La musica è un qualcosa di inafferrabile che porta lontano la mente ed il cuore. Con la Musica Indiana si entra dentro un universo sonoro che fa sognare un altro tempo ed un altro spazio, che sa di mistero e di saperi lontani.
La Musica Classica Indiana, ovvero Musica Indostana - termine più corretto perché non vada confusa con la musica degli Indiani d’America - è un sistema musicale fra i quattro riconosciuti: Musica Occidentale, Jazz, Musica Indiana e World Music. Parlo di “sistema” e non di genere. Quando una modalità di “fare musica” è codificata con un linguaggio ben definito, fatto di notazione, di concetti teorici, di studio, e soprattutto, di regole che lo veicolano in un modo preciso, diventa sistema, cioè linguaggio. Perché la musica è un linguaggio, è comunicazione, non solo rappresentazione.
È evidente quindi che un sistema musicale è un concetto estremamente più vasto del “genere musicale”. Per evidenziare la differenza fra il sistema e il genere basti dire che ad esempio uno spartito di Laura Pausini è scritto con le medesime regole e note di uno spartito di Chopin o di Vivaldi, mentre una composizione di musica indiana è scritta con altre note, in un altro modo, ed è anche graficamente rappresentata in maniera completamente diversa.
Pertanto il genere “pop” di Laura Pausini appartiene a quella branca della musica occidentale definita “leggera” che la distingue da Antonio Vivaldi che invece appartiene al genere “classico”. Non si potrebbe mai confondere questo sistema musicale, rappresentato con gli spartiti che ben conosciamo, con altri sistemi musicali. La world music è composta di tradizioni orali antichissime, e rappresentazioni grafiche originali dei vari popoli del mondo, che nulla hanno a che vedere con il nostro sistema occidentale. Il jazz ha sviluppato un linguaggio del tutto autonomo e personale che ha richiesto un suo spazio specifico, all’interno dell’archivio dei sistemi musicali.
E la musica indiana ha una storia antichissima di millenni, fatta di libri, di teorie musicali, di composizioni, di grandi artisti che nei secoli l’hanno praticata e trasmessa. Questa distinzione fino al 1800 non era molto chiara: la musica indostana classica arrivava in occidente dai vari viaggiatori che ne scrivevano, e per un buon periodo di tempo è stata considerata folclore, cioè un genere, e non un sistema vero e proprio. La presunta supremazia culturale occidentale, motivata dall’età storica in cui avvennero i viaggi ed anche dai motivi, politici ed economici, che portavano uomini e studiosi in quel continente, riducevano questa scoperta ad una tradizione folcloristica da ascoltare con stupore e rispetto, e leggerezza.
Zia Mohiuddin Dagar suona Raag Yaman alla Vina, lo strumento più antico dell’India. E’ vissuto fino al 1990.
Solo negli anni 1950-1970 venne studiata con la dovuta attenzione e la musica indostana prende la connotazione di “sistema”, cioè insieme di regole e concetti musicali che ne fanno un corpus a sé stante rispetto ad altri sistemi musicali: dobbiamo questa intensa e preziosa opera divulgativa principalmente a Alain Danielou, grande studioso dell’India e delle sue tradizioni, che ha vissuto lì molti anni della sua vita, vi ha lavorato svolgendo incarichi importanti, ed ha personalmente tradotto numerosi libri di teoria e storia musicale indiana, oltre ad altri testi religiosi e filosofici.
Foto di Alain Danielou tratta dal sito “alaindanielou.org”.
La principale distinzione con la musica classica occidentale è l’assenza della struttura armonica. L’armonia è il sottofondo musicale che sottostà ad una melodia. Continuando il solito esempio semplice e chiaro di una semplice canzone pop o rock l’armonia di una canzone è la serie di accordi di chitarra o pianoforte che si sentono sotto la melodia del cantante e che, nell’unione dei suoni nella loro molteplicità, rendono questa melodia particolarmente bella e armonica.
L’armonia non è un costrutto casuale: è frutto di regole precise, dettate secoli fa dai compositori e musicisti che hanno fatto grande la nostra storia musicale.
Nella musica indostana si è sviluppato invece uno studio molto approfondito sulla melodia, arrivando a distinguere ben 22 microtoni, anziché le 7 note della musica classica a noi nota (che diventano il doppio in quanto una nota si suddivide in tono e semitono). L'unico sottofondo musicale su cui poggia la melodia è costituito da un tappeto sonoro prodotto con il tampura, uno strumento che fornisce la base per mantenere l’intonazione e che produce una serie di suoni armonici che conferiscono alla musica una sorta di magia.
In questo video Ustad Hussain Sayeeduddin Dagar esegue Raag Bhairav. Scomparso nel 2017, ho avuto la fortuna di fare un seminario con lui a Parigi nel 2014.
Pertanto molto risalto si è dato all'aspetto della melodia, ed all'esecuzione della stessa. Anche in questo caso esistono per l’appunto le “scale” e i “modi” quindi una suddivisione delle modalità di successione dei suoni secondo regole prestabilite. Tali scale danno vita ad un'infinità di melodie possibili con le quali si suonano e cantano composizioni storiche, scritte secoli e millenni orsono e trasmesse oralmente da maestro a discepolo, per lo più di soggetto religioso o divino.
Altra differenza fondamentale con la musica occidentale è che non esiste uno spartito per eseguire la musica. La formazione avviene rigorosamente con la guida di un Maestro e viene trasmessa oralmente. Il maestro passa al suo allievo quanto a sua volta imparò, che è frutto di ciò che altri prima di lui appresero. La tradizione vuole che si siano create delle scuole-famiglia, Gharana, ove per centinaia di anni si sono conservati gelosamente gli insegnamenti ricevuti, che vengono dati all’allievo con grande delicatezza, come un dono che si sta offrendo.
La perfezione nell’esecuzione di una sola nota è ottenuta con pazienza e con un profondo lavoro interiore del performer, che suona o canta con un’idonea presenza a sé stesso. Non suona per esecuzione, per rappresentazione, suona per sé: il grande lavoro fatto porta l’esecutore ad inserirsi dentro la propria musica come un flusso ininterrotto nel momento in cui la emette.
I Gundecha Brothers, che ho avuto l’onore di avere fra i miei Maestri, in Raag Bhoop. Artisti e docenti di fama internazionale, formatisi nella prestigiosa Dagar Gharana, portano in tutto il mondo la musica Dhrupad.
Un’altra grande differenza consiste nell’arte dell’improvvisazione. In musica classica, così come la conosciamo noi occidentali, non si improvvisa proprio nulla, si esegue nel miglior modo possibile ciò che ha scritto Bach, cercando di interpretare esattamente ciò che ipotizziamo lui volesse intendere nelle indicazioni del suo spartito: nessuna variazione è consentita.
In musica classica indiana invece esiste ampio spazio per l’improvvisazione ed anzi, colui che non improvvisa non viene considerato nemmeno un musicista. Le melodie, che si chiamano raga (raag), sono solo una traccia delle note tipiche di quella scala, ma poi è il performer che, mentre canta o suona, improvvisa viaggiando in autonomia fra i microtoni, naturalmente non a caso, ma seguendo le regole imposte dalla tipicità di quel raga.
La composizione cantata con il testo segue la traccia del compositore che la scrisse e cantò per primo: le composizioni non si trovano ovunque, anzi non si trovano proprio, vengono date dal maestro all’allievo personalmente e il discente sa di avere in mano qualcosa che è stato composto improvvisando da qualcuno secoli fa. Il discente lo scrive a mano, ciò che viene consegnato viene dettato, niente internet o libri.
I testi di molte composizioni, soprattutto quelle religiose, si perdono nella memoria dei tempi.
Anche la musica indiana distingue al suo interno diversi generi: quello più solenne, classico, si chiama Dhrupad e nasce dall’unione di due parole sanscrite Dhruva (immobile, permanente) e pada (versi). Quasi a significare che alcuni versi rimangono dei pilastri fissi, a ricordarci da dove veniamo…
Un altro maestro che ho avuto l’onore di frequentare, Ritwik Sanyal, anche’egli uno fra i maggiori artisti al mondo, appartenente alla prestigiosa Dagar Gharana. Esegue Raag Yaman.
Ascoltate ad occhi chiusi in un posto tranquillo, e fatevi portare... altrove...
A me consta che la musica indostana è la musica colta (la definizione di classica vale più per la musica occidentale) del Nord dell'India e NON tutta la musica indiana. Difatti la musica colta del Sud dell'India si chiama musica carnatica. Temo inoltre che lei confonda world music, che è un genere (e non un sistema musicale) fusion e molto recente con la musica folk, che appartiene al patrimonio folklorico tradizionale delle diverse culture del mondo, ed ha tradizioni molto antiche.
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