Marco Liuzzi, pianista jazz al suo album d’esordio
È uscito venerdì 19 febbraio “Earthrise”
È uscito il 19 febbraio Earthrise dalla Verterecords/Believe Digital, l’album d’esordio di Marco Liuzzi, il pianista Jazz contemporaneo siciliano, e brindisino d’adozione. Il titolo e l’artwork dell’album riportano alla memoria la famosa fotografia della NASA del 1968 scattata dalla Luna al sorgere della Terra. È in questo contesto che nasce un disco ricolmo di simbolismo ed interrogativi metafisici.
Earthrise trasforma in musica ricordi, istantanee di viaggi, sensazioni dell’intero mondo artistico di Marco Liuzzi. Le nove tracce sono organizzate in tre gruppi: tre brani omaggiano Debussy con contaminazioni di standard jazz, tre citano, in modo inusuale, brani di Herbie Hancock, GoGo Penguin e E.S.T., mentre le ultime tre composizioni esplorano le sonorità di Satie.
Il tutto in un delicato gioco di prospettive: si alternano, infatti, vividi paesaggi siciliani, viaggi in macchina lungo la litoranea adriatica e suggestive piano-sequenze proiettate sull’immensità dello spazio. Liuzzi, affiancato dai musicisti pugliesi Roberto Cati alla batteria e Cosimo Romano al basso, cambia accordi, melodie note, propone riff diversi, presentando brani già conosciuti dal grande pubblico, in una chiave del tutto nuova accompagnandoci, così, attraverso la sua personale visione sul futuro dell’uomo, in bilico tra spaventosi dubbi e immagini nostalgiche mozzafiato.
«Questo album nasce da un desiderio semplice e, credo, umano. - racconta Liuzzi - Il desiderio di un artigiano che vuole creare e lasciare qualcosa di sé agli altri. Cos'è che vorrei lasciare? Il mio amore per alcuni autori di musica classica e jazz che sono stati meravigliosi compagni e, senza saperlo, hanno donato a me (e al mondo) della splendida musica.»
Marco nasce a Gela il 23 maggio 1972 e da ormai venticinque anni vive a Brindisi. Ingegnere informatico, ha studiato musica classica. Nel 1990 inizia a suonare in vari contesti, esibendosi in band in Italia, Francia, Ex-Jugoslavia, Polonia, Lituania, Lettonia, Estonia. Negli anni seguenti riesce ad alternare studio a partecipazioni a concerti e progetti musicali.
L’intervista
Ciao Marco, alcune brevi domande per inquadrare l’uomo e l’artista.
Leggo che sei ingegnere informatico, immagino che tu abbia anche un lavoro che non c’entra nulla con la musica. Quanto hai dovuto faticare per studiare, affermarti? Quando trovavi il tempo per studiare?
Non sento molto questa dicotomia tra il “lavoro” e la musica. Ho la fortuna di essere appassionato al mio lavoro di ingegnere informatico. c’è bellezza anche nel mondo digitale.
Quello che sento, però, è che ultimamente il tempo non basta più. Quando studiavo all’università non avevo questo problema. Adesso, invece, trovare tempo per dedicarmi alla musica è più difficile, ma è necessario.
Perché il Jazz e non altre musiche?
La passione per la musica nasce da lontano, dall’infanzia. I miei genitori (e li ringrazio con riconoscenza) hanno ritenuto di investire sul mio futuro mandandomi a lezione di pianoforte. Studiare questo strumento significava studiare musica classica, che mi piaceva, ma non era tutto. Molti insegnanti di musica classica purtroppo insegnano agli alunni ad essere esecutori di uno spartito, quasi dei grammofoni che riproducono un disco, il che è molto limitante.
Fin da piccolo cercavo di suonare altri generi, per la disperazione della mia prima insegnante, la prof.ssa Margherita Vullo, che però ringrazio e ricordo con grande affetto. Il jazz è stata l’illuminazione, la libertà, e qui devo ringraziare Fabio Rogoli, grande maestro di questo genere.
Il jazz ha molte facce, quella tradizionalista e quella iper-sperimentale al limite dell’ascoltabile (che mi interessano meno); poi c'è' quella libera, che invece seguo con grande interesse e piacere, arricchita dalla contaminazione di altri generi nei confini di una godibilità musicale tout court. In questo spazio si muovono molti artisti del jazz contemporaneo - specialmente europeo - tipo E.S.T., GoGo Penguin ed altri.
Cosa ti ha fatto, ti fa viaggiare tanto, per l’Italia? Nel passato anche la musica mi faceva viaggiare, oggi molto di più per lavoro, e molto spesso al di fuori dai confini dell’Italia.
Hai una famiglia? degli affetti? Come riesci a gestire famiglia lavoro e arte?
Sì, sono sposato e con due giovanotti per figli. Se posso dedicare tempo alla musica è grazie alla pazienza di mia moglie, e di questo la ringrazio infinitamente.
Ti manca la Sicilia. Cosa ti manca di più?
Nutro la convinzione che bisogna essere cittadini del mondo. Le mie emozioni rispetto a questa convinzione sono però cambiate gradualmente con l’età. Le radici si sviluppano più forti, si sentono di più mentre si invecchia. Non sono sicuro che la Sicilia che io ricordo esista ancora. Sono andato via 25 anni fa. Ricordo la sua varietà, i suoi contrasti, la bruttezza e la bellezza pura, mozzafiato, che le parole non possono spiegare. Vorrei – e al tempo stesso non vorrei - tornare. Se tornassi, cosa troverei dei miei ricordi?
E veniamo all’album. Questa ricerca nel tempo che scorre quasi un secolo, fra grandi artisti e varietà di jazz da dove nasce? Dall’ascolto di brani casualmente, dalla ricerca proprio di alcuni brani per ispirarti, o da altri motivi? Penso ad esempio che se per un jazzista Davis o Monk sono un must che deve studiare, meno lo sono gli EST o Debussy, Satie. La musica nasce dal loro ascolto suppongo. Ma è una scelta ragionata, voluta e cercata, oppure ti è venuta ascoltandoli, semplicemente?
Credo che ogni artista venga formato sulla base delle proprie esperienze, i propri ascolti e le proprie inclinazioni, che si sedimentano nel tempo. Questi contribuiscono a creare il proprio ideale di bellezza.
Alcuni autori a cui faccio riferimento in questo album (EST, GoGo Penguin, Satie, Debussy) costituiscono uno spazio musicale, dei contorni entro i quali si trova il mio ideale di bellezza musicale, almeno in questo momento. C’è molta bellezza anche altrove, in altri spazi. Ma questa cornice, questo ambito è quello che mi ha ispirato negli ultimi due anni.
Hai avuto delle difficoltà stilistiche, nel fare tuo un lavoro altrui, e con dei riferimenti notevoli, oltretutto. Ti sei sentito sempre a tuo agio?
Sono stato un incosciente. Non mi sono mai posto il problema di essere all’altezza degli artisti che cito e a cui mi ispiro. Sto iniziando a domandarmelo adesso che il lavoro è finito. Non mi sono posto dei paletti stilistici, ma ho seguito la mia personale sensibilità nel momento in cui i brani venivano alla luce.
Sono contento di questo lavoro: è un affettuoso e riconoscente omaggio a dei maestri. L’ho pensato e vissuto come un tributo, un pensiero riconoscente. Credo che non sbaglia chi compie un atto di riconoscenza.
Le persone con cui hai fatto il disco suonano sempre con te? O e’ stato il disco l’occasione per conoscerli.
Per questo progetto mi sono trovato a suonare insieme con Roberto Cati e Cosimo Romano, che già conoscevo bene. Oltre che una grande stima nei loro confronti, ho un debito di gratitudine con loro per il loro contributo assolutamente essenziale.
Hanno seguito magistralmente alcune mie precise indicazioni. A volte si sono anche limitati molto. Forse troppo? Non saprei dire, a volte la bellezza si realizza togliendo, invece che aggiungendo, con meno note e più pause. A volte, invece, bisogna rispettare la nota che resta a risuonare nell’aria, senza interromperla con altre note. Questa era la mia intenzione.
Cos’è per te la musica? Un’arte, un modo di passare la tua vita, un messaggio, un veicolo?
L'arte, e quindi anche la musica, è una parte importante della vita. Si tratta della ricerca, dell’amore per la bellezza, con all'interno diverse componenti: unità, varietà, armonia e semplicità. Non ci sono parti superflue. Susan Sontag diceva che “la bellezza è profonda, non superficiale, più spesso nascosta che evidente, consolatoria, non dolorosa, indistruttibile come nell’arte, non effimera come in natura. La bellezza - quella edificante - è duratura. Eterna.”
Cerchiamo quindi la profondità, la consolazione, la permanenza, attraverso l’arte. Sto probabilmente cercando di razionalizzare qualcosa di intimo, naturale, così naturale che forse non dovrebbe essere spiegato. La musica, la bella musica, suscita emozioni positive, che nutrono la nostra anima.
Colgo nelle tue dichiarazione una ricerca non comune, come quella di citare il movimento spirituale Bahá'í e la natura, che spesso ricorre nelle tue immagini. Cosa ispira la tua vita e conseguentemente la tua musica?
Faccio parte della comunità Bahá'í. I principi, gli scritti Bahá'í sono per me una fonte inesauribile di ispirazione nella vita e nella musica, ne condivido una gemma, proprio sulla ricerca: “il destriero di questa valle [della ricerca] è la pazienza.”
I tuoi progetti per il futuro, musicalmente?
Attualmente sto collaborando con diversi amici musicisti, sui loro progetti musicali. A livello personale, seguo alcuni progetti, ma non ancora musicali. L’uscita di questo album è un po' la chiusura di un ciclo. Serve il giusto tempo per la riflessione e per l’ispirazione. Ho alcune idee embrionali, appunti musicali registrati che posso recuperare successivamente. Mi piacerebbe esplorare la dimensione del testo, della voce. Vedremo.
E i tuoi progetti nella vita, posto che l’arte e la vita si confondono, in un artista?
Purtroppo, siamo in una situazione di stasi, a causa della pandemia in corso, per cui prendono spazio alcuni progetti, mentre bisogna lasciarne altri in disparte. Non si può viaggiare liberamente e non ci si può incontrare. Al momento il lavoro (non musicale) occupa molto tempo, ma è tempo speso bene (come dicevo prima ho la fortuna di essere appassionato al mio lavoro). Gli altri progetti si devono adattare ad una realtà locale e per lo più isolata, scandita dai colori: gialla, arancione o rossa.
Il disco raccontato traccia per traccia
Blue in Green Un amalgama ben riuscito questo brano, fra lo standard del miglior jazz, quello di Miles Davis in Blue in green, e la musica di un’icona, Claude Debussy (Reverie), che assieme a Eric Satie ha saputo dare al mondo l’immagine delle atmosfere nebbiose di una grande Europa, sul lento disfacimento, introverso e non cosciente, della propria storia. Marco riesce ad assemblare entrambi gli artisti con un uso sapiente delle note, dando al suo pianoforte delle svolte tonali improvvise che ci portano, come un’altalena, fra le note di una tromba soavemente suonata dentro una stanza e il cadere di un’improvvisa quanto breve malinconia nostalgica di Debussy all’interno di un giardino.
Crystal Silence
Anche in questa traccia compare Debussy col suo famoso Clair de lune, contaminato con il pianista Chick Corea del brano Crystal Silence. In questo caso non è stato possibile un amalgama, perché siamo in un jazz, quello di Corea, pieno di note veloci e variazioni jazzistiche complesse. Marco quindi apre il brano con Debussy, per poi attaccarsi a Crystal attraverso il gancio di una nota, per poi riprendere Clair de lune, in un rimando che si ripete diverse volte. Ottimo il suggerimento di far tacere le percussioni durante le parti di Debussy, e non poteva che essere così, per dare respiro e chiarezza ad entrambi gli autori.
Il disco di Marco esce a pochi giorni dalla morte di Corea, che, ricordiamo, era figlio di emigrati di origini calabresi, ed è scomparso il 9 febbraio negli Stati Uniti, lasciandoci una vastissima ed importante discografia d’autore.
Round Midnight
Scrive Marco: “l'enigmatico Thelonious Monk si sottopone anch’egli al trattamento Debussy, come i due brani precedenti. Cosa fa una ragazza con i capelli di lino verso mezzanotte? Spero ascolti una buona ballata jazz, non necessariamente questa.”
Riconosco meno Round Midnight in questo brano, in quanto la presenza poco incisiva di percussioni toglie la vivacità del Monk che si apprezza meglio in quartetto jazz, per questo brano.
Tuttavia la linea melodica è ben assemblata, nello stile Liuzzi, con una chiusura che permette alla ragazza coi capelli di lino di tornare a casa serena.
From Gagarin’s point of view
“La mia idea dell’incantevole brano degli E.S.T., che mi ricorda il sorgere della terra (Earthrise). Un magnifico panorama si parò di fronte agli astronauti dell'Apollo 8: il comandante Frank Borman, il pilota del modulo di comando Jim Lovell, e il pilota del modulo lunare William Anders, quando completarono l'orbita intorno alla luna videro la terra sorgere, proprio da dietro la luna. L’immagine è stata immortalata in una foto conosciuta come Earthrise, che mostra in modo concreto come, dopo tutto, da alcuni punti di vista il nostro pianeta sia piccolo e fragile. L'ultima volta che ho controllato, era l'unica casa per la razza umana. Cerchiamo di esserne custodi responsabili”.
Un'interpretazione meno immobile dell’originale, meno silenziosa e mistica, più sonora. Ascoltare l’originale del gruppo svedese se si vuole rimanere sospesi, e questa versione se si vola muovendosi nell’aria.
Hopopono
“Il mio tentativo di rendere questo pezzo dei GoGo Penguin, che ho spesso ascoltato guidando sulla SS16 (Strada Statale 16), la vecchia strada che da Otranto porta a Padova, seguendo quasi tutta la costa adriatica, da sud a nord. Si può ammirare molta bellezza alla sua destra, il mare Adriatico e una splendida varietà di paesaggi costieri, ed alla sua sinistra molti paesi, borghi e città con secoli di storia ed arte da togliere il fiato. Un itinerario imperdibile, magari guidando a passo lento in una decappottabile degli anni ‘60, ascoltando questo brano?”
Il riff dei GoGo Penguin si è trasformato in un brano jazz con un ritmo in controtempo, uso di tastiere, leggermente meno dinamico dell’originale.
Sicuramente da ascoltare mentre si viaggia lungo la meravigliosa costa italiana, lentamente e con tanta aria attorno al volto.
Cantaloupe Island
“Una rilettura dell’iconico brano di Herbie Hancock, che in questa interpretazione è più Prickly Pears Island: è la Sicilia? Si, probabilmente lo è: con la sua varietà, i suoi contrasti, la bruttezza e la bellezza pura, mozzafiato, che le parole non possono spiegare. Le radici si sviluppano più forti mentre si invecchia. Muoio dalla voglia di tornarci, per un giorno, una settimana o un mese”.
Siamo nel 1964 quando Hancock pubblica questo brano conosciutissimo, che offre dei ritmi sincopati spostati rispetto alla melodia. Marco cambia completamente il ritmo del pezzo, rendendolo più conforme al riff, ed anche, portandolo in un’altra tonalità, più buia, lo rende nuovo, fresco e personale.
Gymnopedie n.66
“Un umile tentativo di catturare l’inconoscibile essenza del pensiero di Eric Satie, riflettendo sulla bellezza chiara e serena di alcune delle sue composizioni, e sull'ostilità di altre. Non credo di aver ancora capito”.
Splendido pezzo che dimostra una storia personale a lungo cercata tra i meandri delle intenzioni di Satie, con l’uso di percussioni che sembrano voler andare ai Caraibi ma poi si confondono, per infine nascondersi fra le note del pianoforte. La strada per questo pezzo è ancora aperta. Ogni variazione è ancora possibile.
Gnossiene n.66, Il Libro Celato
“Satie si intravede, da qualche parte, ma con una particolarità. Le parole, non cantate, di questa melodia non sono altro che i versi della prima delle "Parole Celate".
Le Parole Celate è un'opera scritta a Baghdad attorno al 1857-1858 da Bahá'u'lláh, il fondatore della religione Bahai. Questo libro fu scritto parte in arabo e parte in persiano (cit. Wikipedia). Vi sono numerosi aforismi che trattano del rapporto fra Dio e l’uomo, con un richiamo particolare all’essenza di quest’ultimo.
Marco in questo disco non si è fatto mancare nulla: nemmeno i riferimenti colti della spiritualità.
No Way Out
“Siamo nuovamente, per la terza volta, nello stesso ambito musicale, ma non c'è via d'uscita. A volte si percepisce un assaggio di Satie, ma stiamo girando in tondo. Imparate la storia e ricordate la vostra storia, riflettete sui fatti, guardate con i vostri occhi e non con gli occhi dei vostri amici: "Chi non conosce la storia è condannato a ripeterla". Talvolta sembra che non impariamo mai.”
Questo pianoforte suona le note di un viandante che cammina da troppo tempo non sapendo bene dove andare, nel grigiore dell’incertezza, senza soluzione finale.
Sono felice di averlo ascoltato e potuto conoscere. Fra le fin troppe pubblicazioni povere di tutto, edite in ambito musicale, mi sarebbe potuto sfuggire.
E’ un ottimo disco, un ottimo suggerimento musicale, da ascoltare quando la mente anela a viaggiare senza confini.
Questa la tracklist di “Earthrise”:
1. Blue in Green(Miles Davis),
2. Crystal Silence (Chick Corea),
3. Round Midnight(Thelonious Monk),
4. From Gagarin’s point of view (E.S.T),
5. Hopopono (GoGo Penguin),
6. Cantaloupe Island (Herbie Hancock),
7. Gymnopedie n.66 (Marco Liuzzi),
8. Gnossiene n.66 - Il Libro Celato (Marco Liuzzi),
9. No Way Out (Marco Liuzzi).
(disponibile in digital download e in tutte le piattaforme streaming)
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