Vita e Morte; Infanzia e Età Adulta; Innocenza e Ipocrisia; Ingenuità e Consapevolezza; Commedia e Tragedia: Natale in casa Cupiello mette in scena lo scontro dei contrari
L’inganno ci fu palese.Pesanti nubi sul torbato mareche ci bolliva in faccia, tosto apparvero.Era in aria l’attesadi un procelloso evento.Eugenio Montale
Parlare di Natale in casa Cupiello non è certo facile, sapendo che molti critici ed appassionati si sono impegnati a scavare a fondo nel capolavoro del drammaturgo napoletano Eduardo De Filippo. Questo testo, pilastro della produzione eduardiana, nacque come atto unico (quello che poi sarà il secondo atto); a questo poi si aggiunsero il primo ed il terzo. È una cronaca familiare tragica ed impietosa condotta con maestria e lucidità da Eduardo De Filippo, attore e autore sempre attento alle meschinità e alle bassezze dell’umanità. Varie versioni televisive rimangono dell’opera e sicuramente quella più famosa (ed anche cara a chi scrive) è quella con Pupella Maggio, nei panni della severa matrona di casa Cupiello, Concetta; Luca De Filippo, interprete del viziato e bambinesco Tommasino; Lina Sastri, che dà corpo alla tormentata ed inquieta figlia Ninuccia; a completare il cast Luigi Uzzo, nella parte di Nicola Percuoco, Gino Maringola, nei panni dell’«eterno scontento» Pasquale detto «’o fiammifero» e Marzio Honorato, che interpreta Vittorio Elia l’amante di Ninuccia. Ultimamente il regista napoletano, Edoardo De Angelis, e un sempre immenso Sergio Castellitto hanno curato il rifacimento televisivo. Una sola parola: il confronto con Eduardo è impossibile ma credo che sia stato fatto un egregio lavoro e Sergio Castellitto (ma tutto il cast è da elogiare) è stato fantastico. Non è napoletano, è vero, ma la commedia/tragedia scritta da Eduardo De Filippo non riguarda solo Napoli ma l’intera umanità: la meschina cronaca di una tragedia familiare è universale.
Natale in casa Cupiello non è altro che un gioco degli opposti; sulla scena si muovono quei contrari, o meglio, quelle antinomie che mai troveranno una soluzione, che non potranno mai essere ricomposte: non è un caso che la commedia/tragedia non conclude, rimane un’opera aperta perché non è possibile nessuna soluzione; le antinomie continueranno a frantumare la realtà senza permettere una possibilità di ricomporla. O meglio, una fine ci sarà ma solo nella mente di Luca, il protagonista, vittima e carnefice della commedia/tragedia.
È la storia di una spiantata famiglia napoletana che si sta preparando a vivere il Natale. I battibecchi scherzosi tra Luca e la moglie Concetta, i litigi tra Tommasino e lo zio Pasquale sono le classiche scaramucce condotte attraverso battute taglienti ed esilaranti. Natale in casa Cupiello parte come una commedia, la classica commedia con battute, lazzi e gag ad effetto eppure c’è un male oscuro che serpeggia all’interno della scena, un male taciuto eppure ben visibile negli occhi preoccupati di Concetta e nel parlare concitato di questa con la figlia Ninuccia – che porterà Luca ad esclamare amaramente: «Tra madre e figlia è un altro linguaggio!»
Questo male oscuro si protrarrà anche nel secondo atto quando Vittorio Elia, l’amante di Ninuccia, viene invitato al pranzo della Vigilia ed esploderà nel terzo atto quando Luca comprende tutta la verità, quella verità che gli veniva negata e che allo stesso tempo lui rifiutava. Ecco allora la situazione precipitare: dalla commedia si passa alla tragedia. I toni nel terzo atto si fanno più cupi, più seri, più disperati. Natale in casa Cupiello è sia tragedia che commedia. Dante compì un viaggio dall’Inferno al Paradiso (ecco perché la sua è commedia) mentre la famiglia Cupiello compie il viaggio inverso: dal paradiso (seppur retto da un precario equilibrio) all’inferno. Possiamo dire che Natale in casa Cupiello è soprattutto una tragedia. O meglio, anche il finale conserva quell’ambiguità che caratterizza l’intera opera: è sia commedia che tragedia; commedia nella testa di Luca, ormai malato e prossimo alla fine, perché crede che i conflitti si siano risolti (come accade nelle commedie) ma al di fuori, attorno a lui, purtroppo è iniziata la vera tragedia.
Un’altra coppia di opposti sono l’infanzia e l’età adulta. Sì, il dramma descrive il tragico stacco che divide l’età dell’infanzia, che è l’età dell’innocenza e dell’ingenuità, dall’età degli adulti, che è l’età della consapevolezza e dell’ipocrisia. Luca Cupiello è un personaggio che ricorda Pierrot, Charlot o, in questo caso, Gesù bambino: un uomo innocente, puro, semplice, un bambino che muove i suoi passi in un mondo troppo grande ed incomprensibile per lui. Commovente è la scena nel primo atto quando cerca di capire cosa sia accaduto tra Nicola e la figlia ma nessuno lo degnerà di una risposta.
LUCA: Insomma, io non devo sapere niente!
CONCETTA (quasi commiserandolo): Ma che devi sapere! Che vuó sapé… Fa’ ’o Presebbio, tu…
Interrogherà anche Nicola ottenendo però gli stessi risultati.
LUCA (rivolto alle due donne): Permesso. (Trae il genero in disparte) No, sai che d’è, Niculi’: quella Concetta mi mantiene all’oscuro, non mi dice mai niente per non darmi dispiaceri… Lo fa per bene, povera donna. Ma fra uomini potiamo parlare. Perché vi siete contrastati?
NICOLINO: No, niente…
Luca viene trattato come un bambino; “non possiamo dirti cosa realmente sta succedendo perché sei ancora un bambino e non puoi affatto capire quello che preoccupa la vita dei grandi, quando crescerai forse capirai”. Luca vive in questo mondo puro ed innocente simile all’Eden, che vide nascere Adamo ed Eva, o al Presepio. Il Presepio, tanto amato da Luca da dedicargli soldi e tempo, è l’oggetto che rappresenta l’infanzia e l’innocenza del capofamiglia; un piccolo mondo in miniatura dove ogni anno avviene il miracolo: la nascita di nostro Signore. In questo universo fatto di pastori, di stelle e di «acqua vera» Luca si trova a proprio agio perché non accade alcuna cosa brutta, è ordine, è magia, è il passato, è la tradizione. Luca Cupiello, come un bambino, crede nei buoni sentimenti, nel potere salvifico del Natale, nell’unità della famiglia, nella vittoria del bene sul male. Tutto questo amore è nel suo Presepio.
LUCA (divertito per l’uscita del figlio): Chillo Pascalino s’ ’a piglia veramente… (Poi, a Nicolino) Facciamo bubà, ma sono questioni senza rancore. Ci vogliamo bene […].
Ma «il procelloso evento» di Montale è alle porte; il male oscuro trascina Luca al di là del Presepio per fargli vedere come stanno realmente le cose e tutta questa realtà sconvolge il povero capofamiglia tanto da farlo morire. Ricorda molto, anche se di molti anni successivo, l’episodio scritto e diretto da Pier Paolo Pasolini, La sequenza del fiore di carta, che racconta di un giovane che cammina per le strade di Roma con un fiore di carta in mano (immagine della sua innocenza), ignaro del male che lo circonda. Il fiore di carta per Pasolini, il Presepio per Eduardo. Ecco avvenuto il passaggio dall’infanzia all’età adulta: Luca realizza, come realizzò anche Giacomo Leopardi («All’apparir del vero/ tu, misera, cadesti: e con la mano/ la fredda morte ed una tomba ignuda/ mostravi di lontano.»), che tutte quelle non erano altro che illusioni infantili mentre il mondo degli adulti è più complesso, arido ed ipocrita. Eppure Luca questo non lo accetta e si chiude nuovamente in se stesso. L’icuts che lo colpirà è il cancro di Mastro-don Gesualdo, è la tubercolosi di Kafka e Gozzano, è la febbre di Alfonso Nitti: non è un male fisico ma è un male dell’anima, una sofferenza esistenziale che lo rende incapace di accettare la brutale realtà che lo circonda, una realtà odiata perché diversa da quella del suo Presepio.
Luca è l’infanzia che muore; il passato che cede il passo ad un presente oscuro e minaccioso; sono gli ideali che lasciano posto alla grettezza e all’egoismo
Ma Luca è innocente fino in fondo? Non proprio. Anche Luca è una contraddizione: è carnefice e vittima; innocente e colpevole. Lui sa che gli si nasconde qualcosa, lo avverte, sa la vita che stanno conducendo i suoi figli e le colpe della moglie, cerca di capire ma non si impone, anzi, lo accetta serenamente: potrebbe fare di più ma rinuncia subito preferendo rimanere ai margini.
LUCA: Cu’essa? Me l’aggia piglià cu’ donna Cuncetta! Cunce’, te l’ho detto sempre: tu sei la mia nemica! Ecco l’educazione che hai dato ai tuoi figli, e questi sono i frutti che raccogli!
Luca Cupiello accusa Concetta ma anche lui ha le sue colpe: sa cosa sta accadendo, o meglio, intuisce ma preferisce non intervenire. Ecco allora che diventa il carnefice e la vittima: lui, possiamo dirlo, è la causa dei suoi mali perché ha preferito vivere nel suo mondo infantile.
Luca è l’infanzia perduta. Molti intellettuali del Novecento, nelle loro opere, salutarono l’infanzia come la mitica età dell’oro, un’età irrecuperabile, scomparsa per sempre. Eduardo e Pasolini, ad esempio, però sottolinearono come fosse pericoloso vivere nel ricordo, cercare di far rivivere il passato dimenticando di vivere consapevolmente il presente, anche se brutto e violento. Le contraddizioni dell’innocenza: rifugio e condanna; serenità e pericolo.
Altra coppia di opposti: la Vita e la Morte. Il Natale è la nascita di Gesù bambino ma quel giorno morirà Luca; è il trionfo del bene ma alla fine Luca realizzerà come i primi conflitti ed odi nascono proprio nelle famiglie.
Luca alla fine muore nel suo Presepio. Nella sua testa i problemi si sono risolti, fino all’ultimo rifiuta di vedere in faccia le cose e i parenti lo aiuteranno in questo suo delirio. L’ultimo conforto da dare ad un moribondo. Nella sua testa nel mondo di fuori la magia del Natale ha vinto per sempre, il bene ha trionfato. E sorride pensando a Gesù bambino; quel Gesù nato in questa terra di dolore e disperazione, la stessa che Gli darà la morte.
LUCA (perduto dietro quella visione, annuncia a se stesso il privilegio): Ma che bellu Presebbio! Quanto è bello!
Cala la tela sulle miserie umane.
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