i macrofagi che come detto agiscono fagocitando i virus. In caso di risposta (TH2) si attivano i linfociti B che producono a sua volta degli anticorpi. Alcuni di questi linfociti possono evolversi in linfociti B memoria che memorizzano l’antigene con cui sono venuti a contatto.
I Linfociti T Citotossici svolgono la loro azione principalmente eliminando le cellule infettate. Viene inoltre prodotta sempre l’Interleuchina 2 che stimola la proliferazione dei Linfociti T Citotossici causando la risposta immunitaria.
Le strategie di contrasto al virus
Quelli descritti sono i complessi passaggi che avvengono nel corpo affinché avvenga la risposta immunitaria a fronte della minaccia virale. Ma quali sono le strategie che fino ad oggi sono ipotizzate (e in alcuni casi già in fase di sperimentazione)? In assenza di un vaccino o di una cura definitiva si tende ad adattare alcuni farmaci utili per le cure virali di altre patologie che sembrano avere degli effetti positivi sui malati più gravi.
Alcuni farmaci sono utilizzati per il contrasto all’HIV e agiscono sulla proteasi, ossia un enzima che una volta bloccato interferisce con il ciclo replicativo del virus dell’HIV e in questo caso interferisce contro quello del coronavirus.
La clorochina come farmaco antimalarico contrasta il virus in special modo impedendo il legame con l’enzima ACE2 e inibendo l’acidificazione degli endosomi che attraverso questo processo inglobano e rilasciano il virus replicato, tale inibizione blocca quindi la replicazione virale. Agisce poi sulle citochine pro infiammatorie inebendo una risposta infiammatoria eccessiva spesso generata su alcuni ammalati di Covid19, la stessa azione è prodotta dal famoso farmaco contro l’artrite reumatoide il Tocilizumab, che abbiamo precedentemente citato.
Un’altra tecnica è quella di agire direttamente nell’RNA virale tramite delle basi azotate che sostituiscono le lettere del codice genetico virale dell’RNA alterandone il codice della replicazione: questi farmaci sono il Remdesivir e il Ribavirin.
Sono in sperimentazione anche altri farmaci che dovrebbero avere una funzione specifica contro il virus. Una possibilità è data da un possibile legame diretto di un anticorpo specifico con la glicoproteina (lo spike) virale in modo da impedire che si leghi al recettore ACE2 polmonare. Oppure di sintetizzare un enzima ACE2 che vada a legarsi con il virus al posto dell’enzima polmonare. Queste tecniche in fase di sperimentazione potrebbero bloccare l’avanzamento della malattia e rendere inoffensivo il coronavirus.
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