1 febbraio 2021

“La Storia” di Elsa Morante


Se è vero che ogni libro è un’esperienza, La Storia di Elsa Morante è a pieno titolo tra quelli la cui lettura non può non lasciarci turbati. 
I motivi sono tanti: le figure a tutto tondo dei protagonisti così diversi tra loro, il dramma della guerra, la morte e la fame ma anche lo stupore, la gioia di vivere. 

E poi l’amore in tutte le sue declinazioni: materno, filiale, tra fratelli, tra amici, tra amanti, amore per la natura e per gli animali. Insomma, ci sono tutte le componenti di un romanzo che però non è solo storico e psicologico.

Ma c’è qualcosa di più: sotto traccia, per tutto il romanzo, è latente una domanda, una denuncia, un urlo: cosa è la civiltà?

La risposta l’aveva data già il greco Esiodo (metà VIII secolo), nel suo racconto dell’età dell’oro tracciato in Le opere e i giorni i cui temi principali sono giustizia e lavoro. 

Una figura, nel romanzo, ha la funzione di riportare il discorso su questo tema in un’invettiva contro il progresso

Invettiva che ha un valore a sé anche svincolata dal libro, come riflessione politico-filosofica sull’esistenza e sulla questione bioetica, oggi tanto attuale. 

A parlare è Davide Segre, alias Piotr, alias Carlo, un giovane sempre troppo triste e misterioso, con un nome diverso a seconda delle situazioni in cui si trova nella sua tragica e breve vita, quella di un ebreo che si nasconde prima tra le fila dei soldati in guerra e poi tra i partigiani. 

Sono tutte esperienze in cui egli cerca un senso da dare all’esistenza ma dalle quali esce devastato interiormente fino quasi alla follia per aver compreso che ogni guerra, di che fazione o colore essa sia, è una guerra di conquista. 

Nella mente delicata e fragile ma lucida di Davide (che peraltro è uno studente di filosofia), la Morante intesse (probabilmente) la sua personale idea del mondo e dell’umanità. 

Il romanzo diventa così solo uno spazio temporale atto a dimostrare che la storia è solo il perpetrarsi della sopraffazione dell’uomo sul suo simile e sulla natura. 

Davide questa prepotenza primordiale la chiama fascismo a prescindere dal colore politico o dall’epoca in cui essa si sia manifestata: 

«…che insomma - afferma nel suo accento settentrionale - tuta la Storia l’è una storia di fascismi più o meno larvati.» 

Nel suo discorso nella bettola di Testaccio questa sua idea egli la dimostra raccontando il passaggio dell’uomo dallo stato primitivo di innocenza e semplicità – l’età dell’oro di cui parla Esiodo – alla cosiddetta civiltà ovvero l’affermarsi del principio del più forte ad ogni livello dell’esistenza. 

Ecco allora spiegarsi lo sfruttamento della classe operaia da parte della borghesia, le guerre di conquista di un popolo nei confronti di altri popoli, la prepotenza di un uomo sugli altri, le dittature. 

Così, secondo Davide, si sono snodate nel tempo le epoche e si sono avvicendate le grandi civiltà sostituendosi l’una all’altra, così si spiega quello che noi chiamiamo progresso ed invece è per lui  “uno scandalo che dura da diecimila anni”. 

Questa è la Storia che dà il titolo a tutto il romanzo della Morante e che consiste in ciò cui ha dato vita l’umanità da quando ha abbandonato la sua innocenza, da quando ha dimenticato di far parte della natura, da quando esattamente costituendosi in società complesse – le gerarchie - e con la suddivisione dei compiti, ha perso il suo elemento barbarico e primitivo per dedicarsi al male.  

«La parola fascismo – dice Davide nell’indifferenza generale della bettola - è di conio recente e si fonda sulla sopraffazione degli indifesi.» 

E’ una critica feroce alla modernità che crea mostri, quella di Davide, oratore, profeta inascoltato. 

Ma come dargli torto? Ogni epoca ha i suoi, di mostri. Ieri erano le dittature, oggi è il consumismo. 

La Morante è stata spesso accusata di aver dato una visione troppo pessimistica della vita, in questa opera. Il punto più crudo di questa visione è sicuramente in questo discorso lucidamente folle, appassionato, di Davide.  

Vie d’uscita sembra non ci siano e invece lui una luce la intravede. La chiama “anarchia” ed è quella dimensione in cui non c’è uno che prevarica sugli altri e la natura non viene sfruttata per produrre di più ma elargisce i suoi frutti senza essere coltivata. 

E’ l’età dell’oro di Esiodo, che forse non tornerà più ma su cui dovremo riflettere quando la natura ci si rivolterà contro come al dottor Frankestein, quando le materie prime non basteranno più, i ghiacci si scioglieranno e noi uomini avremo perso del tutto la nostra autenticità.

Gloria Zarletti

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