Con questi versi Valerio Magrelli (Roma, 1957) apre la sua «piccola ma nutrita enciclopedia del reato» come lo stesso commissario la definisce nella quarta di copertina, opera che nasce da una profonda insofferenza verso la recente “giallizzazione” della letteratura contemporanea.
Il commissario in questione è il pungente omonimo del poeta Valerio Magrelli che si fa forte dell’assonanza con il più celebre degli investigatori letterari, il Maigret di Georges Simenon.
Visto che tutti i libri
hanno ormai un commissario,
mi faccio commissario
della poesia
e parto sulle tracce dei misfatti
che restano impuniti a questo mondo.
Con Il commissario Magrelli (Einaudi, 2018) si sviluppa l’originale figura di un poeta-detective tutto proiettato nella Storia e nella realtà, il quale, attraverso lo strumento della scrittura, si mette ad indagare i crimini e le ingiustizie che restano impuniti; tutto ciò lo fa servendosi dell’arma dell’ironia con cui prende in giro i gialli e i noir, libri di consumo che hanno invaso il mercato editoriale.
La principale caratteristica del commissario è che si muove, va a sanare le cose che non funzionano e quindi il raggio d’azione si amplia: a differenza di Maigret e Camilleri, il commissario Magrelli:
Non fuma pensoso la pipa,
né coltiva orchidee.
Non ha assistenti fidati
e non abita al mare.
Fin dalle prime pagine della raccolta ci rendiamo conto che le indagini sono già concluse, tanto evidenti sono i misfatti e i loro moventi. Il commissario è semplicemente un accusatore civico di stampo inquisitorio, di ricerca di verità materiale piuttosto che “accusatorio”: è un osservatore e censore dei diritti umani e delle umane nefandezze, un poeta che si può a tutti gli effetti definire civile.
La vedova del sindaco
amante del notaio,
avvelena il postino,
suo cognato,
per diventare erede
di grandi proprietà,
Lo scaltro commissario, tuttavia,
trova tracce d’arsenico
sui guanti della vittima
risolvendo la trama.
Come già detto, il genere giallo viene qui sperimentato da Magrelli con l’efficace arma dell’ironia; la poesia appena riportata, insieme ad altre sei della raccolta, sembra un indovinello molto facile da risolvere e in cui il commissario non ha difficoltà a svelarne la trama.
Però poi il libro cambia completamente, la parte scherzosa sembra sollevare qualcosa che è del tutto esploso e diventa il nucleo centrale del libro: il commissario Magrelli si pone nel campo delle vittime, tra le voci degli assenti, dei muti, degli oppressi e dei soppressi.
La letteratura poliziesca è da sempre prevalentemente incentrata sulla ricerca di un assassino, di un colpevole, sulle sue motivazioni più profonde e sul suo vissuto; ma che ne è invece del vissuto della vittima, di colui che non vive più e che muore nell’attenzione collettiva che è del tutto focalizzata sul carnefice? È allora Magrelli-commissario colui che si propone di stare dalla parte della “preda” per ascoltarla e renderle omaggio:
Donne, paesaggio e infanzia,tutto ciò che è indifeso, vulnerabile,deve restare intatto,tabù,SACRO.
La grande novità rappresentata da questa raccolta è che Magrelli passa a un’indagine della società, della realtà che lo circonda e nella quale si muove fisicamente per denunciare i misfatti che la riguardano. Quasi tutta la sua produzione iniziale invece aveva come referente fondamentale il proprio corpo, era quindi un’indagine interiore e profondamente concreta. Dagli oggetti domestici, colti nel loro mistero, alle luci delle notti romane, l’occhio attento del poeta si è addentrato sempre più nel contorto mondo esterno.
Il titolo Cavie, ripreso da una poesia tarda della raccolta Il sangue amaro (2014), indirizza l’attenzione del lettore verso il concetto di cosa in divenire, di laboratorio aperto; la prima cavia del laboratorio è il poeta stesso, la vivisezione riguarda la sua persona, la famiglia, il mondo circostante, la natura, gli amici, la storia e così via. Ovunque sia rivolta, tale vivisezione parte dall’organo della vista, strumento conoscitivo per eccellenza in Magrelli.
O forse sono cavie, queste poesie che scrivo,
per qualche esperimento concepite,
che tuttavia non so.
Non so perché si formano,
eppure mi affeziono e le chiamo per nome,
topolini vivissimi, allarmati
da che?
Le poesie sono cavie, organismi viventi, crescono, vivono di vita propria e poi si estinguono; queste poesie-cavie si muovono sotto gli occhi di uno zoologo, di un poeta-scienziato che su di esse muove appunto un’indagine e ricerca continue.
«Scrivere in genere è nascondere» ci comunica un giovanissimo Magrelli, intendendo la scrittura come quell’atto investigativo quotidiano che continua a portare avanti non solo nel mestiere di poeta, ma anche in quello di critico, saggista, traduttore e docente universitario. Poeta è allora colui che sa cogliere gli indizi, le segrete corrispondenze della natura, i legami profondi tra le cose; Magrelli, da poeta-detective, ricerca le relazioni tra io e mondo, pubblicando le proprie scoperte all’interno delle sue variegate opere.
È proprio questa particolare attenzione rivolta alla realtà e al proprio io ciò che rende Valerio Magrelli una delle voci poetiche più significative della nostra contemporaneità; la sua scrittura, non ancora troppo nota al vasto pubblico, è un preziosissimo esempio di che cosa si intenda far poesia nel presente. Non c’è un punto di arrivo nella scrittura di Magrelli; si tratta di un’indagine che di volta in volta porta a piccole scoperte ma non si tratta mai di verità assolute. Di qui allora la necessità di sperimentare forme nuove, tematiche diverse e fusioni di generi, perché la scrittura è appunto ricerca costante.
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