All’inizio del 1881 Giovanni Verga pubblica I Malavoglia, il suo romanzo di maggior, anche se tardivo, successo. A quel tempo Carlo Collodi è già giornalista e scrittore affermato e ha da poco messo mano al suo indiscusso capolavoro, Le avventure di Pinocchio, il quale dal 7 luglio 1881 esce a puntate sul «Giornale per i bambini». Al di là della vicinanza cronologica delle due pubblicazioni, il romanzo verghiano e la fiaba collodiana possono essere accostati in quanto espressioni di quella narrativa italiana di fine Ottocento che dà voce alle inquietudini e alle aspirazioni di una nuova generazione; generazione che subisce al tempo stesso la delusione postrisorgimentale e la forza attrattiva della nascente modernità.
In questo ritratto del personaggio verghiano si ritrovano alcune delle più evidenti caratteristiche del famoso burattino di Collodi. Pinocchio è un bambino di legno ancor più pigro e sprovveduto di ‘Ntoni, che consuma le sue peripezie in una Toscana misera e stralunata. Per quanto buono e di animo puro, Pinocchio si mette ripetutamente nei guai a causa della stessa faciloneria e insensata caparbietà del giovane Malavoglia, diventando come quest’ultimo motivo di preoccupazione e dispiacere per la sua famiglia.
‘Ntoni e Pinocchio si assomigliano nel loro essere i tipici eroi problematici di quella letteratura che sul finire del XIX secolo registra le trasformazioni della modernità e il diffuso disagio che ne consegue. La natura problematica dei due personaggi emerge nel momento in cui essi rifiutano i principi di operosità e modestia cui sono stati educati, si mostrano insofferenti alla loro bassa posizione sociale e, tormentati dal crescente malcontento, inseguono un’idea di progresso e ricchezza che in apparenza non esige fatica. Entrambi vengono abbagliati e disorientati dal mito borghese del benessere e del dolce far nulla: ‘Ntoni e Pinocchio ambiscono a migliorare la propria condizione e a vivere agiatamente, senza dover per questo sacrificare le loro giornate al lavoro. Tale ambizione si proietta innanzitutto sul cibo, di cui essi vogliono godere evitando, però, lo sforzo quotidiano di guadagnarselo: ‘Ntoni intende trasferirsi in città e lì nutrirsi di «pasta e carne tutti i giorni», mentre Pinocchio pretende di mangiare la frutta, che per di più altri gli procurano, senza doverne consumare anche gli scarti.
Il desiderio di benessere e arricchimento rappresenta per ‘Ntoni e Pinocchio la spinta a compiere una serie di imprese che, pur definendosi come vere disavventure, risultano ampiamente formative. Questo travagliato processo di formazione implica l’allontanamento dal paese d’origine e dalla casa paterna: il giovane Malavoglia lascia Aci Trezza più d’una volta, prima obbligato dal servizio militare e poi in cerca di fortuna; Pinocchio, presente nell’umile dimora del padre solo all’inizio del racconto, si allontana progressivamente da essa, perdendosi in luoghi ambigui e pericolosi. Secondo la morale comune alle due opere, l’errore di ‘Ntoni e Pinocchio sta innanzitutto nella decisione di abbandonare il luogo cui essi appartengono, ripudiando la strada segnata dai loro padri. Infatti, nelle prime battute della fiaba collodiana il Grillo-parlante ammonisce Pinocchio dicendo: «guai a quei ragazzi che si ribellano ai loro genitori, e che abbandonano capricciosamente la casa paterna. Non avranno mai bene in questo mondo; e prima o poi dovranno pentirsene amaramente». L’avvertimento del Grillo-parlante si ritrova nelle molte esortazioni proverbiali con cui ‘Ntoni è persuaso dal nonno e dalla sorella a restare ad Aci Trezza: «ad ogni uccello, suo nido è bello», «chi cambia la vecchia per la nuova, peggio trova», e ancora, «beato quell’uccello, che fa il nido al suo paesello».
In entrambe le narrazioni la figura paterna svolge un ruolo importante nella maturazione dei due giovani, rispetto ai quali costituisce una presenza antitetica. Nelle Avventure di Pinocchio e nei Malavoglia compaiono più precisamente due padri adottivi: Geppetto è l’anziano falegname che modella Pinocchio e che con assoluta spontaneità si propone come suo padre; Bastianazzo, il padre di ‘Ntoni, muore all’inizio del romanzo, quindi la sua funzione genitoriale nei confronti del ragazzo è assunta dal nonno, Padron ‘Ntoni. Geppetto e Padron ‘Ntoni sono padri molto diversi, l’uno apertamente dolce e remissivo, l’altro più autoritario e distaccato. Entrambi, però, rappresentano la vecchia generazione e sono fedeli a una saggezza antica e molto semplice, per la quale è compito dell’uomo onesto lavorare e accontentarsi di ciò che già possiede. In un solo momento della loro storia essi progettano di cambiare la propria statica e insoddisfacente condizione, Padron ‘Ntoni investendo in un carico di lupini e Geppetto costruendo un burattino di legno; il primo, quindi, intende farsi mercante anziché pescatore, il secondo burattinaio anziché falegname. Questo tentativo, però, si rivela subito fallimentare e diventa la causa scatenante di una serie di disgrazie impreviste; infatti, il vecchio Malavoglia s’impoverisce e vede morire figlio e nipoti, invece Geppetto, costretto a inseguire Pinocchio, finisce divorato da un pescecane. Di conseguenza, per tutta la durata della loro vicenda essi non fanno altro che cercare di ripristinare la tranquilla situazione iniziale: Padron ‘Ntoni tenta di ricomporre la sua famiglia e riscattare le proprietà perse per colpa dei debiti, Geppetto di riabbracciare il suo burattino e con lui fare ritorno a casa.
‘Ntoni e Pinocchio si fanno portatori di valori e speranze in aperto conflitto con il prudente e modesto atteggiamento dei loro padri; essi vogliono diventare adulti facendo di testa propria e, soprattutto, non accontentandosi della grigia esistenza che la sorte ha assegnato loro. Purtroppo, il percorso di crescita dei due personaggi, seppur animato da aspirazioni giustificabili e condivisibili, è fatto di continui traviamenti e dolorose cadute. ‘Ntoni e Pinocchio non sono certo ragazzi malvagi, ma per inesperienza e ingenuità si lasciano corrompere da luoghi o personaggi negativi e devianti. Infatti, il giovane Malavoglia viene sedotto dall’esuberante e lussuosa città di Napoli, proprio come Pinocchio cade vittima del Paese dei balocchi; allo stesso modo, il burattino è raggirato dalle promesse di facile guadagno del Gatto e della Volpe, così come ‘Ntoni crede senza esitazione ai racconti, affascinanti ma discutibili, di due facoltosi forestieri giunti ad Aci Trezza con le tasche piene di soldi.
Un unico elemento riesce ad arginare lo sprovveduto comportamento dei due eroi, ovvero l’amore materno. Nella fiaba di Collodi la Fata dai capelli turchini è presentata ambiguamente come sorella e madre di Pinocchio, invece nel romanzo verghiano ‘Ntoni è accudito sia dalla Longa, sua madre, sia dalla sorella Mena. Queste donne si mostrano sempre disposte alla comprensione e al perdono, benché segnate dal dispiacere per l’imprudenza e gli sbagli dei loro figli-fratelli. Soltanto la delusione che esse esprimono porta talvolta i due eroi a correggersi: Pinocchio promette in ripetute occasioni di agire con più giudizio per non dare dolore alla sua cara Fata Turchina, mentre ‘Ntoni decide di rimandare momentaneamente la sua partenza da Aci Trezza – partenza dettata dal desiderio di cercare un’opportunità di arricchimento – perché impietosito dalle suppliche materne.
Le vicende di ‘Ntoni e di Pinocchio divergono evidentemente nel finale. Il testo di Collodi è pur sempre una fiaba e come tale richiede un lieto fine. Pinocchio, infatti, dà positivo compimento alla sua crescita: dopo molti errori e autocorrezioni egli sviluppa un atteggiamento più maturo e responsabile, il che si concretizza in quell’agognata metamorfosi fisica che lo rende un bambino in carne e ossa. La fiaba, quindi, si chiude con Pinocchio contento e orgoglioso «di esser diventato un ragazzino perbene». In Verga, invece, prevale una concezione pessimistica della storia, per la quale gli uomini non hanno effettive possibilità di progresso. Di fatto, la condizione di ‘Ntoni non migliora in alcun modo, anzi il personaggio subisce una graduale deformazione. Egli sbaglia ripetutamente, abbandona la famiglia, entra nel contrabbando e finisce in prigione per anni. In sostanza, ‘Ntoni cade sempre più in basso e va incontro a una trasformazione degradante dal punto di vista umano e sociale. Per di più a nulla vale il suo pentimento, poiché l’ultima strada che Verga gli fa percorrere non è quella della redenzione, bensì quella dell’emarginazione. In questo caso, infatti, il romanzo si conclude con l’allontanamento definitivo di ‘Ntoni dalla sua famiglia, come punizione che l’eroe infligge a se stesso per aver creduto di poter controllare e mutare il proprio destino.
Valentina Bergamini
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