12 gennaio 2021

L'estate muore giovane a Castle Rock o in un paesino del Gargano

L'estate muore giovane

Nel 2019, il bar tender che ci prova con l'avvinazzata di turno, doveva essere un cliché fuori moda (o almeno si sperava). E invece no. Se poi l'avvinazzata, di cui sopra, non era in uno stato di hangover sufficientemente avanzato, succede anche di accorgersi che le avances subite, fossero un cocktail a base 
di consigli letterari. 
E' più o meno con questa modalità che sono venuta a conoscenza dell'esordio letterario di Mirko Sabatino, L'estate muore giovane, edito dalla casa editrice Nottetempo, fondata a Roma nel 2002, ed è con la stessa modalità che ho riconosciuto una serie di curiose tangenze, non solo in termini di spazio e tempo, con il racconto Il corpo, nato dalla penna del maestro del thriller/horror Stephen King, contenuto nella raccolta Stagioni diverse, pubblicata nel 1982. 

Il corpo

Castle Rock , Maine, 1960. Un pomeriggio d’estate, Gordon Lachance e i suoi amici di sempre Chris e Teddy, ascoltano il racconto di Vern, secondo cui suo fratello si sarebbe accorto della presenza di un cadavere sulle rotaie della ferrovia mentre scorrazzava in giro con una macchina rubata. I quattro decidono di andare a vedere di persona e di prendersi il merito del ritrovamento.

L’estate muore giovane

Gargano, Puglia, 1963. Dopo che un gruppo di bulli se l’è presa col più fragile dei tre, Mimmo, Primo e Damiano decidono di stilare un patto che si ritroveranno a mantenere per ben tre volte nel corso della trama: se uno di loro o della loro famiglia rimarrà vittima di un sopruso, risponderanno con una loro personalissima “legge del contrappasso”.  Da quel momento la loro estate avrà dei risvolti drammatici.

Così come i quattro amici di Castle Rock, provincia immaginaria del Maine, anche Primo, Mimmo e Damiano vivono la loro estate di transizione, un po’ più ad ovest rispetto ai primi, in un afoso paesino imprecisato sul Gargano: 

«Dove le madri nei pomeriggi sonnolenti richiamavano i figli con voci lente e cantilenanti, e le vecchie di sera se ne stavano sedute sulle sedie, sulla soglia delle loro case, a sventolarsi pigramente col ventaglio, mentre i loro mariti passeggiavano con le mani incrociate dietro la schiena, ostinatamente, obsoletamente eleganti nel loro unico vestito, le facce serie e dure incise al sole.» 

Gli anni sono quelli del primo disco dei Beatles e dell’ascesa di Martin Luther King, anni ’60 in cui questi ragazzi poco più che dodicenni, si misureranno con la paura, l’amicizia («Non ho mai più avuto amici come quelli che avevo a 12 anni. Gesù, chi li ha?»), l’indifferenza della famiglia, le speranze per il futuro e soprattutto con il marciume del foraggio di cui a volte, si nutre una certa bestialità umana. 

Attraverso l’eloquenza del titolo, King e Sabatino lasciano al lettore ben poca capacità di immaginazione: in America o in Italia, la morte ha irrimediabilmente strappato la giovinezza a chi le aveva appena teso la mano. 
A Castle Rock, Ray Brower, uscito di casa per andare a raccogliere mirtilli è stato quasi certamente investito da un treno, mentre Viola, sorella minore di Primo e cotta adolescenziale di Damiano, è vittima della foga carnale di un insospettabile uomo di chiesa del paese, Don Gerardo. Il corpo di Ray diviene così per Gordie, Chris, Teddy e Vern il motivo per spezzare la ruotine di fine estate, che li rende devoti fedeli di un macabro culto, in una sorta di pellegrinaggio alla volta del cadavere, seguendo le rotaie della ferrovia, metafora del percorso di crescita. Mimmo, Primo e Damiano, invece, non hanno bisogno di andare molto lontano nelle loro magliette e pantaloncini per scoprire il corpo suicida di Viola e per raggiungere la consapevolezza di una solitudine fino ad allora sconosciuta.

Quello che emerge da subito leggendo L’estate muore giovane è la creatività limitata di Sabatino tradotta nel tentativo non troppo riuscito di allungare una novella ben scritta come Il corpo (per altro l’autore, tra le dediche iniziali, non fa mistero di essere un fan di King). 

Non nel numero ma nelle caratteristiche, i personaggi sono pressoché identici. In entrambe le storie la voce narrante è affidata a uno dei quattro amici, mentre a livello di trama, viene platealmente scopiazzata da Sabatino una certa menomazione a livello cognitivo da parte del padre di Teddy, ripresa poi anche per quello di Mimmo, una peculiarità familiare che li rende oggetto di scherno da parte dei bulli di turno.  

L’autore purtroppo non riesce ad azzeccare neppure la scelta dello stile narrativo, zeppo di segni di interpunzione usati con poco criterio e di frasi segmentate che hanno il solo scopo di infondere confusione nel lettore e rallentare la trama, rischio mai corso da King.

Andando avanti poi, la situazione non migliora, anzi, tra personaggi secondari che non se ne stanno al loro posto, permettendo che le loro vicende personali lasciate a metà, prendano il sopravvento e le incongruenze su ciò che sia Bene e Male, impediscano al lettore di schierarsi dalla parte di un qualche giovane nome tra quelli elencati, si arriva alla medesima amara conclusione che vede da una parte la realizzazione professionale di Gordie in ambito letterario, pur senza più accanto i suoi amici, e il totale fallimento di Primo che ha cambiato diversi lavori, limitandosi a vivere anch’esso senza più gli amici di quell’estate. 

Per tanto alla fine, la sensazione che si ha è che se nel Maine il fare un po’ spaccone di quattro ragazzini con la voglia di prendere a morsi la vita, trovi il giusto epilogo permettendogli di salvarsi (quasi) tutti da soli, la provincia meccanica del Gargano, soffoca come una morsa i giovani protagonisti, lasciandoli attoniti spettatori delle loro esistenze stroncate dagli eventi. 

Morale della favola? Ai cocktail a base di avances letterarie, preferite un classico intramontabile: una Duff Beer sul divano come Homer Simpson.


Ilaria Salvatori

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