15 ottobre 2020

Un giallo in versi: indagini del commissario Magrelli

Il commissario Magrelli

Con questi versi Valerio Magrelli (Roma, 1957) apre la sua «piccola ma nutrita enciclopedia del reato» come lo stesso commissario la definisce nella quarta di copertina, opera che nasce da una profonda insofferenza verso la recente “giallizzazione” della letteratura contemporanea. 


Il commissario in questione è il pungente omonimo del poeta Valerio Magrelli che si fa forte dell’assonanza con il più celebre degli investigatori letterari, il Maigret di Georges Simenon.

Visto che tutti i libri
hanno ormai un commissario,
mi faccio commissario
della poesia
e parto sulle tracce dei misfatti
che restano impuniti a questo mondo.

Con Il commissario Magrelli (Einaudi, 2018) si sviluppa  l’originale figura di un poeta-detective tutto proiettato nella Storia e nella realtà, il quale, attraverso lo strumento della scrittura, si mette ad indagare i crimini e le ingiustizie che restano impuniti; tutto ciò lo fa servendosi dell’arma dell’ironia con cui prende in giro i gialli e i noir, libri di consumo che hanno invaso il mercato editoriale.

La principale caratteristica del commissario è che si muove, va a sanare le cose che non funzionano e quindi il raggio d’azione si amplia: a differenza di Maigret e Camilleri, il commissario Magrelli:

Non fuma pensoso la pipa,
né coltiva orchidee.
Non ha assistenti fidati
e non abita al mare.

Il poeta ha dichiarato di aver scritto per prime le poesie che si trovano al numero cinque e ai suoi multipli, dove prende apertamente in giro il genere giallo; dopo Simenon tutta la letteratura che si definisce “gialla” è, per Magrelli, di solo intrattenimento e, pur condividendo con questo tipo di narrativa il rispetto per la comunicazione con il lettore, per Magrelli la letteratura è ricerca.
Non si tratta semplicemente di condurre un’indagine sulla poesia, ma di provare ad annetterla all’interno di un genere attualmente più fortunato per farla sopravvivere e di usarla come traccia per raggiungere la verità.

Fin dalle prime pagine della raccolta ci rendiamo conto che le indagini sono già concluse, tanto evidenti sono i misfatti e i loro moventi. Il commissario è semplicemente un accusatore civico di stampo inquisitorio, di ricerca di verità materiale piuttosto che “accusatorio”: è un osservatore e censore dei diritti umani e delle umane nefandezze, un poeta che si può a tutti gli effetti definire civile.

La vedova del sindaco
amante del notaio,
avvelena il postino,
suo cognato,
per diventare erede
di grandi proprietà,
Lo scaltro commissario, tuttavia,
trova tracce d’arsenico
sui guanti della vittima
risolvendo la trama.

Come già detto, il genere giallo viene qui sperimentato da Magrelli con l’efficace arma dell’ironia; la poesia appena riportata, insieme ad altre sei della raccolta, sembra un indovinello molto facile da risolvere e in cui il commissario non ha difficoltà a svelarne la trama. 

Però poi il libro cambia completamente, la parte scherzosa sembra sollevare qualcosa che è del tutto esploso e diventa il nucleo centrale del libro: il commissario Magrelli si pone nel campo delle vittime, tra le voci degli assenti, dei muti, degli oppressi e dei soppressi

La letteratura poliziesca è da sempre prevalentemente incentrata sulla ricerca di un assassino, di un colpevole, sulle sue motivazioni più profonde e sul suo vissuto; ma che ne è invece del vissuto della vittima, di colui che non vive più e che muore nell’attenzione collettiva che è del tutto focalizzata sul carnefice? È allora Magrelli-commissario colui che si propone di stare dalla parte della “preda” per ascoltarla e renderle omaggio:

Donne, paesaggio e infanzia,
tutto ciò che è indifeso, vulnerabile,
deve restare intatto,
tabù,
                         SACRO.

Agli occhi del commissario, stupri, incendi dolosi e pedofilia sono i mali peggiori, più sconcertanti e intollerabili. È una poesia di attualità, troviamo infatti Giulio Regeni «Anche l’Egitto giace / avvolto dall’orrore: / un ragazzo faceva domande ed è stato sbranato», troviamo Stefano Cucchi che «muore fra le braccia di quello stato che / invece avrebbe dovuto custodirlo», ma ci sono anche le vittime dell’orrore del precariato: «I ciclisti che portano la pizza. / I laureati che mangiano la pizza / inchiodati 
ai call center».
Quindi, se da una parte il poeta commissario riesce a risolvere, con ironia, piccoli misfatti delinquenziali, dall’altra, quello che non risolve è il conto non pagato dai carnefici, ladri e assassini che alla fine la fanno sempre franca.

La grande novità rappresentata da questa raccolta è che Magrelli passa a un’indagine della società, della realtà che lo circonda e nella quale si muove fisicamente per denunciare i misfatti che la riguardano. Quasi tutta la sua produzione iniziale invece aveva come referente fondamentale il proprio corpo, era quindi un’indagine interiore e profondamente concreta. Dagli oggetti domestici, colti nel loro mistero, alle luci delle notti romane, l’occhio attento del poeta si è addentrato sempre più nel contorto mondo esterno.

Parallelamente a Il commissario Magrelli, nel 2018 esce Le cavie, volume che raccoglie l’intera produzione in versi del poeta romano, dal 1980 al 2018 stesso, disegnando quarant’anni di poesia alla ricerca di un passaggio fra sperimentazione e comunicazione.
Le due opere, per quanto diverse nell’articolazione interna, hanno un forte legame di fondo che specifica la funzione della poesia di Magrelli come continua operazione di ricerca e indagine.

Il titolo Cavie, ripreso da una poesia tarda della raccolta Il sangue amaro (2014), indirizza l’attenzione del lettore verso il concetto di cosa in divenire, di laboratorio aperto; la prima cavia del laboratorio è il poeta stesso, la vivisezione riguarda la sua persona, la famiglia, il mondo circostante, la natura, gli amici, la storia e così via. Ovunque sia rivolta, tale vivisezione parte dall’organo della vista, strumento conoscitivo per eccellenza in Magrelli. 

O forse sono cavie, queste poesie che scrivo,
per qualche esperimento concepite,
che tuttavia non so.
Non so perché si formano,
eppure mi affeziono e le chiamo per nome,
topolini vivissimi, allarmati
da che?

Le poesie sono cavie, organismi viventi, crescono, vivono di vita propria e poi si estinguono; queste poesie-cavie si muovono sotto gli occhi di uno zoologo, di un poeta-scienziato che su di esse muove appunto un’indagine e ricerca continue. 

Come è avvenuto il passaggio da una poesia introspettiva e radicata nell’universo chiuso delle mura di casa a una scrittura che si apre invece al mondo esterno, agli avvenimenti politici e pubblici?
In un mio colloquio con Valerio Magrelli, egli mi ha risposto che ha riflettuto molto su questo cambiamento e che l’ha compreso attraverso una citazione di Edoardo Sanguineti secondo il quale si fa poesia “per antipatia”. La poesia di Magrelli nasce infatti da una reazione all’ambiente circostante: esordisce negli anni Ottanta, periodo in cui dominava la neoavanguardia, l’impegno, ma va in direzione opposta, rinchiudendosi in una scrittura che corrispondeva al suo amore per gli studi filosofici. Poi, abbandona questo tipo di poesia, ma in maniera spontanea, graduale, senza un preciso programma, fino a ritrovarsi a fare un tipo di poesia civile e di denuncia politica.

«Scrivere in genere è nascondere» ci comunica un giovanissimo Magrelli, intendendo la scrittura come quell’atto investigativo quotidiano che continua a portare avanti non solo nel mestiere di poeta, ma anche in quello di critico, saggista, traduttore e docente universitario. Poeta è allora colui che sa cogliere gli indizi, le segrete corrispondenze della natura, i legami profondi tra le cose; Magrelli, da poeta-detective, ricerca le relazioni tra io e mondo, pubblicando le proprie scoperte all’interno delle sue variegate opere. 

È proprio questa particolare attenzione rivolta alla realtà e al proprio io ciò che rende Valerio Magrelli una delle voci poetiche più significative della nostra contemporaneità; la sua scrittura, non ancora troppo nota al vasto pubblico, è un preziosissimo esempio di che cosa si intenda far poesia nel presente. Non c’è un punto di arrivo nella scrittura di Magrelli; si tratta di un’indagine che di volta in volta porta a piccole scoperte ma non si tratta mai di verità assolute. Di qui allora la necessità di sperimentare forme nuove, tematiche diverse e fusioni di generi, perché la scrittura è appunto ricerca costante.

Ilde Sambrotta

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